La prosa ultima di Thomas Bernhard/Conclusione 3: differenze tra le versioni

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= ''Conclusione'' =
 
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Il più grande successo di Murau è l'autoconservazione dove i precedenti protagonisti sono rimasti frustrati — nel dominio della loro vita quotidiana. Reger prefigura questo sviluppo quando dice: "die logische Folge wäre immer die totale Verzweiflung ''über alles''. Aber gegen diese totale Verzweiflung über alles wehre ich mich."<ref>Bernhard, ''Alte Meister'', p. 224 [corsivo nell'originale].</ref> Reger si riferisce qui all'azione che contrasta le intuizioni e le conclusioni logiche della mente. L'azione di retroguardia di Murau va oltre perché, a differenza del Reger pensieroso ma frustrato, ha un'esistenza ben bilanciata e confortevole (a Roma). Come egli dice tra sé con aria di sfida quando la sua identità è minacciata in Wolfsegg: "''ich'' habe mich nicht geändert, ''ich'' ändere mich nicht".<ref>Bernhard, Auslöschung, p. 388, rr. 2-3 [corsivo nell'originale].</ref> L'enfatico "ich" in corsivo rimane fermo laddove persino Rudolf e i narratori delle autobiografie disperano. In questa affermazione, Murau prende la sua posizione ultima; la sua nitidezza critica verso il mondo che lo circonda non lo lascia mai, ma egli si sta accettando. A questo proposito, Murau è legato al suo creatore in un modo che è stato spesso trascurato. In un'intervista del 1985, alla domanda se avesse dichiarato guerra a tutta la creazione Bernhard rispose con le parole: "Im Gegenteil, ich höre nicht auf, die Welt zu bewundern, so wie sie ist."<ref>Jean-Louis de Rambures, "Ich bin kein Skandalautor", trad. Monika Natter e Isabelle Pignal, in Dreissinger, ''Von einer Katastrophe'', pp. 119-23 (p. 122). Questa intervista venne pubblicata originalmente su ''Le Monde'', 1 febbraio 1985.</ref> ''Auslöschung'', confermando questa asserzione, fornisce a Murau risposte che nessuno dei suoi predecessori era riuscito a trovare.
 
<div style="color: teal; text-align: center; font-size: 1.4em;">~ • ~</div>
 
Concludo questo Capitolo dedicato a ''Auslöschung'' riportando lo stralcio finale della rispettiva versione italiana — ''Estinzione'' — nell'ottima traduzione della già citata Andreina Lavagetto (1996):
 
[[File:Leon Splliaert Selfportrait.jpg|650px|center|Estratto da "Estinzione"]]
 
Per tutto questo tempo, per settimane,
pensai, non ho mai preso coscienza del mio vero stato di
salute, ma ciò accadeva ora con brutalità tanto maggiore,
mentre giacevo a letto, insonne, in collera con tutto. Proprio
quando dovevo fare di tutto per riguardarmi, anche nell'idea
di scrivere un giorno, forse, quell'Estinzione che mi si era
radicata in testa, mi lascio prendere ora da un'agitazione che,
se non fatale, può tuttavia esserci dannosa, pensai. A Roma
mi sono abituato a un ritmo benefico per la mia malattia,
pensai, anche per quanto riguarda le lezioni a Gambetti, ho
misurato quel ritmo esattamente sulla mia condizione di
malato, a Roma ho subordinato tutto alla mia condizione di
malato, e ora mi lascio prendere da un'agitazione che per
nessun motivo posso permettermi, pensai. Ma sempre, ogni
volta che andavo a Wolfsegg negli ultimi anni, mi sono
agitato e ho sovraffaticato il mio cuore, pensai, cosa che gli è
sempre stata estremamente dannosa. Dopo le mie visite a
Wolfsegg, infatti, andavo sempre dal mio medico romano e
lui constatava che avevo sovraffaticato il mio cuore
semplicemente con il soggiorno a Wolfsegg, con il soggiorno
in Austria, come precisai fra me e me. Tutti quei soggiorni in
Austria e a Wolfsegg, negli ultimi anni, sono stati
estremamente dannosi per il mio cuore, lo hanno sempre
spinto ai limiti delle sue possibilità. Ma io non ho mai avuto
riguardi per il mio cuore, pensai, per questo il mio cuore è
ridotto così, perché non ho mai avuto riguardi, fin
dall'infanzia, un cuore non può reggere una natura come la
mia, mi dissi, si ammala, si indebolisce presto, perché fin
dall'infanzia se ne è abusato, fin dalla primissima infanzia ho
abusato del mio cuore e l'ho sempre sovraffaticato, pensai,
non gli ho mai dato pace. Il mio cuore non ha mai conosciuto
la pace che avrebbe dovuto avere, pensai, e ora è a pezzi. Ma
anziché risparmiarlo, risparmiarlo a Roma, con il mio ritmo a
lui subordinato, come pensai, vado a Wolfsegg recandogli il
più gran danno, e torno a metterlo in una terribile agitazione.
Ma è solo questo giorno, mi dissi, e tornerò a Roma il più
presto possibile, se non altro per il mio cuore, a casa, come
mi dissi, perché è a Roma che sono a casa, non qui a
Wolfsegg, e poi tornerò ad aver cura del mio cuore, senza più
chiedergli troppo, come ha detto l'internista e come Maria
continua a ripetermi, tu chiedi troppo al tuo cuore, ripete
sempre, fa' attenzione al tuo cuore, io la ascolto sempre
quando lo dice, e intanto non penso nulla, anche se ha
ragione, pensai. Maria, la mia dottoressa romana, pensai, la
mia grande poetessa, il mio grande medico, la mia grande
maestra nell'arte della vita, quando sono agitato corro da
Maria, pensai. Siccome non riuscivo più a restare a letto con
quel cuore in affanno, mi alzai, mi rinfrescai in bagno e,
ancora con l'accappatoio addosso, mi sedetti sulla poltrona
accanto alla finestra, dallo scaffale avevo preso una cosiddetta
monografia su Descartes. Contro ogni aspettativa, Descartes
è riuscito di colpo a sviarmi da tutte le mie angosce, fin dalle
prime frasi di Descartes, non su di lui, fui in salvo. Leggevo
quelle frasi e mi sviavo da me stesso, non voglio dire che mi
calmassi, ma tuttavia mi sviavo. I grandi filosofi sono i miei
salvatori, ho pensato, qualsiasi cosa io legga di loro, mi svia,
mi salva, pensai. Pare che nessuna conoscenza certa sia
possibile, finché non si conosce l'artefice della propria
esistenza, lessi, e fui sviato, salvato. Con quella frase riuscii a
trascorrere alla finestra quelle poche ore, finché non dovetti
alzarmi e scendere, perché il funerale aveva inizio. Già da
qualche tempo, dalla finestra, stavo osservando le mie sorelle,
che erano davanti all'orangerie e parlavano con i cacciatori e i
giardinieri e con le altre persone, frattanto comparse
numerose, che, per così dire, partecipavano al funerale con
una precisa funzione, compreso mio cognato, ma non ero
sceso da loro, ebbi l'impressione che mi aspettassero, tuttavia
non ero sceso da loro, avevo l'impressione che mi stessero
aspettando, ma non sono sceso da loro perché non volevo
interrompere la mia osservazione, che dalla finestra avevo
potuto intensificare in maniera ideale, perfettamente
indisturbato. Facevano già molta confusione fuori e senza
dubbio ancora più confusione dentro l'orangerie, e su due
grandi carri avevano caricato giganteschi mucchi di corone e
mazzi di fiori, quei carri erano stati spinti dai giardinieri e da
due stallieri, ne abbiamo ancora, a Wolfsegg!, contro il muro
del portale, in modo che il convoglio funebre potesse passare
senza incontrare ostacoli, tutto ciò che vedevo dalla finestra
aveva l'aria di procedere esattamente secondo il piano del
funerale del quale parlava sempre nostra madre e come se
nulla accadesse al di fuori di quel piano e tanto meno in
contraddizione, in violazione di quel piano. Era una giornata
piovosa, ma non pioveva, e pensai che non sarebbe piovuto
neanche dopo. La gente era tutta più o meno in lutto, se non
vestita completamente di nero, molta gente del paese si era
già messa davanti all'orangerie. Vidi anche i primi suonatori
della banda del paese che prendevano posizione. Gli
strumenti sfavillavano, le uniformi della banda erano verde
cupo, il colore che preferisco. Caecilia, come vidi dalla
finestra, aveva in mano le redini dello spettacolo, che ora, a
poco a poco, stava assumendo proporzioni imponenti. Ogni
momento sussurrava qualcosa all'orecchio di Amalia, o anche
di suo marito, il fabbricante di tappi per bottiglie da vino,
questi allora andavano nell'orangerie, indubbiamente a
eseguire ordini, di quali ordini si trattasse non riuscii ad
appurarlo. Con ogni evidenza, le luci nell'orangerie erano
state spente. Ora si trattava di dare inizio al funerale, di
suggerire a tutti un'ultima volta, per così dire, la battuta
giusta, discutere un'ultima volta la loro entrata in scena. La
regista viveva già i suoi grandi momenti, pur non avendo
ancora raggiunto i vertici, ma quei vertici, pensai, sono ormai
vicinissimi. Come per una prova, i suonatori si erano messi
davanti all'orangerie, per poi tornare a disperdersi, i
giardinieri e i cacciatori avevano spinto innanzi i due carri
con le corone e i mazzi di fiori, per tornare poi subito a
fermarli, anch'essi come per una prova, tutto sotto il
controllo di mia sorella Caecilia, come vidi. Amalia stava
sempre alle sue spalle, e così pure mio cognato. Sempre più
gente usciva dalla fattoria, veniva dalla casa dei cacciatori,
saliva dal paese. Ma dei cosiddetti notabili non era ancora
comparso nessuno, c'era tempo. Alla fine Caecilia venne di
corsa alla casa padronale, il che mi ha fatto capire che dovevo
lasciare la mia stanza e raggiungerla di sotto. Scendendo
m'imbattei nella zia di Titisee, la salutai, ma poi girai al largo,
durante tutto il funerale avevo girato al largo da lei, per
quanto possibile. In cucina mi avevano preparato una
colazione che ho mangiato più o meno in fretta, con mio
cognato che mi faceva compagnia. Che uomo ottuso, privo di
anima addirittura, ho pensato e l'ho osservato mentre
prendeva il pane, vi spalmava sopra il burro e la marmellata
con i suoi movimenti grevi, ma queste persone non ne hanno
colpa, ho pensato tutto il tempo mentre lo osservavo, non ne
hanno assolutamente colpa, ho continuato a pensare che
quelle persone non ne hanno colpa finché non mi sono
accorto che lo pensavo, e allora ho troncato quel pensiero e
tutto quell'osservare, perché d'un tratto mi è parso indecente,
non ingiusto, indecente, quel pensiero mi aveva riempito di
una profonda repulsione per me stesso. Non dovremmo
osservare di continuo queste persone, sorvegliarle senza
sosta, mi dissi, non serve a nulla, se non a costringerci poi a
disprezzare profondamente noi stessi. Caecilia mi disse di
mettermi una cravatta nera, cosa che ho fatto senza
protestare, perché mi pareva ovvio presentarmi al funerale, se
non in abito nero, almeno con la cravatta nera. Prima mi ero
messo delle scarpe nere ed un abito grigio, perché in effetti
non ho mai posseduto un abito nero, né mi è mai venuto in
mente di comprarmi un abito nero, neppure in quei due
terribili giorni. Le basterebbe che mi mettessi una cravatta
nera, ha detto Caecilia. Non mi aveva dato, nel dirlo,
l'impressione della persona malevola, al contrario, di quella
comprensiva, come ho pensato. Mia sorella mi era parsa d'un
tratto comprensiva, è comprensiva nei miei confronti, ho
pensato, perché adesso è nel suo elemento. Le persone più
diverse, di cui non sospettavo neppure la presenza, avevano
riempito d'un tratto la cucina per mangiare qualcosa, ma io
non parlai con nessuna di quelle persone. Sebbene io fossi il
personaggio principale di quell'evento, non mi consideravo
tale. La gente mi fissava, ma io mi volsi dall'altra parte. A
diversi avrei dovuto porgere la mano, pensai, ma non ho
porto la mano a nessuno. Come faccio a stringere la mano a
tutta questa gente, pensai. A esibirmi come ipocrita, cosa che
non era nelle mie intenzioni. Bevvi una tazza di caffè e
mangiai un pezzo di pane ed uscii nell'atrio, le mie sorelle
erano là con il borgomastro, che solo allora era venuto a
porgere le condoglianze, come vidi, il borgomastro ha detto
alle mie sorelle molte di quelle frasi insulse che si dicono di
solito nel porgere le condoglianze, entrambe si
comportavano come ci si aspettava da loro, a differenza di
me, che per tutto il tempo, come vuole la mia natura, non mi
sono affatto comportato come ci si aspettava da me. Le mie
sorelle rimasero nell'atrio a ricevere tutta una serie di
condoglianze, da cosiddette persone altolocate, possibili e
impossibili, funzionari pubblici, come pensai, nel frattempo
io mi ero tenuto del tutto in disparte, nell'angolo oscuro
davanti alla porta della cappella, dove si può stare senza
essere riconosciuti. Che almeno non mi si riconosca, pensai,
se sto qui, e infatti nessuno mi ha riconosciuto, perché
altrimenti tutta quella gente si sarebbe precipitata su di me,
pensai, e non sulle mie sorelle, sul figlio, come si conveniva,
non sulle figlie. Così invece tutti si precipitarono
direttamente sulle figlie e mi lasciarono in pace. Tutti
continuavano a chiedere di me, ma le mie sorelle non
rispondevano a quelle domande, perché temevano che poi,
dopo il funerale, potessi chieder conto di quelle risposte,
come pensai, anche se oppure poiché sapevano che stavo
davanti alla cappella. Non avevo più voglia di contare la gente
che entrava, come avevo fatto da principio, ben presto furono
in troppi. Infine invasero la casa a schiere, dal mio angolo io
avevo la possibilità di osservare indisturbato tutta quella
gente. Ma poi la folla si aprì d'un tratto, perché era arrivato il
vescovo di Linz. Da questo debbo andare, ho pensato, non mi
resta altro da fare, così sono andato a porgere i miei saluti al
vescovo di Linz. Dietro di lui c'era già il vescovo di
Salisburgo. Ora dovevo restare con i vescovi. Li accompagnai
al primo piano. L'abile Spadolini comparirà solo all'ultimo
momento, pensai, e così fu infatti. Conversavo con i vescovi
da almeno mezz'ora, quando Spadolini entrò, accompagnato
da Caecilia. I vescovi salutarono Spadolini come se fosse di
rango molto superiore al loro, non si erano alzati, per
salutarlo, erano balzati in piedi. Una triste occasione, ha
detto il vescovo di Linz, e Spadolini di rimando: una terribile
disgrazia, al che tutti si sedettero. Conversarono fra loro,
senza che io dovessi partecipare al loro colloquio, parlarono
di Roma, cosa che ha fatto grande impressione ai vescovi
austriaci, tutto ciò che Spadolini diceva era una novità per
loro, e Spadolini sapeva cosa dire per stupire i vescovi.
L'abate di Kremsmunster, che frattanto era comparso, si era
seduto con loro in silenzio, senza alcuna formalità. Era
grasso, e sembrava un oste ben nutrito dell'Innviertel. Per
una mezz'ora Spadolini aveva parlato di Roma e del Vaticano,
aveva detto tutto e niente, per così dire, poi Caecilia pregò i
vescovi di scendere. Nell'atrio i vescovi, il cui capo era
indubbiamente l'elegante Spadolini, aspettarono il cenno che
Caecilia avrebbe dato quando fosse venuto il momento di
raggiungere l'orangerie, per dare inizio, per così dire, al
funerale vero e proprio. Tranne i vescovi non c'era più
nessuno nell'atrio, la folla era già all'orangerie, e già ora si
estendeva lontano oltre il grande portale del muro di cinta,
probabilmente, così pensai, fin giù in paese, sicché in effetti
non si poteva più parlare di corteo funebre, perché
probabilmente il corteo era lungo quanto l'intero percorso fra
l'orangerie ed il cimitero. La benedizione, come prescritto,
non veniva impartita nella cappella, bensì nella chiesa del
paese. I vescovi conversarono prima di Roma, poi di
Wolfsegg, dopo essersi rivolti esclusivamente a me e dopo
che Spadolini si fu fatto riconoscere da loro come uno dei
miei migliori amici, il mio primissimo amico romano, come
disse. Era da decenni un grande amico di famiglia, era spesso
nostro ospite ed era sempre stato entusiasta di Wolfsegg, un
paesaggio magnifico, errlich, un edificio magnifico, errlich,
uno stile di vita magnifico, errlich, disse. I vescovi non si
saziavano di guardarlo e di ascoltarlo, lui portava i vestiti più
eleganti che probabilmente avessero mai visto. Il mio ruolo
era quello del familiare sconvolto, un ruolo che consideravo il
più vantaggioso. Non dovevo dire quasi nulla e badare
soltanto ad avere sempre, se possibile, il capo chino quando
mi si osservava, il che non significa che il tutto mi lasciasse
perfettamente freddo, ma in effetti non provavo nulla più di
quanto provassi ad altri funerali, il fatto che ora fosse la mia
famiglia, a essere portata alla tomba, non mi sconvolgeva,
perché lo spettacolo era troppo grande per consentire,
comunque, un tale sconvolgimento, ma quello
sconvolgimento non l'avevo ancora provato, verrà, mi dissi,
quando tutto sarà passato, lo shock l'ho avuto, ma lo
sconvolgimento deve ancora venire, cosi pensai, in piedi nell
atrio insieme ai vescovi. Ammiravano il mio contegno, che
non era tuttavia, come loro credevano, il contegno di chi
domini un'immensa infelicità, bensì il contegno che mi ero
prefisso, faceva parte del mio ruolo. Io stesso sentivo che,
seppur disgustato, recitavo il mio ruolo in maniera eccellente,
almeno fino a quel momento, l'attore, quando è bravo, sente
quando è bravo, non occorre che glielo dicano, pensai.
Spadolini ebbe la spudoratezza di richiamare l'attenzione dei
vescovi, più volte, sul mio straordinario contegno, proprio
Spadolini, che sicuramente mi aveva letto dentro, ma
continuava a dire ai vescovi, in maniera che mi riusciva ora
più, ora meno disgustosa, quanto fosse straordinario il mio
comportamento, tenuto conto del fatto che i miei genitori e
mio fratello venivano portati alla tomba. Io mi comportavo in
conformità al mio ruolo. Caecilia pregò i vescovi di avviarsi
all'orangerie. Là avevano già chiuso e caricato le bare. I
vescovi seguirono le bare che, su carri trainati ciascuno da
due cavalli, ciascuna bara su un proprio carro, senza fiori che
le ornassero, producevano esattamente l'impressione di
austerità prescritta dal piano del funerale, i carri si misero
lentamente in movimento, i vescovi seguirono, quindi venivo
io, accanto a me le mie sorelle e dietro di noi tutti i parenti,
Alexander ovviamente in prima fila. Dopo i parenti venivano,
proprio come avevo temuto, gli ex Gauleiter e altri
nazionalsocialisti di spicco, di fronte ai quali ho provato il più
grande orrore e la più grande paura, come debbo dire. Si
erano presentati con tutte le loro onorificenze
nazionalsocialiste appuntate sul petto. Dietro di loro aveva
preso posizione il cosiddetto Kameradschaftsbund,
un'associazione di ex combattenti dalle idee in tutto e per
tutto nazionalsocialiste. Seguivano diversi altri gruppi, si era
formato un corteo di molte centinaia di persone, che solo a
fatica fu possibile mettere in movimento, perché era
effettivamente lungo quanto l'intero percorso, e fu solo grazie
all'arte organizzativa di mia sorella Caecilia che fu possibile
dare ordine a un simile corteo; aveva fatto in modo che la
folla prendesse posto dietro la fattoria e davanti alla villa dei
bambini. I carri con le bare, com'è naturale, scendevano solo
lentamente verso il paese, non nel corteo funebre, ma
passandogli dinanzi, sotto i suoi occhi stupiti, perché non
sarebbe stato possibile altrimenti, la gente, per quanto
poteva, si faceva da parte sulla strada di pietrisco che saliva
dal paese, per cedere il passo ai carri con le bare ed a noi, il
piano di Caecilia era riuscito, tutto funzionava, era stato
effettivamente possibile formare e mettere in movimento un
corteo funebre, lei mi camminava accanto come
l'inquietudine in persona, tremando in tutto il corpo, come
sentivo, perché ora, dovendo seguire anche lei il corteo
funebre, era stata costretta a cedere le redini della cerimonia,
come si usa dire. Ma non aveva nulla da temere, il piano
veniva eseguito nonostante le molte centinaia di persone. Se
già a un normalissimo funerale di campagna vanno almeno
cento persone, al nostro, come pensai, erano forse migliaia i
partecipanti, non lo so. L'arcivescovo di Salisburgo celebrò
come previsto la messa funebre. Mentre lo guardavo dire
messa, le bare erano disposte davanti all'altare, pensai che ho
abbandonato la Chiesa, come si usa dire, ormai oltre
vent'anni fa. Ora potevo quindi permettermi di osservare in
piena indipendenza lo svolgimento religioso del funerale. I
miei non mi hanno mai perdonato di aver abbandonato la
Chiesa, questa è stata forse la ragione principale della
condanna che hanno pronunciato contro di me, pensai. Ma
ho abbandonato la Chiesa esattamente nel momento in cui
con la Chiesa non avevo più nulla a che vedere,
spiritualmente, come mi ripetei anche ora, né volevo più aver
nulla a che vedere. I vescovi erano naturalmente a
conoscenza del fatto che avevo abbandonato la Chiesa oltre
vent'anni prima. Aver abbandonato già tanto giovane la
Chiesa cattolica e non esservi più legato, mi procurò una
sensazione piacevole durante la messa, vedi questo sfarzoso
spettacolo, ma non ti riguarda, ho pensato tutto il tempo,
respiri l'incenso, ma non ti stordisce. Senti le parole, ma non
hanno su di te alcun effetto distruttivo. Per decenni, per tutta
l'infanzia e la prima giovinezza, pensai, ho temuto il clero
cattolico, ora non lo temi. Non occorre più che tu lo tema. Lo
spettacolo è grandioso, ho pensato, ma in tutta la sua
grandiosità ti dà sui nervi, senza tuttavia minimamente
toccarti. E dai tuoi genitori e da tuo fratello hai già preso
congedo, con una certa concisione, quando hai ricevuto il
telegramma, pensai. Il funerale è ormai soltanto un dramma
che ti hanno imposto, e dal cui titolo, rendere gli estremi
onori, in fondo sei solo disgustato, perché è una menzogna.
Ma ogni dramma è una menzogna, pensai. E questo genere di
dramma è la menzogna più grande. Un funerale come questo
è il dramma più grandioso che si possa immaginare, pensai.
Nessun autore drammatico, neppure Shakespeare, ho
pensato, ha mai scritto un dramma tanto grandioso, al
confronto l'intera letteratura drammatica mondiale è ridicola,
pensai mentre guardavo e ascoltavo l'arcivescovo di
Salisburgo che diceva la messa funebre, e la folla dinanzi a
lui. Che ottima cosa, essermi sottratto così presto alla Chiesa
cattolica, pensai. Sedevo nella prima fila di banchi, alla mia
sinistra Caecilia, alla mia destra Amalia, esattamente secondo
le prescrizioni, accanto ad Amalia aveva preso posto
Alexander. Spadolini sedeva dove di solito siedono i
sacerdoti, con l'abate di Kremsmunster e con i vescovi di Linz
e di Sankt Polten, per così dire in luogo elevato, subito a
fianco dell'altare, separato dalla gente comune. È lui il
protagonista del tutto, pensai, non l'officiante, l'arcivescovo
di Salisburgo, che verso la fine della messa ha tenuto un
breve discorso in memoria dei morti, più che altro
un'allocuzione, parlando però di nostro padre come
dell'amico scomparso in maniera tanto tragica, della madre di
profonda bontà, del figlio di bontà altrettanto profonda. Gli
arcivescovi hanno un modo di parlare tutto loro, pensai,
salmodiano tutto quel che dicono, frequentando il seminario
sono andati in realtà all'accademia cattolica di arte
drammatica, pensai, anche gli animi semplici fra i vescovi,
come quelli di Salisburgo e di Linz, parlano salmodiando,
come se fossero attori consumati, attori di provincia
d'altronde, amati e stimati, non come Spadolini, il quale in
ogni parola che dice, in ogni gesto che fa, è, per così dire, un
genio drammatico tale da lasciarsi alle spalle tutti quegli
attori di provincia, è, per così dire, assoluto teatro universale
cattolico. Spadolini si è immerso nel suo ruolo del silenzio,
pensai, il capo chino, sedeva nel banco riservato
esclusivamente a lui, ed era consapevole del suo genio
drammatico, del suo genio arcivescovile, pensai. Il fatto che
fosse venuto da Roma gli conferiva, nella nostra chiesa di
paese, un'aura ulteriore, davvero inaudita. La gente nella
chiesa guardava con stupore lui, l'arcivescovo venuto da
Roma, non quello officiante di Salisburgo, il quale, al
confronto, non poteva che apparire ancora più semplice,
davvero più primitivo di quanto non fosse in realtà. Dopo la
messa, cantata dai cantori del paese, la banda del paese ha
suonato esattamente il brano di Haydn che aveva provato il
pomeriggio della vigilia, con molta calma, senza errori, come
pensai. Spadolini aveva fatto mostra di essersi
completamente ritratto in se stesso per quella messa funebre,
non si è neppure permesso di alzare lo sguardo. Con le mani
giunte, era per così dire interamente sprofondato nel lutto, e
quando si arrivò a parlare di nostra madre, sembrò che quel
lutto non fosse neppure simulato, ma autentico, ma fu solo
l'impressione di un istante, padroneggia il suo ruolo alla
perfezione, tornai a pensare subito dopo. Lo amai davvero,
quando lo vidi in quell'atteggiamento, perché amavo in lui
l'attore Spadolini, non ne conosco di più grandi, di maggior
effetto sul pubblico, come si usa dire. I molti viaggi che ha
fatto con mia madre, anche quelli fatti con me e quindi a tre,
mi affiorarono d'un tratto alla mente. Spadolini, che ha reso
tutti quei viaggi un così grande piacere, che a suo modo ha
trasformato tutti quei viaggi in un incanto, come si usa dire,
vedevo lo Spadolini charmeur, l'uomo di mondo, cui mia
madre si era data anima e corpo, come pensai. Mentre lo
osservavo, lui, e non il vescovo di Salisburgo, lo vedevo
camminare per Roma, andare nei negozi più eleganti, nei
locali più esclusivi, lui che entra in quei negozi eleganti, che
va in quei locali, lo vedevo al Pincio, a Villa Borghese, lo
vedevo risplendere alle ambasciate, brillare ai vernissage,
come si usa dire, tutti si accalcano attorno all'elegante uomo
di mondo cattolico, che può chiamarsi arcivescovo e nunzio e
vantare molte centinaia di amicizie, pensai. Spadolini, pensai,
a cui mia madre ha pagato tutti quei viaggi, ha finanziato due
viaggi in America, un soggiorno al Cairo che lui desiderava,
un viaggio a Persepoli e un viaggio in Tunisia, perché vedere
Cartagine era il suo più grande desiderio, Spadolini a cui lei
ha comprato gran parte del guardaroba e allestito un'intera
biblioteca. Spadolini, che con eleganza ineguagliabile sa bere
un bicchiere di vino tenendo un libro in mano, Spadolini che
è assediato tanto dalle signore della cosiddetta alta società
quanto dai funzionari comunisti della città di Roma, dal cui
sindaco comunista viene infatti ricevuto amichevolmente
ogni due o tre settimane. Spadolini che è in corrispondenza
con tutto il mondo e con tutte le categorie di persone,
Spadolini che conosce il Vaticano come le sue tasche, e così
pure la città di Roma, che lo venera e ne ha fatto il venerato e
universalmente amato Spadolini. Lo osservavo di lato, come
si osserva un grande attore, studiando ogni suo gesto, la sua è
senza dubbio grande arte, pensai, non mostra debolezze, non
si concede la minima negligenza. Come in teatro i ruoli più
difficili sono quelli senza testo, non i loquaci, non i ciarlieri,
così Spadolini, in questo spettacolo, si è assunto il ruolo
indubbiamente più difficile, pensai, e il costume che si è
scelto è ideale per questo spettacolo, perfetto. Vedere
Spadolini senza venerarlo all'istante, pur senza
necessariamente amarlo, è impossibile, pensai. Chiunque
veda Spadolini è vinto all'istante dal suo fascino, pensai.
Gambetti mi ha detto una volta che per lui Spadolini è il più
straordinario di tutti gli attori, inclusi tutti gli attori che lui
conosca al mondo, il più seducente, e che è un peccato che si
esibisca solo entro la Chiesa cattolica e non in uno dei nostri
maggiori teatri. Nessun regista ha qualcosa da insegnare a
questo Spadolini, ha detto Gambetti, sa già tutto, può già
tutto, è già tutto. Di quell'asserzione di Gambetti mi ricordai
mentre osservavo Spadolini di lato, a mio agio, come debbo
dire, senza alcun interesse per quanto mi stava
immediatamente intorno. Mi alzavo in modo automatico,
come gli altri, in conformità al cerimoniale della messa,
tornavo a sedermi quando tutti si sedevano, ma in verità non
facevo altro che ammirare l'arte di Spadolini. Come se fossi di
nuovo schiavo di quell'arte di Spadolini, al pari di tante altre
volte. È come se il più grande attore dell'epoca fosse venuto
in un piccolo paese, sconosciuto e più o meno insignificante,
per recitarvi la parte dell'Amleto arcicattolico, pensai
osservando Spadolini. Alla fine della messa le bare furono
portate fuori dalla chiesa, prima la bara di mio padre, poi la
bara di mia madre, poi quella di Johannes. D'un tratto, in
effetti, mi tremarono le ginocchia, quando i giardinieri mi
sono passati dinanzi portando fuori dalla chiesa la bara di
Johannes. L'avevano presa in spalla con grande abilità, come
se non facessero altro tutti i giorni, pensai. I cacciatori
avevano portato fuori dalla chiesa la bara di mio padre e la
bara di mia madre, per mio esplicito desiderio Johannes era
stato portato fuori dai giardinieri. Caecilia non pianse, di
guardare Amalia negli occhi non avevo avuto occasione, il
fabbricante di tappi per bottiglie da vino, in quanto nostro
cognato, aveva fatto buon (e sprovveduto) viso a cattiva sorte,
per così dire. In tutto quell'insieme lui era in effetti il
personaggio fuori posto, ora riconoscibile come personaggio
completamente fuori posto con chiarezza assai maggiore che
in passato. Tutti gli occhi erano puntati da una parte su me,
dall'altra su Spadolini. Caecilia, com'è naturale, aveva
costretto suo marito, nostro cognato, e non me, a sorreggerla,
fu il fabbricante di tappi per bottiglie da vino, al mio fianco, a
condurre Caecilia fuori dalla chiesa, all'altro fianco veniva
Amalia, durante questi giorni di lutto si è abituata a stare
sempre a capo chino, pensai osservandola. Le facce beffarde
delle mie sorelle si son fatte prima esacerbate, ora luttuose,
pensai. Caecilia era la più controllata delle due, com'è
naturale, Amalia continua a sembrare molto più giovane di
quanto non sia, pensai, ma non è mai attraente. Il che ha
fatto sì che restasse sola fino a oggi, pensai, perché nessun
uomo fino a oggi si è sentito attratto da lei, neanche uno del
genere del fabbricante di tappi per bottiglie da vino. Per un
istante Amalia mi ha fatto pena, ma subito non potei fare a
meno di pensare ai modi davvero balordi con i quali si
presenta dappertutto, ovunque si trovi, come pensai. Amalia
non sarà mai una persona felice, neppure contenta, ma
neanche Caecilia, la sua infelicità ora ce l'ha letteralmente al
braccio, pensai e guardai di lato il fabbricante di tappi per
bottiglie da vino, ha la faccia di uno al di sotto della media,
ho pensato, che è riuscito a insinuarsi a Wolfsegg. Non ero
riuscito a reprimere quel pensiero. La banda del paese
suonava di nuovo il brano di Haydn, meglio di prima, come
pensai, il corteo funebre si muoveva ora verso il cimitero
ancor più lentamente che non prima verso la chiesa. Ho
sempre odiato i cortei, le parate mi disgustano come
null'altro, tanto più se con accompagnamento musicale, tutte
le sventure del mondo hanno sempre avuto origine da cortei
e parate del genere, pensai. Il pensiero che non lontano, alle
mie spalle, venivano gli ex Gauleiter dell'Alto Danubio e
del Basso Danubio, che mi hanno insudiciato la villa dei
bambini e in definitiva me l'hanno rovinata per tutta la vita,
mi riempiva di repulsione, dietro gli ex Gauleiter venivano gli
uomini del Kameradschaftsbund, in parte con le grucce, i
vecchi combattenti, decorati dell'Ordine del Sangue per i loro
esecrabili ideali nazionalsocialisti. E dietro quelli, così mi ha
sussurrato Caecilia poco prima che il corteo funebre si
mettesse in movimento, veniva il mio compagno di studi
Eisenberg, il mio fratello nello spirito, il rabbino di Vienna,
col quale parlerò subito alla fine della cerimonia, pensai. Un
simile corteo funebre è grottesco, pensai. Un simile corteo
funebre è un'infamia. Un corteo funebre talmente protratto
nel tempo non è soltanto un'impudenza, bensì un'inaudita
mancanza di gusto, pensai, sapendo benissimo che nessuno
in quel corteo funebre la pensava come me, osava pensarla
come me, a nessuno sarebbe mai venuto in mente di pensare
così, al contrario, se per così dire mi avessero visto e sentito
pensare, tutti avrebbero pensato che ero io, più di chiunque
altro, a mancare di buon gusto. E forse sono davvero
quest'uomo che, più di chiunque altro, manca di buon gusto,
pensai. Ma non provai nessuna vergogna, fin davanti alla
fossa aperta. Non c'è altro che tradimento in noi, quando
siamo dinanzi a una tomba aperta, ho detto una volta a
Gambetti. Della perversità della cerimonia mi resi conto
quando l'arcivescovo di Salisburgo si avvicinò alla tomba
aperta per tenere un discorso in cui fin dal principio si
parlava del grande valoroso guerriero sul campo di battaglia,
espressione con cui l'arcivescovo di Salisburgo altri non
intendeva che mio padre. Si parlò solo di mio padre, mia
madre non venne neppure menzionata, e neanche Johannes,
ma non di proposito, bensì per smemoratezza, per arroganza,
per maschile egoismo e maschile presunzione, come pensai.
Dodici allocuzioni sono state tenute, dinanzi alla fossa
aperta, da uomini che ora si facevano passare tutti per i
migliori amici di mio padre, cosa che invece non sono mai
stati, com'è naturale, lo affermarono l'arcivescovo di
Salisburgo e i vescovi di Sankt Polten e Linz, lo affermarono i
due ex Gauleiter, lo affermarono i due SSObersturmbannfuhrer,
anche il cosiddetto responsabile del
Kameradschaftsbund, anche il presidente della società di
caccia. Per un'ora intera mio padre era stato definito il
migliore amico proprio da coloro che mai avrebbero dovuto
arrogarsi quel diritto, che però, come accade di solito ai
funerali, non ebbero smentite. Le bare erano da tempo nella
fossa. Da ultimo si era fatto avanti Spadolini, e io ho pensato
che avrebbe detto qualcosa, ma sarebbe stato un gesto
contrario al vero Spadolini, tornò subito a ritrarsi nella più
completa discrezione, come voleva far credere, cosa che però,
proprio perché lui era stato il centro assoluto della cerimonia,
era una menzogna; senza essersi macchiato di una sola
banalità, si mise fra la gente che si accalcava intorno alla
fossa. Stavo per sottovalutare Spadolini, pensai. Il discorso
del cosiddetto responsabile del Kameradschaftsbund fu
meschino, anzi addirittura abietto, il responsabile aveva detto
infatti che mio padre, in realtà, aveva vissuto soltanto per i
fini del Kameradschaftsbund. Dapprima avevo trovato
meschino e abietto il discorso del responsabile, ma qualche
minuto dopo già non più, perché dovetti dirmi che fino a un
certo punto il responsabile aveva detto la verità. Anche il
presidente della società di caccia ha detto la verità, dovetti
dirmi, anche i due ex Gauleiter avevano detto la verità, mio
padre, il camerata, era uno dei loro, per tutti quelli che ora
parlavano lì era stato uno dei loro. Continuavo a ripetermi
che era imbarazzante che nessuno, per negligenza, avesse
speso una sola parola su mia madre. Ancora davanti alla fossa
aperta ho detto a Caecilia che nessuno aveva stimato valesse
la pena di dire una parola su nostra madre. Ha parlato il
mondo degli uomini, pensai, quel mondo degli uomini non
aveva preso atto di nostra madre. E Johannes era una persona
affatto irrilevante in tutto quell'insieme, con la sua morte
precoce si è reso da solo una persona totalmente irrilevante
ed anche priva d'interesse. Di lui, oltre che a portare la sua
bara e a calarla nella fossa, non si era più fatta menzione. Era
mio padre la grande personalità che andava sfruttata davanti
alla fossa, e che tutti sfruttarono a dovere. Una volta di più,
era mio padre colui che tornava utile ai loro fini, nessun altro,
pensai. L'arcivescovo di Salisburgo e i vescovi gettarono un
ultimo sguardo nella fossa aperta e si ritirarono. Al che tutti
ci sfilarono dinanzi, a me e alle mie sorelle, com'è
consuetudine. Centoventidue boscaioli, ora sono venti,
pensai, due dozzine di giardinieri, ora sono sette, pensai
davanti alla fossa aperta. Giganteschi danni forestali a nord,
fin giù a Gallspach, pensai, trentadue ettari di prima qualità
andati perduti solo per il cosiddetto accorpamento fondiario,
la collera di mio padre durò settimane. D'altra parte pensavo
alla gigantesca evasione fiscale a opera del fiscalista di Wels.
Il modo in cui quello pronuncia la parola Wolfsegg mi
riempie di repulsione, ed egualmente il modo in cui la
pronunciano gli altri, quelli di Wels e di Linz e di
Vòcklabruck e di Ebensee. Ho sempre odiato la parola
Wolfsegg, pensai davanti alla fossa aperta, ho sempre odiato,
esecrato e odiato tutto quanto avesse a che fare con la parola
Wolfsegg. Di conseguenza ho sempre odiato, sin
dall'infanzia, tutto quanto avesse a che fare con Wolfsegg,
questa è la verità, pensai. Gli uni scendono da Wolfsegg al
paese ed alle campagne con la stessa falsità con cui gli altri,
dal paese e dalle campagne, salgono a Wolfsegg. Fin da molto
giovane mi sono ritratto in me, disgustato da loro, pensai ora
davanti alla fossa aperta. Il tutto, una gigantesca frode da
parte di Wolfsegg, pensai, un'associazione a delinquere
vecchia di secoli. Prima ho temuto, poi ho odiato la Chiesa,
pensai, prima ho temuto e poi odiato tutto ciò che veniva
dalla Chiesa, di un odio sempre più profondo, pensai. In
questo paese ed in questo Stato, in definitiva, la Chiesa
continua a dominare tutto, pensai davanti alla fossa aperta, in
questo paese ed in questo Stato il cattolicesimo continua ad
avere tutto in pugno, qualunque sia il governo. Cattolici,
ciarlatani, pensai, pastori d'anime intrisi di menzogna. Non
vogliamo più averci nulla a che fare, diciamo, e ne siamo
nauseati. Al clero cattolico continua a non sfuggire nulla, in
questo paese ed in questo Stato, pensai. Sottrarsi, sottrarsi a
tutto, non avevo più altro pensiero. Sopportare la cerimonia e
poi sottrarmi per sempre, pensai. Vedevo come tutti mi
odiassero, neppure in segreto. Interesse filosofico da un lato,
disinteresse filosofico dall'altro. Fanatismo dell'arte,
rivoltante, pensai. La gente a Roma non è diversa, ancora più
bugiarda, ma con che alto grado d'intelligenza, pensai.
Qualche centinaio di persone semplicemente non basta,
devono essere qualche milione, pensai, milioni di bugiardi,
non solo centinaia, milioni di individui repellenti, non solo
centinaia. Fare, per così dire, un bagno dello spirito in una
città come Roma, e in quel bagno dello spirito scomparire,
pensai. I passi degli odiati, le voci degli odiati, pensai davanti
alla fossa aperta, l'assoluta repellenza degli odiati. Il funerale
è il punto conclusivo, pensai. Non mi hanno insudiciato solo
la villa dei bambini, mi hanno insudiciato tutto, pensai.
Prima ho temuto la vita, poi l'ho odiata, pensai davanti alla
fossa aperta. Se crediamo che Roma sia la soluzione, facciamo
un altro errore, com'è naturale. Ci aggrappiamo a una
persona come Gambetti, che forse ho già distrutto, o a una
persona come Maria, e, malgrado tali persone di carattere,
siamo perduti, pensai davanti alla fossa aperta. Ah, sa
Gambetti, gli ho detto davanti all'Hotel Hassler, pensai ora
davanti alla fossa aperta, se siamo sinceri, il generale processo
di istupidimento è già così avanzato che ormai non c'è più
ritorno. Dall'invenzione della fotografia, ossia dall'inizio di
questo processo di istupidimento oltre cent'anni fa, lo stato
mentale della popolazione mondiale non fa che peggiorare.
Le immagini fotografiche, ho detto a Gambetti, hanno messo
in moto questo processo di istupidimento mondiale, che ha
raggiunto una velocità effettivamente letale per l'umanità nel
momento in cui quelle immagini fotografiche sono diventate
mobili. Ottusamente, l'umanità non guarda ormai altro, oggi
e da decenni, se non quelle letali immagini fotografiche, e ne
è come paralizzata. Al volgere del millennio il pensiero non
sarà più possibile a questa umanità, Gambetti, e il processo di
istupidimento, messo in moto dalla fotografia e divenuto
abitudine mondiale con le immagini mobili, toccherà i suoi
vertici. Esistere in un mondo simile, dominato ormai soltanto
dall'ottusità, non sarà più possibile, Gambetti, gli dissi, pensai
ora davanti alla fossa aperta, e sarà bene che, prima che quel
processo di istupidimento del mondo si sia interamente
compiuto, ci togliamo la vita. In questo senso è solo logico,
Gambetti, che al volgere del millennio quelli che vivono di
pensiero e grazie al pensiero, si siano già tolti la vita. Il mio
consiglio a coloro che pensano può essere soltanto quello di
togliersi la vita prima del volgere del millennio, Gambetti, è
effettivamente la mia convinzione, ho detto a Gambetti,
pensai ora davanti alla fossa aperta. Sembrava sempre che
volesse piovere da un momento all'altro, ma non piovve. Mi
ero prefisso di non porgere la mano a nessuno di coloro che
mi sfilavano dinanzi. E così fu. Alcuni fecero il tentativo di
porgermi la mano, ma io non presi loro la mano. Mi sono
assunto in piena coscienza il peso di quella spiacevolezza. Il
solo pensare a questa Austria mutilata e decaduta e ormai
finita, pensai, ho detto a Gambetti soltanto qualche giorno
prima di questo funerale di quasi intollerabile cattivo gusto,
fa già venire la nausea, per tacere di questo Stato in tutto e
per tutto decaduto, Gambetti, la cui meschinità e bassezza
restano senza eguali non solo in Europa ma in tutto il mondo;
da decenni, governi ottusi, meschini e decaduti, e un popolo
che quei governi ottusi, meschini e decaduti hanno mutilato
a morte fino a renderlo irriconoscibile, avevo detto a
Gambetti, pensai ora. Prima quel meschino e ignobile
nazionalsocialismo e poi quel meschino e ignobile e
criminale pseudosocialismo, ho detto a Gambetti al Pincio,
pensai ora davanti alla fossa aperta. La distruzione e
l'annientamento nazionalsocialista e pseudosocialista della
nostra patria austriaca, in collaborazione con il cattolicesimo
austriaco, che per quest'Austria non è mai stato altro se non
fonte di sventura. Oggi l'Austria è un paese governato da
affaristi senza scrupoli di partiti senza coscienza, ho detto a
Gambetti, pensai ora davanti alla fossa aperta. Questo popolo
austriaco defraudato di tutto, ho detto a Gambetti, cui negli
ultimi secoli, nella maniera più infame, cattolicesimo,
nazionalsocialismo e pseudosocialismo hanno estirpato dalla
testa l'intelletto, Gambetti, ho detto a Gambetti, pensai ora.
Meschinità è la parola d'ordine, bassezza il motore,
menzogna la chiave di quest'Austria di oggi, Gambetti. Ogni
mattina che ci svegliamo dovremmo vergognarci a morte di
quest'Austria di oggi, Gambetti, ho detto a Gambetti, pensai
ora davanti alla fossa aperta. Senza sosta torno a dirmi che
amiamo questo paese, ma odiamo questo Stato, Gambetti. A
Roma, e ovunque nel mondo, Gambetti, pensai ora, ho detto
a Gambetti, quest'Austria non ci riguarda più. Ovunque
andiamo in quest'Austria di oggi, entriamo nella menzogna,
ovunque guardiamo in quest'Austria di oggi, guardiamo solo
dentro la menzogna, con chiunque Lei parli in quest'Austria
di oggi, Lei parla con un bugiardo, Gambetti, ho detto a
Gambetti, pensai ora davanti alla fossa aperta. In fondo non
val la pena di parlare di questo paese ridicolo e di questo
Stato ridicolo, ho detto a Gambetti, pensai ora davanti alla
fossa aperta, e ogni pensiero al riguardo non è altro che
tempo sprecato. Ma guai a colui che non sia cieco in questo
paese, ho detto a Gambetti, e sordo, e non abbia perduto
l'intelletto! Essere austriaco oggi è una pena capitale, e tutti
gli austriaci sono condannati alla pena capitale, ho detto a
Gambetti, pensai ora davanti alla fossa aperta. Tutto ciò che è
austriaco è privo di carattere, ho detto a Gambetti, pensai
ora. Il ritorno in Austria produce ogni volta l'impressione di
insudiciarsi totalmente, pensai davanti alla fossa aperta. Da
parte loro, i decorati dell'Ordine del Sangue, gli SS-Obersturmbannfuhrer
appoggiati alle loro grucce ed ai loro
bastoni, gli ''eroi'' nazionalsocialisti, non mi degnarono di uno
sguardo, come si usa dire. Gli invitati al funerale, a eccezione
degli arcivescovi e vescovi e dei nostri parenti più stretti,
sono stati invitati ad accomodarsi nelle locande Brandi e
Gesswagner. La banda, distaccata da mia sorella Caecilia in
parte da Brandi, in parte da Gesswagner, si mise a suonare
per loro. Gli arcivescovi e i vescovi e i parenti erano stati
invitati a pranzo, come si usa dire, su a casa nostra. I più si
trattennero fino al tardo pomeriggio. Spadolini partì quella
sera stessa per Roma, parto subito con lui, ho pensato
dapprima, ma quel pensiero, come ho capito
immediatamente, era del tutto insensato. Ci vediamo a Roma
fra qualche giorno, gli ho detto. È scomparso con grande
discrezione. Mi sono ritirato nella mia stanza con Alexander,
chiudendomi nella mia stanza per quei momenti in sua
compagnia, non volevo più essere disturbato. Alexander era
di nuovo ossessionato da una delle sue idee per la vita, voleva
chiedere al presidente del Cile di liberare tutti i prigionieri
politici in Cile, la più atroce di tutte le dittature. Non lo
infastidì che gli dicessi che la sua richiesta non avrebbe avuto
successo. Ripartì per Bruxelles un'ora dopo Spadolini. Rimasi
rinchiuso nella mia stanza fino a tarda notte e ne uscii solo
quando fui certo di non incontrare più nessuno degli invitati
al funerale. In quelle ore avevo riflettuto su cosa avrei fatto di
Wolfsegg che, come nel frattempo era stato accertato in
maniera inconfutabile, ora apparteneva esclusivamente a me,
con tutti i diritti e i doveri, come si dice in linguaggio
giuridico. Avevo già in testa un piano per il futuro di
Wolfsegg, e di tutto ciò che in Bassa Austria e nel Burgenland
e a Vienna fa parte della proprietà, quando, senza ammettere
la partecipazione di mio cognato, cosa che espressamente
non avevo consentito, ho parlato con le mie sorelle del futuro
di Wolfsegg fino alle due del mattino. Alla fine del colloquio
non potei dire alle mie sorelle cosa ne sarebbe stato di
Wolfsegg, sebbene a quel punto già lo sapessi, dissi loro, che
durante l'intera conversazione non avevano avuto nulla da
dirmi, ma mi avevano sempre mostrato le loro facce beffarde
ed esacerbate, che non sapevo cosa ne sarebbe stato di
Wolfsegg, che non avevo la minima idea in proposito, mentre
invece ero fermamente deciso a chiedere un colloquio ad
Eisenberg a Vienna, nel corso del quale intendevo offrire
Wolfsegg, nelle sue attuali condizioni, e tutto ciò che ''ne fa parte'', come dono assolutamente incondizionato, alla Comunità Israelitica di Vienna. Ho avuto quel colloquio con
Eisenberg, il mio fratello nello spirito, due soli giorni dopo il
funerale, e, in nome della Comunità Israelitica, Eisenberg ha
accettato il mio dono. Da Roma, dove sono tornato, dove ho
scritto questa ''Estinzione'' e dove resterò, scrive Murau (nato
nel 1934 a Wolfsegg, morto nel 1983 a Roma), lo ringraziai di
aver accettato.
 
<small>(estratto da ''Estinzione'', Adelphi Edizioni, 1996)</small>
 
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== Note ==
<references/>
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[[Categoria:La prosa ultima di Thomas Bernhard|Conclusione 3]]