La prosa ultima di Thomas Bernhard/Ricezione critica 1: differenze tra le versioni

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Il significato complessivo di queste narrazioni, piuttosto che gli effetti precisi dei metodi letterari di Bernhard, è stato studiato da punti di vista specificamente sociali ed esistenziali, psicologici, teorici e linguistici in relazione alla sua ''œuvre'', alla sua vita e alle scuole di pensiero politico o intellettuale. In accordo con alcuni dei resoconti giornalistici, Hans Höller presenta una visione cinica di Bernhard come opportunista letterario: "Einmal mehr zeigt sich hier [in der autobiographischen Pentalogie] Bernhards Fähigkeit, die Rezeptionsbedingungen in sein literarisches Kalkül einzubeziehen."<ref>Höller, ''Thomas Bernhard'', p. 97.</ref> Nel suo ritratto dei problemi sociali ed esistenziali nella prosa di Bernhard, Charles Martin fornisce un'interpretazione interessante degli scritti autobiografici come una riconciliazione personale con il passato, e conclude: "Il processo di scrittura dell'autobiografia ha permesso a Bernhard di venire a patti con i traumi dell'infanzia. Il ritiro nichilistico dal mondo non è più necessario o appropriato, e diventa quindi possibile una visione critica della società esistente".<ref>Charles W. Martin, ''The Nihilism of Thomas Bernhard: The Portrayal of Existential and Social Problems in his Prose Works'', Amsterdamer Publikationen zur Sprache und Literatur, 121 (Amsterdam e Atlanta, GA: Rodopi, 1995), p. 135.</ref>
 
Pochi critici hanno tentato di esaminare le narrazioni attraverso una lettura attenta; di quelli che lo hanno fatto, viene sottolineato soprattutto lo scetticismo di Bernhard sul potere del linguaggio di esprimere o comunicare efficacemente. Questi critici vedono nei testi autobiografici un'estensione del sé solipsistico (come descrivono Bugmann, Parth e Cho) che non riesce a sfuggire alle catene del linguaggio: "Das Ich, eingeschlossen in die Grenzen seiner Sprache, regrediert von der Spannung der erstrebten sozialen Identität in die autistische Immanenz..."<ref>Johann Strutz, "Wir, das bin ich. Folgerungen zum Autobiographienwerk von Thomas Bernhard", in ''In Sachen
Thomas Bernhards'', cur. Kurt Bartsch, Dietmar Goltschnigg e Gerhard Melzer (Königstein: Athenäum, 1983), pp. 179-98 (p. 193).</ref> Sebbene non vi siano dubbi sul fatto che Bernhard fosse molto scettico riguardo alla capacità ultima del linguaggio di comunicare perfettamente, finanche adeguatamente, le narrazioni autobiografiche attestano un nuovo desiderio di coinvolgere il suo lettore rendendo la narrazione più facilmente accessibile. Il segno più evidente di questo sviluppo sono le frasi più brevi e la prosa meno densa che differenzia queste opere dalla precedente produzione romanzata; Bernhard Sorg conferma questa nuova fase nella scrittura bernhardiana: "sie [die fünfteilige Autobiographic] bezeichnet eine neue Phase der schriftstellerischen Möglichkeiten."<ref>Sorg, ''Thomas Bernhard'', p. 132.</ref> Manfred Mittermayer si avvicina a queste opere come fossero un tentativo di ristabilire il sé o "Ich-Gewinnung" per la "Selbstdurchsetzung eines Ichs gegen eine Umwelt, die es zu hindern trachtet."<ref>Mittermayer, ''Thomas Bernhard'', p. 84.</ref> Mittermayer parla del desiderio del narratore-protagonista di "seine Existenz wieder in die Hand [zu] nehmen", ma non è chiaro cosa implichi o significhi esattamente questa riappropriazione di sé.<ref>''Ibid.'', p. 87.</ref> Come molti critici, nei resoconti autobiografici di Bernhard Mittermayer si concentra sul tentativo di separare i fatti accurati da quelli inventati. Questo desiderio di creare definizioni o delimitazioni generiche è particolarmente produttivo se applicato alla comprensione dei diversi aspetti narrativi dei testi. Urs Bugmann vede la narrativa come un "Bewußtseinsentwicklung", non solo dell'autore che ricorda, ma anche del protagonista.<ref>Bugmann, ''Bewältigungsversuch'', p. 338.</ref> Bugmann collega questo sviluppo con una successiva liberazione per i personaggi solipsistici bernhardiani nei romanzi di fine anni ’70 e ’80. Anche Eva Marquardt considera le opere autobiografiche parte dello sviluppo di Bernhard come scrittore di prosa, ma insiste sul fatto che, lungi dal segnare una nuova fase nella sua scrittura, esse sono solo apparentemente più accessibili nella speranza di placare i critici che lo avevano precedentemente criticato per la sua monomania.<ref>Eva Marquardt, ''Gegenrichtung: Entwickhmgstendenzen in der Erzählprosa Thomas Bernhards'' (Tübingen: Max Niemeyer, 1990), pp. 120 e 175.</ref>
Questi resoconti generalmente omettono di affrontare il fatto che le possibilità di comunicazione al di fuori del sé non sono riservate solo agli scritti successivi, ma esistono anche all'interno di queste narrazioni. Barbara Saunders presenta le autobiografie come una rivalutazione collettiva da parte di Bernhard della sua identità personale e letteraria: "Questa autobiografia, tuttavia, fa molto per distruggere l'immagine che i media hanno creato della misantropia e della misoginia di Bernhard."<ref>Saunders, p. 73.</ref> Un po' distanziato dal mondo malsano delle storie precedenti, come ''Amras'' (1964), emerge in questi libri un forte impulso nelle narrazioni di Bernhard a "dare alla sua vita significato e forma intelligibili".<ref>Dowden, p. 47.</ref> Insolitamente, ma proficuamente, Stephen Dowden collega la controversa immagine pubblica di Bernhard al suo linguaggio verbale e espressione letteraria, e il suo avvertimento è appropriato per la pentalogia con tutta la sua attenzione mediatica: "Le interviste modeste, la buffoneria delle sue lettere alla stampa, e l'atteggiamento teatrale durante le cerimonie di premiazione puntano tutte alla coltivazione deliberata di un'immagine progettata per nascondere l'uomo interiore, o possibilmente per nascondere la mancanza di un forte senso di sé interiore".<ref>''Ibid.''</ref> Invece, un'attenta analisi delle narrative come percorso verso un significato al di là dell'apparente nichilismo emerge come l'unica opzione affidabile a lungo termine. Le storie autobiografiche di Bernhard, così come la prosa romanzata, richiedono un lettore attento e sensibile che sia pronto a rallentare, a ripercorrere i suoi passi e, forse soprattutto, applicare la sua esperienza di vita alla narrazione:
{{q|Lo stile di Bernhard [in ''Die Ursache''] tenta di incoraggiare un atteggiamento di "Hellhörigkeit" nel lettore, una posizione che egli stesso ha imparato da suo nonno. "Hellhörigkeit" richiede una sensibilità all'essenza nascosta delle esperienze, nonché una resistenza alla "Stumpfsinnigkeit", l'indifferenza della maggior parte delle persone.<ref>Saunders, p. 66.</ref>}}
Nei romanzi precedenti, c'era sempre un senso di idealismo contrastato che guidava invisibilmente le narrazioni; nella pentalogia, il desiderio di stabilire un contesto per il sé, un senso di identità personale attraverso la comunicazione e la sopravvivenza, è più evidente. Mentre le prime storie sono disseminate di frasi incomplete, innumerevoli segni di ellissi e frammentazione incoerente dei processi mentali e della trama (specialmente ''Frost'' (1963), ''Amras'' (1964) e ''Verstörung'' (1967)), la pentalogia comprende narrazioni prosastiche coerenti, eminentemente comprensibili, dove l'azione può essere chiaramente seguita dal lettore.
 
Dowden ha ragione nel sottolineare che questi testi sono principalmente narrazioni creative e che un legame tra la scrittura di Bernhard e la sua vita non dovrebbe essere considerato come un dato di fatto:
{{q|Non esiste alcun legame necessario tra le circostanze della sua giovinezza e la sua vita intellettuale. La prospettiva di Bernhard è una questione di scelta ponderata. Nelle sue memorie [le autobiografie], come nei suoi romanzi, egli è il creatore della sua esperienza. Incornicia la propria vita con la sensibilità di un romanziere e stabilisce consapevolmente l'umore che governa la nostra reazione ad essa. Pertanto, le memorie di Bernhard devono essere intese come un risultato immaginativo a sé stante.<ref>Dowden, p. 47.</ref>}}
 
Dopo molti anni passati dai critici a cavillare sul fatto che questi libri siano davvero autobiografici o meno, Dowden qui fa un passo ragionevole sulla questione per concentrarsi su ciò che richiede una lettura di queste storie: un esame scrupoloso degli aspetti sottili, spesso intangibili, delle complesse narrazioni. C'è una tensione basilare che sottende queste narrazioni, e nasce da due impulsi, a volte contrastanti: uno per guidare e coinvolgere il lettore, l'altro dell'autore che sfrutta la narrazione per i suoi scopi intensamente personali.
 
Mentre molte recensioni critiche delle autobiografie sono alle prese con problemi tematici posti dai testi, pochi si fermano a guardare le narrazioni proprie, di per sé. In una qualche forma, tutte le succitate posizioni critiche riconoscono le possibilità di comunicazione nella pentalogia. Nessuno di loro, tuttavia, intraprende un'analisi narrativa specifica per illustrare come venga raggiunta questa comunicazione e conseguentemente un qualsiasi senso di speranza. Questa lacuna critica segna il punto di partenza dell'indagine testuale di questo primo capitolo.
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