Interpretazione e scrittura dell'Olocausto/Memoria e compimento: differenze tra le versioni

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''ITN'' proiettò le immagini il 6 agosto e vennero immediatamente riprodotte nelle redazioni di tutto il mondo. Il 7 agosto, il ''Daily Mirror'' pubblicò il titolo di testa "Belsen 1992".<ref>Joan Phillips, "Bosnia: a Mess Made in the West", in ''Living Marxism'', No. 56 (gfiugno 1993), pp. 20-8; p.28. Phillips accusò i media occidentali di rappresentare "esagerazioni grossolane" allo scopo di incoraggiare le potenze occidentali ad intervenire. ''ITN'' ha poi fatto causa a ''Living Marxism'' per le sue asserzioni. Si veda Mick Hume, "Good Lies Make Bad News", in ''Living Marxism'' (marzo 1997), pp. 4-5; e ''Living Marxism'' (ottobre 1997), pp. 20-1.</ref> Alcuni osservatori, tuttavia, commentarono che Penny Marshall e il suo cameraman, Jeremy Irving, scelsero di rappresentare Trnopolje, un centro per rifugiati, alla maniera di un campo di concentramento nella speranza che i politici si sentissero in dovere di intervenire. Le immagini di Irving invitavano lo spettatore a guardare le figure dietro il filo spinato a Trnoplje e a codificare queste immagini in un quadro storico di comprensione che ha un imperativo morale molto chiaro: ebrei (vittime) nazisti (persecutori). Dopo l'approvazione della [[:en:w:United Nations General Assembly Resolution 96|Risoluzione 96 (1) ONU]], dopo Norimberga, le [[w:Organizzazione delle Nazioni Unite|Nazioni Unite]] si impegnano a intervenire in aree in cui le testimonianze confermano attività di genocidio.<ref>UN Risoluzione 96 (1), (11 dicembre 1946). Per un contesto della continua battaglia legale tra ''Living Marxism'' e Channel 4, si veda to Guy Westwell, "Reading Trnopolje Camp, Bosnia-Herzegovina, August 5, 1992".</ref> La Risoluzione 96 a tutt'oggi non è mai stata invocata una sola volta. Molti credevano che le foto di Irving avrebbero cambiato tale situazione. Inoltre, l'analogia con l'Olocausto fu incoraggiata perché il pubblico, che aveva bisogno di identificare le questioni belliche in bianco e nero, fino a quel momento non aveva avuto un'immagine dei "cattivi". Dopo l'agosto 1992, il tono delle notizie dalla Jugoslavia si spostò sulla narrazione dei barbari serbi e dei musulmani vittimizzati, una strategia che prevedeva un revisionismo storico e contemporaneo:
{{q|La caratteristica chiave qui è la rappresentazione della Serbia come regime fascista; la sinistra è stata in primo piano nel tracciare parallelismi diretti tra serbi e Germania nazista. Ciò ha l'effetto, non solo di demonizzare i serbi, ma anche di mistificare la verità sulla Germania nazista.<ref>''Ibid.'', p. 28.</ref>}}
Le ragioni per studiare l'Olocausto nel contesto della storia della "civiltà" umana, e in particolare del ventesimo secolo, rimangono forti. Anche se, ad esempio, il conflitto in Bosnia e l'Olocausto sono separati, non sono del tutto incomparabili. Il problema sorge con le conclusioni tratte da tali parallelismi e l'uso a cui sono posti. Le analogie si avvicinano alla verità solo quando si sottolineano le differenze tanto quanto le somiglianze. Nel caso del testo originale di Kipphardt di ''Bruder Eichmann'' o di memoriali pubblici come Bitburg e il Memoriale di Berlino alle Vittime della Tirannia, analogie furono proposte per esonerare le attività di guerra tedesche. Tuttavia questa tecnica era l'unico modo in cui i tedeschi potevano razionalizzare la propria storia mantenendo un certo rispetto per se stessi e, inoltre, dolersi dei propri morti. La narrativa tedesca è caratterizzata da cinquant'anni di soppressione a causa del "peccato" dell'Olocausto. Qualunque siano i peccati dei genitori, i tedeschi devono comunque piangere e seppellire i propri morti. Per i tedeschi, l'ondata crescente di xenofobia unita all'inclinazione dei media a rivisitare l'Olocausto dimostra ancora una volta l'impossibilità di "superare" il loro passato unico. Una scrittrice che tenta di piangere i propri morti è [[:en:w:Helke Sander|Helke Sander]] ma, per molti, il suo libro e il film successivo, ''BeFreier und Befreite'', è un esempio di ''Schadenfreude'' allo stesso modo di ''Bruder Eichmann''.
 
''BeFreier und Befreite: Krieg, Verwaltigungen, Kinder'' (= Liberatori si prendono libertà: Guerra, Stupro, Bambini)<ref>Helke Sander e Barbara John, ''BeFreier und Befreite: Krieg, Verwaltigungen, Kinde'', Verlag Antje Kunstmann, 1992 (trad. ingl. ''Liberators Take Liberties: War, Rape, Children'').</ref> è una raccolta di interviste fatte con alcune delle circa 1,9 milioni di ragazze e donne tedesche violentate dai soldati alleati nei nove giorni tra il 24 aprile e 3 maggio 1945. Sander considera lo stupro di queste donne come ''Zeitereignis'', un evento la cui enormità lo rende quasi unico nella storia. Non ci sono testimonianze di stupro su una scala comparabile. Nel 1992, quando iniziarono a emergere le prime prove di stupro di massa in Bosnia e le donne coreane iniziarono a parlare della loro prigionia come "donne di conforto" per le truppe giapponesi nella seconda guerra mondiale,<ref>Keith Howard, cur., ''True Stories of the Korean Comfort Women'', Cassell, 1995.</ref> Sander pubblicò la versione cinematografica del libro nel 1992, al Festival del Cinema di Berlino. Si aprì con la frase "Proprio come in Kuwait, proprio come in Jugoslavia" e così si svolge la storia dello stupro come sistema militare e maschile di sottomissione.
 
Sander divise l'opinione pubblica. Alcuni credevano che stesse tentando il revisionismo storico femminista, mentre altri l'elogiarono per aver affrontato un argomento tabù. Il nocciolo del dibattito si concentrò ancora una volta sull'uso dell'analogia e sul fatto che una tale tecnica portasse al livellamento e all'esculpazione tedesca. In particolare, le interviste con donne ebree e tedesche violentate vengono affiancate. Gertrud Koch:
{{q|Il sesso delle donne assume un'importanza transistorica, sia che la donna sia un'ebrea che vive nascosta o una tedesca intervistata..., tutte le donne ora sembrano essere nella stessa barca.<ref>Gertrud Koch, "Blood, Sperm and Tears", trad. {{en}} Stuart Liebman in ''October'', Vol. 72 (Primavera 1995), Massachusetts Institute of Technology Press, pp. 26-41; p. 35.</ref>}}
La narrazione principale presenta le donne come vittime comuni di una guerra maschile o, come propone David J. Levin:
{{q|Il film ci presenta una nuova comunità di vittime non mitigate e indifferenziate: donne tedesche del 1945. In tal modo, formula una nuova ''Stunde Null'' o Ora Zero, un momento, cioè, quando la politica nazista del genocidio viene sostituita dalla pratica dello stupro diffuso da parte delle Forze d'occupazione.<ref>David J. Levin, "Taking Liberties with Liberties Taken. On the Politics of Helke Sander's BeFreier und Befreite", in ''October'', Vol. 72, pp. 65-77, p. 76.</ref>}}
Il film di Sander non era solo attuale ma molto valido. Sollevò la questione se tutte le narrazioni che trattavano della seconda guerra mondiale dovessero mostrare deferenza o ruotare intorno all'Olocausto e se gli ebrei avessero preso il monopolio della sofferenza. Il dibattito intorno al film indicò che molti intellettuali, in particolare tedeschi, erano a disagio col film o in disaccordo con l'analoga interpretazione della Storia da parte di Sander.
 
Ci sono state pochissime opere teatrali della Germania occidentale sull'Olocausto negli anni ’90, certamente a causa dei profondi cambiamenti politici e territoriali. Ciò non significa che il pubblico tedesco abbia ignorato l'argomento. Ci sono stati diversi importanti eventi teatrali non tedeschi sull'Olocausto. Negli anni ’90, scrittori israeliani (come Sobol) e compagnie (come il Teatro Akko) hanno fatto ''tournée'' in Germania. E non sono solo gli israeliani che hanno avuto successo lì. Il gruppo britannico, [[:en:w:Towering Inferno (band)|Towering Inferno]], con il loro concerto ''[[:en:w:Kaddish (Towering Inferno album)|rock-cum-performance-art Kaddish]]'' ottenne un enorme successo al Festival della Cultura Ebraica del 1992 a Berlino e il Berliner Ensemble sta attualmente considerando la produzione della commedia di [[:en:w:Roy Kift|Roy Kift]], ''Camp Comedy'' su [[w:Kurt Gerron|Kurt Gerron]] e il suo film del 1944, ''[[w:Theresienstadt. Ein Dokumentarfilm aus dem jüdischen Siedlungsgebiet|Il Führer dona una città agli ebrei]]''.
 
In particolare, nel cuore della trilogia del ''Ghetto'' di Sobol e dell’''Arbeit Macht Frei'' del [http://www.akko.org.il/en/Acco-Theater-Center Teatro Akko] ci sono domande in competizione tra narrazioni storiche, memorie soggettive e l'uso dell'analogia. Sobol ha sempre posto la nozione di memoria personale al centro del suo lavoro. Ciò è particolarmente vero per la sua sceneggiatura per film di ''Ghetto'', J.'' Mentre il numero dei sopravvissuti all'Olocausto diminuisce, Sobol si sente obbligato a registrare le loro storie e intrecciarle con il suo testo. ''J'' rimane inedito, ma nel 1995 Sobol cercò lo stesso ideale nella sua produzione di ''Gens-Ghetto Triptychon'' al Weimar Schauspielhaus. In questa produzione, Sobol affermò di aver concentrato tutti i suoi sforzi per arrivare alla verità su chi fosse Adam e su come operasse il Movimento clandestino.<ref>Conversazione con Yehoshua Sobol, dicembre 1995, Weimar.</ref> Sobol era stato rimproverato alla televisione nazionale israeliana dalla moglie sopravvissuta di uno dei combattenti del Movimento di Vilna che aveva contestato la sua versione degli eventi. Di conseguenza, egli cercò ancora di più di mettere insieme la realtà storica o, piuttosto, la storia composta da ricordi in contrapposizione alla storiografia israeliana.<ref>''Ibid.'' </ref>
 
Anche David Maayan, il direttore del [http://www.akko.org.il/it/ Teatro Akko], si occupa dei ricordi individuali. Sia lui che Sobol, in quanto israeliani, ritengono che la storia della nazione ebraica sia stata coscientemente spinta in determinate direzioni politiche e che il loro paese sia quello in cui il collettivo è tradizionalmente apprezzato più dell'individuo. Loro, al contrario, hanno sottolineato il soggettivo. ''[[w:Arbeit macht frei|Arbeit Macht Frei]]'' del Teatro Akko affronta l'Olocausto in un modo simile a quello proposto da Ronnie S. Landau: l'Olocausto presentato da prospettive sfaccettate — una cacofonia di voci individuali, a volte discordanti, a volte complementari, per dare una rapide visione dell'Olocausto nella sua interezza. Maayan ha realizzato con successo la sua visione di Auschwitz nello stesso modo in cui Picasso visualizzò la guerra civile spagnola in ''[[w:Guernica (Picasso)|Guernica]]''. Per i [[w:Cubismo|Cubisti]], l'intero quadro emerge solo quando diverse prospettive simultanee sono "concepite" nell'occhio della mente, liberando così l'intelletto e i sensi dai limiti del realismo.
 
Tradizionalmente, la rappresentazione dell'Olocausto era stata limitata da vari vincoli critici: rappresentare Auschwitz era "barbaro", scrisse Adorno; poiché stava al di fuori dell'immaginazione, era quasi "impossibile" avvertì Lawrence Langer; la rappresentazione dell'Olocausto era una "profanazione" che banalizzava l'evento, sostenne Wiesel.<ref>''Ibid.''</ref> Wiesel fu particolarmente adirato nel suo attacco contro la produzione di ''Ghetto'' a New York.<ref>''Ibid.''</ref> Da Hochhuth a Sobol, scrittori e registi si sono astenuti dal presentare gli orrori per paura di essere blasfemi. Come sostiene [[w:Howard Jacobson|Howard Jacobson]], questa paura ha portato alla perpetuazione di immagini e risposte banali:
{{q|Il filosofo Adorno ci condusse lungo il sentiero del giardino con il suo notoriamente seducente: "Scrivere poesia dopo Auschwitz è barbaro". Il problema non è la poesia, è la poesia quieta. La trappola non è troppo poca riverenza, ma troppa riverenza.<ref>Howard Jacobson, "Jacobson's List", in ''The Independent'' II (2 febbraio 1994), p. 19.</ref>}}
Grass forse fu il più vicino a rappresentare l'inferno in Terra quando descrisse l'attività mineraria sotterranea di Brauksel in ''[[w:Anni di cani|Anni di cani]]''. Eppure il suo linguaggio metaforico velava piuttosto che rivelare realtà storiche. Al contrario, [[w:Steven Spielberg|Steven Spielberg]] diresse i suoi sforzi verso il realismo fotografico nella sua ricostruzione fisica di Auschwitz in ''Schindler’s List'' e nello stile documentativo del movimento della cinepresa. Il film non fu messo in ''[[w:storyboard|storyboard]]'' e gli attori vennero diretti a recitare una scena mentre la cinepresa "origliava".<ref>...o forse meglio dire "spiava"? Quentin Curtis, "Lest We Forget", ''Independent on Sunday'' (13 febbraio 1994), p. 19: circa 40% del film fu girato con cinepresa da mano.</ref> Tuttavia, il realismo riproduce semplicemente immagini familiari e quindi logore che non hanno più la capacità di scioccare. Maayan, con il suo "irrealismo", come i Cubisti, ha creato una realtà più elevata e, soprattutto, ha ricreato lo "shock" iniziale che deve essere stato avvertito da molti spettatori quando hanno assistito al primo ''reportage'' di Richard Dimbleby da Belsen. Maayan è forse arrivato più vicino a una rappresentazione fisica di Auschwitz ricreando questa esperienza traumatica iniziale.
 
Tuttavia Maayan non era interessato solo ai singoli spettatori che partecipavano alla costruzione del "passato" assistendo a frammenti delle memorie individuali. Si preoccupava anche del presente: come esso sia determinato dal modo in cui il passato è stato codificato. In ''Arbeit Macht Frei'', egli chiede se sia possibile creare una rappresentazione dell'Olocausto che possa fornire preziose lezioni per analogia e, allo stesso tempo, mantenere l'integrità dell'Olocausto come evento storico atipico. Possono essere presentate analogie che non siano né reduttiviste, né dannose, né un caso di "pensiero sciatto"? Inoltre, un'opera d'arte può rappresentare la magnitudine dell'Olocausto come una "lacerazione" nella Storia, mentre allo stesso tempo "ripara" lo squarcio in modo che l'identità nazionale israeliana sia liberata dalla sua relazione amore-odio con il passato e la persecuzione ?
 
== ''Arbeit Macht Frei'' ==