Interpretazione e scrittura dell'Olocausto/Germania Federale: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
testo
testo
Riga 83:
== Iconoclasti tedeschi occidentali ==
 
=== ''Hitler: Unun film dalla Germania'' ===
[[File:Syberberg ister.jpg|right|240px|thumb|[[w:Hans-Jürgen Syberberg|Hans-Jürgen Syberberg]] (2004)]]
Un anno dopo l'uscita di ''Hitler, Eine Biographie'' di Joachim Fest, un'epopea di sette ore venne proiettata nelle sale d'essai della Germania occidentale. ''[[:en:w:Hitler: A Film from Germany|Hitler, ein Film aus Deutschland (Hitler: Un film dalla Germania)]]'' di [[w:Hans-Jürgen Syberberg|Hans-Jürgen Syberberg]] apparve come contro-argomento all'immagine di Fest di una ''Heimat'' posseduta dal demonio. Sebbene apparsa solo in teatri, musei e cinema minori,<ref>Kaes, ''From Heimat to Hitler'', p.41. I critici condannarono il film come antisemita. Di conseguenza, Syberberg distribuì una sola copia del film nella Germania occidentale.</ref> fu trasmessa alla televisione della Germania occidentale nel 1979 (a seguito del successo della mini-serie ''[[w:Olocausto (miniserie televisiva)|Holocaust]]'' di [[w:Gerald Green (scrittore)|Gerald Green]]) e ripresa per la distribuzione internazionale da [[w:Francis Ford Coppola|Francis Ford Coppola]].
 
''Hitler, ein Film aus Deutschland'' è uno spettacolo teatrale presentato in uno studio cinematografico. Un direttore del circo apre il film ''[[w:Georges Méliès|Mélièsque]]'' di Syberberg dicendo al pubblico che stanno per assistere alla più grande storia mai raccontata e lancia a tutti una sfida: "Tabù! Questo spettacolo parla di tabù!"<ref>''Ibid.''</ref> Syberberg, come Wolf, mette in discussione narrazioni storiche. È particolarmente interessato alle versioni della Storia perpetuate a livello visivo attraverso immagini. Syberberg presenta una serie di "rappresentazioni" di Hitler, da ''[[w:Il grande dittatore|Il grande dittatore]]'' di [[w:Charlie Chaplin|Charlie Chaplin]] all'assassino di [[w:Peter Lorre|Peter Lorre]] in ''[[w:M - Il mostro di Düsseldorf|M - Il mostro di Düsseldorf]]'' di [[w:Fritz Lang|Fritz Lang]]. Il film attacca il modo in cui l'Olocausto è diventato intrattenimento di massa attraverso l’''Onda Hitler''. Come [[:en:w:Ian Frazier|Ian Frazier]] nella parodia di ''Stuttgart Folders'', il direttore del circo di Syberberg satirizza Hitler come il più grande protagonista letterario che ha fornito:
{{q|Materiale senza fine per monologhi, monodrammi e tragedie su celluloide. Danze della morte, dialoghi
dei morti, conversazioni nel regno dei morti, cento anni dopo, mille anni, milioni di anni dopo. Passione, oratori. E chi può dirlo? ?<ref>Hans-Jürgen Syberberg, ''Hitler: em Film aus Deutschland'', trad. {{en}} Joachim Nuegroschel, Carcanet New Press, 1982, p. 32.</ref>}}
Syberberg critica la teoria di ''Betriebsunfall'' su Hitler come un "incidente sul lavoro". A differenza di Fest, Syberberg pone la responsabilità di Hitler e del nazionalsocialismo direttamente sul suo stesso popolo. "Questo film parla delle persone che lo hanno eletto... parla dell'Hitler dentro di noi... Fratello Hitler!" abbaia il direttore del circo, facendo eco al sentimento di Thomas Mann trenta anni prima. Hitler non fu un "incidente sul lavoro". Fu il culmine logico dell'identità politica e culturale tedesca, in particolare il romanticismo e l'irrazionalismo tedeschi. L'immagine centrale per la pubblicità del film era Hitler che sorgeva dalla tomba di Wagner.
 
Per sottolineare il suo punto di vista, Syberberg concentra la maggior parte del film sulle "piccole persone". I ricordi del tempo di guerra del massaggiatore di Himmler, del cameriere di Hitler e del proiezionista cinematografico rivelano come si sottomisero e parteciparono al regime — come Hitler desse la possibilità a "tutti di essere qualcuno". Syberberg ritrae il ''sancta sanctorum'' del Reichskabinet nel modo più teatrale: come marionette, col presupposto che, come i burattinai sullo schermo, la gente comune tirasse i fili di Goebbels, Hitler, Eichmann e gli altri.<ref>Timothy Corrigan, "New German Film. The Displaced Image", in ''New German Filmmakers from Oberhausen through the 1970s'', Klaus Phillips, cur., Friedrich Ungar Publishing Co., 1984, p.150, che cita Syberberg da Syberberg, ''Filmsbuch'', Nymphenburger, 1976, p. 61: "Le marionette elucidano il fatto che siamo noi che abbiamo dato vita e movimento a Hitler."</ref> Concentrandosi sul natura delle immagini stesse, gli spettatori devono mettere in discussione e rivalutare le immagini con cui sono cresciuti. Al pubblico viene costantemente ricordato che stanno guardando un costrutto teatrale e, quindi, che la propria realtà percepita è essa stessa un costrutto.
 
L'impiego di "teatralità" da parte di Syberberg nasce dalla sua passione per [[w:Georges Méliès|Georges Méliès]] e Bertolt Brecht. Nel 1952 Brecht permise al diciottenne Syberberg di filmare alcune delle sue prove.<ref>Kaes, ''From Heimat to Hitler'', pp. 42-3. Syberberg era nato nel settore orientale ma nel 1953 era scappato in Germania Ovest.</ref> "Teatralizzando" ''Hitler, ein Film aus Deutschland'' con marionette, fondali, tende e trucco pesante, Syberberg impone una distanza critica tra il pubblico e le immagini con cui è familiare. Il film e, successivamente, lo spettatore mettono in discussione il modo in cui la Seconda Guerra Mondiale e l'Olocausto sono stati registrati e interpretati e come le interpretazioni della storia influenzano il presente.
 
Il narratore annuncia che non saranno mostrate atrocità poiché tali immagini sono "pornografiche":
{{q|Stimolare in modo convincente l'atrocità significa rischiare di rendere passivo il pubblico, rinforzando gli stereotipi ottusi, confermando la distanza e creando fascino... L'esposizione dell'atrocità sotto forma di prove fotografiche rischia di essere tacitamente pornografica. Invece di escogitare uno spettacolo al passato, tentando di simulare la "realtà irripetibile" (frase di Syberberg) o mostrandolo in un documento fotografico, propone uno spettacolo al tempo presente, "avventure nella testa". La realtà può essere afferrata solo indirettamente: vista riflessa in uno specchio, messa in scena nel teatro della mente.<ref>Susan Sontag, introduzione a {{en}} ''Hitler. A Film From Germany'', p. x.</ref>}}
Syberberg presenta allo spettatore le ripercussioni delle azioni tedesche in modo meno palese e brutale delle testimonianze fotografiche: registrazioni sonore di filmati della liberazione e dichiarazioni dei testimoni. Queste pièce sonore, come nel caso del dramma radiofonico, rendono sezioni del film particolarmente intime, avvincenti e commoventi. Come notò Renate Usmiani sul potere del dramma radiofonico tedesco del dopoguerra, il suono è un confessionale non un mezzo di confronto.<ref>Renate Usmiani, "The Invisible Theatre: The Rise of Radio Drama in Germany after 1945", in ''Modern Drama'', Vol. 13 (1970-71), pp. 259-69; p. 259.</ref> Inoltre, creando la storia al presente attraverso frammenti di memoria e immagini universali, Syberberg ha dato forma visiva al ''Jetztzeit'' e alla memoria collettiva. Syberberg è interessato a come il presente sia stato paralizzato dal modo in cui il passato è stato presentato e pianto in modo insufficiente. Gli scolari tedeschi, sostiene, hanno appreso dell'Olocausto solo tramite le statistiche:
{{q|Il film è un'opera di ''Trauerarbeit'', che gli antichi chiamavano tragedia... Dobbiamo accettare le cose sinistre di cui siamo fatti. Accettarle nel processo terapeutico dell'arte, come metodo per superare e riconoscere la colpa e noi stessi... Il problema è piangere attraverso l'arte.<ref>Syberberg, ''Hitler. A Film from Germany'', p. 5.</ref>}}
Alla fine Syberberg attacca la posizione della sinistra tedesca sulla situazione arabo-israeliana. Fu un filosemitismo mal indirizzato, sostiene, che implose su se stesso creando l'ondata di sostegno filo-palestinese. Creò inoltre una relazione "speciale" tra i due paesi basata sulla colpa e sulla manipolazione piuttosto che su una vera integrazione del passato. Deve venire un momento in cui ciascuna parte deve lasciar andare l'altra. Come afferma il narratore, "La coraggiosa nazione israeliana, finalmente ripulita dal fuoco del nostro inferno, ora può svolgere le proprie azioni".<ref>''Ibid.'', p. 241.</ref> I titoli di coda terminano con la didascalia "Una proiezione nel buco nero del futuro". Questo, sostiene Anton Kaes, rende il film un giudizio sulla storia della civiltà umana.<ref>Anton Kaes, "Holocaust and the End of History: Postmodern Historiography in Cinema", in Saul Friedlander, cur., ''Probing the Limits of Representation'', Harvard University Press, 1982, pp. 206-22; p. 220.</ref> L'uomo ora vive in un'epoca in cui tutto lo sviluppo umano si è fermato perché non c'è più nulla da imparare e nessuna nuova ideologia da inventare. La civiltà sta marcendo dall'interno perché non c'è slancio in avanti. A questo proposito, Syberberg, si allea con [[w:Jean-François Lyotard|Jean-François Lyotard]] che considera l'Olocausto come il punto di rottura nella storia della progressione umana.<ref>Jean-François Lyotard, ''Political Writings'', trad. {{en}} Bill Readings e Kevin Paul Geiman, University of California Press, 1993, pp. 8-10.</ref> Syberberg, nel suo film, sta indicando la fine della civiltà occidentale e il crollo dell'evoluzione umana partendo dall'Olocausto:
{{q|Tutti i crimini contro l'umanità, incluso lo sterminio degli indiani, che per inciso sono menzionati anche in questo film, e l'annientamento degli ebrei, sono semplici sintomi della malattia fatale del Ovest moribondo.<ref>Kaes, "Holocaust and the End of History", p. 220. </ref>}}
Il film di Syberberg, quindi, non è solo un'accusa di amnesia storica tedesca. ''Hitler, ein Film aus Deutschland'' si concentra su questioni universali e sul problema specifico di Hitler e dell'Olocausto. La gestione da parte della Germania degli ebrei diventa parte dell'accumulo dei relitti umani. La figlia stessa di Syberberg, vestita di nero, ogni tanto cammina attraverso il "palcoscenico", rappresentando l'"Angelo della Storia" di [[w:Walter Benjamin|Walter Benjamin]]. Benjamin propose come un angelo, spazzato via dal Paradiso da una tempesta, potesse solo vedere impotentemente i detriti della violenza dell'umanità mentre veniva spinto alla cieca verso il futuro.<ref>2 WaIter Benjamin, ''Illuminations'', trad. {{en}} Harry Zohn, Fontana, 1973, p. 249.</ref> Allo stesso modo la figlia di Syberberg osserva i detriti mentre si accumulano. Ma in nessun momento Syberberg consente a questo messaggio di sminuire la narrativa centrale dell'Olocausto e la questione della colpevolezza tedesca. Riesce a considerare l'Olocausto come un evento unico, collocandolo nel contesto della storia umana.
 
=== Rainer Werner Fassbinder ===