Ebrei e Gentili/Saggi: differenze tra le versioni

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Possiamo ora fare un passo avanti. I (veri) Israeliti, cioè coloro che discendono da Abramo, Isacco e Giacobbe che hanno una porzione nel Mondo a venire, sono i giusti, gli ''[[w:zaddiq|tzadikim]]''. Come abbiamo visto ''supra'', Maimonide, con grande e ovvia angoscia di Rabbi Norman Lamm, definisce questi ''tzadikim'' puramente in termini di ciò che pensano e non di ciò che fanno.<ref>Si veda il [[Ebrei e Gentili/Ebrei e non ebrei#cite note-10|capitolo "Ebrei e non ebrei", nota 10]]. Naturalmente dobbiamo ricordarci che per Maimonide uno non può ottenere un qualche livello significativo di perfezione intellettuale senza prima ottenere (e mantenere) un alto livello di perfezione morale.</ref>
 
Colleghiamo ora la persona giusta, lo ''tzadik'' di Isaia 60:21, alla persona giusta, lo ''tzadik'' di Abacuc 2:4.<ref>Con questa proposizione seguiamo basilarmente Gersonide, che compose una glossa a Genesi {{passo biblico|Gen|6:9}} ("Noè fu uomo giusto [''tzadik'']") come segue: "[il termine] ''tzadik'' è usato rispetto alle virtù morali perfezionate, o rispetto alla perfezione delle intelligibilia [''shelemut hamuskalot'']. come in «il giusto [''tzadik''] vivrà per la [cioè, in virtù della] sua fede» (Abacuc {{passo biblico|Abacuc|2:4); è in quel secondo senso che viene qui usato". Per un'espressione di questa interpretazione nella ''Guida'', si veda i.30 (p. 64), dove Maimonide porta abilmente il lettore ad equiparare la giustizia con la saggezza.</ref> Maimonide credeva che gli individui giusti fossero definiti dalla loro fede e ottenessero tramite essa la vita nel Mondo a venire. Egli interpreta la fede come affermazione di verità (in contrapposizione ad un'interpretazione di fede come fiducia in Dio espressa tramite comportamento). Pertanto veniva a chidere: quali credenze specifiche costituiscono la fede dell'ebreo giusto e garantiscono a tale ebreo giusto accesso al Mondo a venire? Maimonide formulava la risposta a tale domanda nei suoi famosi Tredici Principi. L'accettazione di questi principi è la chiave alla salvezza individuale. Rifiutare uno qualsiasi dei principi, o anche solo dubitarli, pregiudicava l'accesso al Mondo a venire.
 
L'Abacuc di Maimonide, per così dire, definisce la giustizia come fede; Maimonide stesso definisce la fede come assenso ad una serie di proposizioni.<ref>Rosenberg, "Concept of Emunah", e Manekin, "Belief, Certainty, and Divine Attributes".</ref> Tale assenso non è e non può essere ristretto ai discendenti di Abramo, Isacco e Giacobbe. Qualsiasi essere umano che giunge ad una corretta comprensione delle verità contenute nei primi cinque dei Tredici Principi è perciò uno ''tzadik'', si godrà una porzione del Mondo a venire e, se non è un discendente di Abramo, Isacco e Giacobbe, allora è un non-ebreo ebreo.<ref>Per un importante testo da leggersi in tale prospettiva, si veda ''MT'' "Leggi dell'Anno Sabbatico e del Giubileo", 13:15: "Non solo la Tribù di Levi, ma ciascun essere umano individualmente, il cui spirito lo esorta e la cui conoscenza gli fornisce comprensione per mettersi a parte onde poter stare davanti al Signore, per servirLo, per adorarLo, e per conoscerLo, che cammina eretto come Dio lo ha creato che debba fare, e si libera dal giogo delle molte stolte considerazioni che assillano la gente — tale individuo è consacrato quanto il Santo dei Santi, e la sua porzione ed eredità sarà nel Signore per sempre. Il Signore gli concede adeguato sostentamento in questo mondo, parimenti a come Egli lo ha concesso ai sacerdoti e ai Leviti. Pertanto, invero Davide, pace a lui, dice: «Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: Tu sostieni quel che mi è toccato in sorte» (Salmi 16:5)." Cito Maimonide, ''Libro dell'Agricultura'', trad. {{en}} Klein, 403.</ref>
 
Ora possiamo ritornare a "Leggi del Rapporto Proibito", 14:4, e alla sua asserzione che i giusti sono Israele. Forse Maimonide allude al fatto che il Mondo a venire è custodito gelosamente solo per i giusti (individui moralmente perfezionati che riescono ad ottenere un livello minimo di perfezione intellettuale), che sono di certo Israele, ma Israele della mente, non solo Israele di discendenza.<ref>Non è una coincidenza che Maimonide citi il versetto: "Abramo piantò un tamerice in Bersabea, e lì invocò il nome del Signore, Dio dell'eternità" (Gen. 21:33) all'inizio della ''Guida'', all'inizio delle parti ii e iii della ''Guida'', all'inizio della ''Mishneh Torah'', e all'inizio di una dozzina dei suoi punti. Forse vuole intendere che gli ebrei devono emulare Abramo, che cercò di portare quante più persone possibile ad unirsi all'Israele della mente (Abramo certamente non cercava di "convertirle" a diventare suoi discendenti!). Su Abramo si veda "Leggi dell'Idolatria", 1:3, ed il comandamento positivo 3 nel ''Libro dei Comandamenti'' (dove purtroppo Maimonide non cita Gen. 21:33), come anche ''Guida'' ii.13 (p. 282) e iii.29 (p. 516). Sull'uso di questo versetto da parte di Maimonide si veda il commento nella nuova traduzione in ebraico della ''Guida'' di Michael Schwartz, vol. i, p. 4; cfr. anche Spiegel, ''Chapters'', 572-3, sull'uso del versetto non solo da parte dello stesso Maimonide, ma dai suoi discendenti e seguaci...</ref>
 
Avendo chiarito questo apparente ostacolo testuale, possiamo ora ritornare a "Leggi dei Re", 8:11. Quel testo, ci si ricorderà, riporta quanto segue:
{{q|...}}
 
 
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<references/></div>
 
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[[Categoria:Ebrei e Gentili|Saggi]]