Interpretazione e scrittura dell'Olocausto/Transizione: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
testo
testo e avanzam.
Riga 48:
War in Postwar German Theatre», in ''Modern Drama'' 33 (Marzo 1990) pp. 120-128; p. 121.</ref> Il critico teatrale tedesco Hanns Braun spiegò il suo successo:
{{q|Molti tedeschi che avevano appreso che nessuno può sfuggire alla rete di un regime totalitario, pensarono che Zuckmayer spiegasse e in una certa misura giustificasse la loro situazione. Qui c'era un "esterno" che aveva percepito che tutto ciò che era "interno" non era affatto ordinato, semplice,senza scrupoli o privo di opposizione come avrebbe potuto apparire al mondo esterno. Zuckmayer, con l'intuizione dell'amore, aveva capito che il grado di colpa per l'individuo con libertà di scelta e il vantaggio della prospettiva differiva da quello dell'individuo che era solo un ingranaggio in un sistema del male altamente sviluppato in cui ogni parte di per sé appariva innocua.<ref>Hanns Braun, ''The Theatre in Germany'', F. Bruckmann – KG, 1952, p. 37.</ref>}}
Braun invitava i giovani scrittori a utilizzare il "dramma della resistenza tedesca" non solo per articolare il passato recente ma anche per presentare alle generazioni future un modello di comportamento.2 Zuckmayer ritennne che il suo dramma fosse erroneamente interpretato come una glorificazione della Resistenza. Dopo il processo di Eichmann del 1961, ritenendo che la sua opera fosse troppo semplicistica e condonasse coloro che non si erano opposti ai nazisti, ritirò tutti i diritti futuri di rappresentazione.<ref>Innes, ''Modern German Drama'', p. 39.</ref>
 
I processi di Norimberga e la "scoperta" del movimento di Resistenza offrirono ai tedeschi l'opportunità di distinguere tra cittadini "decenti" e coloro che avevano sostenuto attivamente Hitler. La divisione tra la Wehrmacht e i leader delle SS e del Reich fu ampliata. Sul ''Der Ruf'', Alfred Andersch espresse l'opinione che giovani soldati innocenti della Wehrmacht fossero stati vittime delle macchinazioni politiche di Berlino. L'atteggiamento ricordava il sentimento espresso alla fine della prima guerra mondiale in cui l'opinione pubblica generava il mito secondo cui l'esercito tedesco non fu sconfitto dal nemico ma da ambiziosi politici egoisti in combutta con interessi commerciali acquisiti:
Riga 64:
In questo contesto, tuttavia, Borchert ha intessuto fili critici nei confronti di tale atteggiamento fatalistico. Il personaggio "L'Altro" tenta di dissuadere Beckmann dal suicidio, incoraggiandolo a dimenticare il suo passato e a ricominciare da capo. Per dimenticare, Beckmann deve "restituire" la responsabilità che gli era stata data durante la guerra. L'Altro sostiene che questa responsabilità appartiene al vecchio colonnello di Beckmann e che lo stesso Beckmann era una semplice pedina di guerrafondai. Tuttavia, alla fine del dramma, Beckmann si rende conto di essere il colpevole e deve accettare la sua complicità nella morte di venti uomini, cioè venti soldati tedeschi... e qui sta il problema.<ref>Il dramma di Borchert in effetti è alquanto simile al film ''Die Mörder sind unter uns''.</ref>
 
Nella commedia gli ebrei sono menzionati una sola volta in relazione al doppio suicidio dei genitori di Beckmann. Il padre di Beckmann aveva perso la pensione a causa del fallimento di un test di denazificazione. Come un vicino poco simpatico riferisce a Beckmann reduce, "si riscaldava sempre troppo riguardo agli ebrei".<ref>Borchert, ''The Man Outside'', p. 111.</ref> Di conseguenza, i genitori di Beckmann si erano uccisi col gas. Questa immagine è ambigua. Se Borchert intendesse usare l'Olocausto come strumento teatrale per unire tutto l'orrore, la sofferenza e la perdita in un'immagine di apocalisse universale o se stesse sostenendo che gli antisemiti avevano ottenuto ciò che meritavano, è discutibile. Il vocabolario universalizzante presente nei suoi racconti pubblicati dopo la sua morte, nel novembre del 1947, sembra sostenere l'argomento precedente. Siegfried Mandel sottolinea che la tendenza a descrizioni analoghe di sofferenza e morte era diffusa negli scritti tedeschi del dopoguerra. ''Der Ruff'' nel 1948 dedicò gran parte dei suoi servizi al massacro della gioventù tedesca e al trattamento dei prigionieri di guerra tedeschi.<ref>Mandel, ''Group 47'', pp. 10-11.</ref> Gli articoli sembrava sottolineassero che il sistema dei campi di concentramento era nato per la prima volta con gli inglesi durante la [[w:guerre boere|guerra boera]]. Mandel sostiene che il tono di tali articoli sottolineava i crimini contro i tedeschi in opposizione ai crimini commessi da loro "come se un crimine ne mitigasse un altro".<ref>''Ibid.''</ref>
 
L'importanza di Borchert era che dava voce al dolore tedesco. Ma così facendo negava l'esistenza di coloro che i suoi compagni tedeschi avevano torturato e ucciso — una strategia simile a quella che [[:en:w:Eric Santner|Eric L. SanterSantner]] descrive come "feticismo narrativo".<ref>Si veda l'[[Interpretazione e scrittura dell'Olocausto/Introduzione|Introduzione]].</ref> Lo stile che Borchert utilizza evita il confronto con un'analisi politica e sociale obiettiva. La sua attrazione è simile a quella dei classici tedeschi: consente un'esplorazione del presente attraverso un ritiro nei capricci e nella lontananza del passato.
 
''Fuori davanti alla porta'' influenzò gli scrittori del dopoguerra. Simboli o tipi sostituirono la caratterizzazione naturalistica. La storia divenne indeterminata, amorfa. I testi tendevano ad essere espressivi ma evitavano l'analisi. L'indagine psicologica era considerata un approccio troppo facile per spiegare la politica del ventesimo secolo. Che uno partecipasse ad atrocità non era più una questione di integrità morale. Le immagini di vittima e vittimizzatore divennero intercambiabili in un mondo in cui tutti erano vittime della guerra. "Siamo assassinati ogni giorno e ogni giorno commettiamo un assassinio",<ref>Borchert, ''The Man Outside'', p. 130.</ref> scrisse Borchert indicando come si potesse essere sia vittime che assassini. Zuckmayer giocò con la stessa idea nel suo ''Das Gesang im Feuerofen'' ("Canzone della fornace ardente", 1951). Si basava su una storia vera di collaboratori francesi che condussero la Gestapo a catturare una banda di francesi della Resistenza. Nel dramma, il protagonista, Louis Greveaux, provoca la morte dei combattenti francesi, bruciati vivi dai tedeschi in un vecchio castello. Non sente rimorso né offre alcuna spiegazione per le sue azioni. La mancanza di un esame psicologico è intenzionale poiché Zuckmayer intendeva che il suo personaggio fosse inspiegabile.<ref>Innes, ''Modern German Drama'', p. 24.</ref> Zuckmayer richiedeva che gendarmi e soldati tedeschi fossero interpretati dagli stessi attori e che i personaggi corrispondenti fossero chiamati con lo stesso nome. Non viene proposta una chiara delimitazione tra esecutore e vittima e le motivazioni non vengono chiarite. Ciò che Borchert e Zuckmayer stavano tentando di fare era incoraggiare un processo di guarigione mediante la catarsi del lutto. Alla fine di ''Das Gesang im Feuerofen'', Zuckmayer scrive: "Era nostro dovere essere nemici. Ora è nostro diritto essere fratelli."
 
== Lo ''Yishuv'' ==
Il crescente numero di scaramucce con gli arabi e la necessità di creare un'economia stabile da una terra sterile erano al centro dell'attenzione della comunità ebraica. Ciò veniva esacerbato dall'assorbimento di nuovi immigrati, molti dei quali sopravvissuti all'Olocausto. Tra il 1945 e il 1947, 71.000 ebrei emigrarono in Palestina.<ref>Robert Slater, ''Rabin of Israel – a Biography'', Robson Books, 1977, p. 57.</ref> Le prove delle atrocità del Terzo Reich non avevano bisogno di essere visualizzate sul palcoscenico per le persone che avevano familiarità con le conseguenze della Soluzione Finale di Hitler. Era un argomento delicato sia per coloro che erano sopravvissuti sia per la [[w:sabra|popolazione sabra]] che non riusciva a comprendere perché i loro parenti fossero andati "come pecore al massacro".<ref>Gilbert, ''The Holocaust'', pp. 367-69.</ref> Quanto il problema fosse delicato può essere misurato dal fatto che molte opere teatrali furono scritte sull'Olocausto negli anni ’40 e ’50 ma, secondo Ben-Ami Feingold, non vennero mai messe in scena.<ref>Ben Ami Feingold, "Hebrew Drama as a Modern Morality Play", Ben Zvi, cur., ''Theater in Israel'', pp. 269-83; p. 281.</ref>
 
Sulla stampa si diede grande rilievo agli audaci tentativi dei gruppi [[w:Palmach|Palmach]], [[w:Haganah|Haganah]] e dei gruppi illegali – l'[[w:Irgun Zvai Leumi|Irgun]] e il [[w:Lohamei Herut Israel|Lehi (la Banda Stern)]] – che cercavano di portare gli immigrati a terra dalle navi che arrivavano coi profughi. La Palestina, sotto mandato britannico, era ancora soggetta a rigide quote di immigrazione e l'esercito britannico respingeva le navi "illegali" cariche di profughi ebrei. In letteratura venne evidenziato l'ebreo come combattente, eroe e protettore della terra. Molti membri di Irgun e Lehi erano stati profughi dalle stesse persecuzioni naziste e furono mostrati come esempi di ebrei della Diaspora che avevano reagito e continuavano a farlo.<ref>Slater, ''Rabin of Israel'', pp. 57-8. La banda Stern era un gruppo distaccato dell'Irgun che aveva preso il nome dal suo primo capo, [[w:Avraham Stern|Avraham Stern]]. Venne poi capeggiato, tra il 1943 e 1944, da [[w:Menachem Begin|Menachem Begin]].</ref>
 
Al fine di fornire ai sopravvissuti un futuro, Israele doveva essere in grado di sostenere la popolazione in aumento. Trasformare il deserto in un terreno agricolo economicamente sostenibile e proteggerlo dagli arabi furono i problemi principali che gli israeliani dovettero affrontare. Di conseguenza, il "dramma dei pionieri" era in voga. Queste opere presentavano i sabra che superavano le difficoltà agrarie, le calamità naturali, le loro diverse origini e le ostilità arabe.
 
Oltre alle rappresentazioni teatrali di pionieri indigeni, i classici europei e talvolta americani vennero messi in scena per richiesta popolare. Prima di venire in un paese agricolo, molti immigrati avevano vissuto vite di alta cultura in Europa. Inoltre, come scrive Shosh Avigal, l'establishment israeliano non voleva essere considerato culturalmente regressivo.<ref>Shosh Avigal, "Patterns and Trends in Israeli Theater and Drama, 1948 to Present", p. 30.</ref> Ad esempio, il repertorio del [[w:Teatro Cameri|Teatro Cameri]] del 1946 includeva ''[[w:Il servitore di due padroni|Il servitore di due padroni]]'' di [[w:Carlo Goldoni|Goldoni]] e ''[[w:Nozze di sangue (dramma)|Nozze di sangue]]'' di [[w:Federico García Lorca|Lorca]].<ref>Kohansky, ''The Hebrew Theatre'', pp. 152-3.</ref>
 
Ma, come scrive Linda Ben-Zvi, i politici e i critici stavano già pensando quale immagine di Israele doveva essere presentata come modello per i propri diversi immigrati e per il mondo esterno:
{{q|Raramente il teatro si è schierato in modo così diretto e univoco alla creazione di una società, alla diffusione di un'ideologia e alla sua successiva analisi e critica; in pochi posti al mondo si è verificato un impulso come quello del teatro israeliano che si concentrò totalmente nella sua funzione di specchio della società.<ref>Ben Zvi, ''Theater in Israel'', p. vii.</ref>}}
L'élite intellettuale aveva idee molto ferme su ciò che costituiva l'identità israeliana anche se si scontrava con la cultura popolare incarnata nelle commedie yiddish dello shtetl. L’Habima aveva messo in scena un gran numero di questi spettacoli teatrali, ma furono severamente criticati dagli intenditori e dagli intellettuali che credevano fervidamente che l’Habima, in quanto portavoce teatrale dello Yishuv, avrebbe dovuto ritrarre le aspirazioni di una nuova stirpe di ebrei che era l'antitesi di tutto ciò che la Diaspora ebraica aveva rappresentato.<ref>''Ibid.'', p. 133.</ref>
 
A tal fine, lo yiddish era visto come il linguaggio del degrado e dell'acquiescenza. Le lezioni e gli spettacoli teatrali nelle scuole e delle tre compagnie professionali erano in ebraico.<ref>Kohansky, ''The Hebrew Theatre'', p. 1.</ref> Si stava coltivando una generazione che associava il teatro alla lingua ebraica. Come scrive Kohansky:
{{q|L'origine del teatro ebraico è legata alla realizzazione dell'ideale sionista; i primi teatri ebraici, siano essi fondati in Europa o sul suolo della Palestina, dovevano innanzitutto essere veicoli per la lingua ebraica — lo strumento principale del rinascimento culturale ebraico, e il loro significato nazionale andava, quindi, ben oltre il semplice lato artistico.<ref>''Ibid.''</ref>}}
La questione dell'identità nazionale era fondamentale. Non sarebbe passato molto tempo prima che lo ''Yishuv'' si assicurasse i propri diritti sovrani. L'identità, tuttavia, ha bisogno di tempo per maturare. La comunità ebraica in Palestina era relativamente giovane. Senza una vera storia palestinese su cui ripiegare, tranne la storia biblica, l'identità contemporanea poteva essere articolata solo opponendosi al retaggio della Diaspora, ma il martirio insensato non aveva posto nella lotta per la sicurezza nazionale in Medio Oriente. L'identità israeliana era formulata secondo un ''concetto'', il sogno sionista, mentre l'eredità europea era basata sulla realtà. Lo spostamento dell'Olocausto dal continuum europeo, evidente sin dagli anni ’30, continuò rapidamente con la promozione di questa immagine sionista.
 
Questo spostamento può essere riscontrato nel teatro. Nel dicembre del 1947 l’Habima mise in scena ''Kiddush Hashem'' ("Martirio", 1920) un dramma storico dello scrittore yiddish [[w:Sholem Asch|Sholem Asch]]. Racconta la storia dell'eroismo e del martirio ebraici durante la [[w:Rivolta di Chmel'nyc'kyj|Rivolta di Chmel'nyc'kyj]] in Ucraina nel 1648, durante la quale i cosacchi uccisero 1.400 uomini, donne e bambini. Agli ebrei venne offerta la vita se si fossero inchinati davanti alla croce e avessero accettato Cristo. Gli ebrei risposero cantando salmi e rifiutando di abbandonare la propria fede. Il parallelo tra persecuzione in Ucraina sotto lo Zar e in Ucraina sotto Hitler e i suoi lacchè ucraini non era difficile da trarre. Come per la produzione del 1944 di ''Io vivrò'' di [[:en:w:David Bergelson|David Bergelson]], la produzione ricevette recensioni sfavorevoli per il suo messaggio ortodosso. Chiuse dopo solo ventinove rappresentazioni. ''[[w:Haaretz|Ha’aretz]]'' scrisse che l’Habima, in quanto teatro nazionale embrionale di Israele, aveva una responsabilità nei confronti del suo popolo e che il 1947 era il momento sbagliato per evidenziare il martirio ebraico e l'accettazione passiva del destino. Questa immagine, sosteneva, non si applicava più alla realtà che era la Palestina.<ref>''Ha’aretz'' (2 gennaio 1948), citato in Levy, ''The Habima'', p. 129.</ref>
 
L'immagine preferita era quella del combattente e dell'eroe. Subito dopo la guerra ci fu una serie di spettacoli sulla combattente della resistenza, [[w:Hannah Szenes|Hannah Senesh]]. Secondo Dan Laor, ''Hannah’s Road (La via di Hannah)'' di [[:en:w:Yitzhak Sadeh|Yitzhak Sadeh]], messo in scena da un gruppo di dilettanti, fu "un’espressione significativa della necessità di posizionare Hannah Senesh, il simbolo della lotta ebraica e sionista contro i nazisti, in prima linea nella coscienza israeliana."<ref>Dan Laor, "Theatrical Interpretations of the Shoah: Image and Counter-Image", documento presentato alla conferenza "The Shoah and Performance Conference", Glasgow, settembre 1995, p. 2-3.</ref>
 
L'imperativo per il nuovo Stato di stabilire un'immagine nazionale "sana" si univa all'afflusso dei sopravvissuti. L'Olocausto era un problema delicato ma "conveniente". Lo ''Yishuv'' non era ancora uno Stato. Le infiltrazioni e gli scontri ai confini con gli arabi avevano intimato il probabile esito di una dichiarazione di indipendenza. Per garantire la vittoria e la sopravvivenza, gli ebrei dovevano combattere. I leader sionisti utilizzarono tutti i metodi possibili, comprese le arti, per diffondere questo messaggio.
 
{{clear}}
== Note ==
<div style="height: 200px; overflow: auto; padding: 3px; border:1px solid #AAAAAA; reflist4">
<references/></div>
 
{{Avanzamento|75100%|31 gennaio 2020}}
[[Categoria:Interpretazione e scrittura dell'Olocausto|Transizione]]