Ebrei e Gentili/Teoria: differenze tra le versioni

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Per poter capire la posizione di Maimonide in queste materie dobbiamo esaminare la sua teoria dell anima. Maimonide adottò una variante di un resoconto medievale aristotelico abbastanza standard della natura dell'anima umana. Secondo questo approccio gli umani nascono con un potenziale di apprendimento, che possono o meno attualizzare; è in questa capacità e nella sua attualizzazione che si basa la nostra umanità. Nasciamo con differenti capacità di apprindimento e di conoscenza; nella misura in cui attualizziamo tale capacità apprendendo verità astratte abbiamo veri intelletti — abbiamo in tal modo ''acquisito'' un intelletto. Se non riusciamo ad attualizzare il nostro potenziale intellettuale, questa capacità con cui siamo nati è sprecata e nulla sopravvive alla morte del nostro corpo.<ref>Una magistrale esposizione di queste materie vien fatta da H.A. Davidson, ''Alfarabi, Avicenna, and Averroes on Intellect''. Davidson discute di Maimonide a pp. 197-207.</ref>
 
Maimonide fa riferimento alla natura dell'intellezione nel primo dei suoi scritti principali, il ''Commentario alla Mishnah''. Nell'introduzione a tale opera (indirizzata, bisogna sottolineare, agli studiosi rabbinici e non ai filosofi) scrive: "Non c'è dubbio che l'intelletto di colui che comprende qualcosa di significativo non è come l'intelletto di chi non ne comprende nulla. Il primo possiede vero intelletto, e il secondo possiede solo intelletto potenziale".<ref>Trad. {{en}} Kafih, i.37.</ref> Gli esseri umani possono comprendere verità significative; tale abilità è chiamata "intelletto potenziale". Coloro che realmente apprendono tali verità convertono i loro intelletti potenziali in intelletti effettivi. È soltanto l'intelletto effettivo, spiega Maimonide, e soltanto l'intelletto effettivo che sopravvive alla morte.
 
Il punto viene ribadito in un altro passo del ''Commentario alla Mishnah''. Troviamo la seguente affermazione nel primo degli ''Otto Capitoli'' con cui Maimonide apre il suo commentario ad ''Avot'':
{{q|Sappi che questa anima singola... è come materia, e l'intelletto è la sua forma. Se non ottiene la sua forma, l'esistenza della sua capacità di ricevere tale forma è nulla ed è, per così dire, futile. Questo è il significato della sua (di Salomone) dichiarazione: "L'anima senza conoscenza non è cosa buona" [Prov. 19:2]. Significa che l'esistenza dell'anima che non ottiene la sua forma, ma che è piuttosto un'anima senza conoscenza, non è cosa buona.<ref>Citato dal testo di Maimonide, ''Scritti etici'', trad. {{en}} Weiss e Butterworth, 64.</ref>}}
Riguardo all'intelletto, l'anima è come materia, mentre rispetto alla materia, essa è una forma; nel primo aspetto, l'anima è come materia (e la materia, come ben sanno gli studenti di Maimonide, esiste potenzialmente, non effettivamente, finché non è unita alla forma)<ref>Cfr. ''Guida'' iii.8, partic. pp. 430-2.</ref> e l'intelletto è la sua forma (che esiste effettivamente e non solo potenzialmente). Se l'anima rimane nella sua fase materiale (cioè non riesce ad ottenere la condizione di "intelletto"), allora avrà sprecato la sua capacità di ottenere questo livello. Un'anima che rimane materiale, che non raggiunge mai la condizione di intelletto (ottenimento che dipende dalla conoscenza), non è cosa buona. Questa è un'affermazione della teoria riassunta ''supra'': nasciamo con una capacità di conoscere; nella misura in cui noi attualizziamo tale capacità, noi diventiamo intelletti ''in actu'' — abbiamo ''acquisito'' i nostri intelletti. Se non riusciamo ad attualizzare il nostro intelletto, quella capacità con cui siamo nati viene sprecata e nulla sopravvive alla morte del nostro corpo.
 
Nel secondo degli ''Otto Capitoli'', Miamonide afferma che la "virtù razionali" sono la saggezza e l'intelligenza, la seconda che include ''(a)'' "l'intelletto teorico", ''(b)'' "l'intelletto acquisito, ma non è questo il suo posto"; ''(c)'' "splendore".<ref>Maimonide, ''Scritti etici'', 65.</ref> Particolarmente importante qui è il fatto, notato da Herbert A. Davidson, che questo termine (cioè, l'intelletto acquisito) non appare nel ''Fusul al-madani'' di [[w:Al-Farabi|Alfarabi]], il testo su cui si basa Maimonide per la sua discussione. Era abbastanza importante ai suoi occhi, da aggiungerlo di propria autorità.<ref>H.A. Davidson, "Maimonides' ''Shemanoah Peraqim''". Attraverso un'analisi testuale, Davidson dimostra che Maimonide ha fatto largo uso del ''Fusul al-madani'' di Alfarabi in ''Otto Capitoli''. Qui il nostro testo si basa su ''Fusul al-Madani, sez. 7 (''ibid.'' 38 n. 16).</ref>
 
Un punto simile a quello appena addotto dal primo degli ''Otto Capitoli'' sembra apparire in un altro testo nel ''Commentario alla Mishnah'',quello dell'introduzione di Maimonide al decimo capitolo della Mishnah ''Sanhedrin'', il noto "Introduzione a ''Perek ḥelek''". Commentando l'affermazione rabbinica "Nel Mondo a venire non si mangia, non si beve, lava, unge né si hanno rapporti sessuali; ma i giusti si siedono con le loro corone sulla testa godendo dello splendore della ''shelhinahshekhinah''" (TB ''Ber.'' 17''a''), Maimonide scrive: "L'intento della dichiarazione «le loro corone sulla testa», è l'esistenza dell'anima tramite l'esistenza di ciò che conosce, in quanto esse sono la stessa cosa, come mantengono gli esperti di filosofia".<ref>Trad. {{en}} Kafih, iv.205.</ref> Uno ottiene quindi l'immortalità mediante ciò che apprende, "come mantengono gli esperti di filosofia".<ref>Barry Kogan asserisce che l'esperto filosofo a cui si allude qui è Avicenna: si veda "What Can We Know and When Can We Know It?".</ref> In questo testo, Maimonide attribuisce ai rabbini talmudici una posizione sostenuta dagli "esperti di filosofia".<ref>È sorprendente quanto liberamente Maimonide permetta ai suoi lettori rabbinici (qui si tratta di un testo dal suo ''Commentario alla Mishnah'') di vederlo usare idee e testi filosofici nelle sue spiegazioni degli autori della Mishnah e del Talmud. il ''locus classicus'' di ciò è la sua breve introduzione agli ''Otto Capitoli'', in cui annuncia ai suoi lettori che, per poter spiegare il significato del trattato ''Avot'', è docuto ricorrere agli scritti di filosofi antichi e moderni. Come ha dimostrato H.A. Davidson in "Maimonides’ ''Shemonah Peraqim''", questi filosofi antichi e moderni si rivelano essere [[Storia della filosofia/Aristotele|Aristotele]] e al-Farabi.</ref> Secondo questa posizione, uno ottiene l'immortalità grazie – esclusivamente – alla conoscenza che uno ha acquisito.
 
Se ora esaminiamo la successiva opera principale di Maimonide, la sua ''[[Mishneh Torah]]'', troviamo ulteriori indicazioni che egli aveva adottato una versione della teoria dell'intelletto acquisito. In "Leggi delle Fondamenta della Torah", 4:9, egli spiega perché l'anima può sopravvivere alla morte del corpo: "Questa forma dell'anima non è distrutta, poiché non richiede vita fisica per le sue attività. Conosce e apprende le intelligenze che esistono senza sostanza materiale; conosce il Creatore di tutte le cose; e dura per sempre".<ref>Citato dal ''Libro della Conoscenza'', trad. {{en}} Hyamson, 39a.</ref> Se l'ultima congiunzione di questo passo è intesa come "e quindi" (costrutto di certo coerente con l'ebraico) allora Maimonide dice che l'anima di una persona dura per sempre grazie alla conoscenza acquisita del Creatore. Dato il passo citato nella sua "Introduzione a ''Perek ḥelek''", e altri passi da considerarsi in seguito, questo sembra essere il costrutto migliore da darsi a tale testo.
 
Maimonide rende il punto molto chiaro nel successivo passo che fa riferimento alla nostra materia. Commentando nuovamente sul passo in TB ''Berakhot'' 17''a'' a cui si allude nel suo commentario a ''Perek ḥelek'', egli dice: "La frase «le loro corone sulla testa» si riferisce alla conoscenza che hanno acquisito, e ''grazie alla quale'' [''shebiglalah''] hanno ottenuto la vita nel mondo a venire".<ref>"Leggi del Pentimento", 8:3, in ''Libro della Conoscenza'', trad. {{en}} Hyamson, 90''a''-''b''.</ref> Non potrebbe essere più chiaro! Si ottiene la vita nel mondo a venire grazie alla conoscenza che uno ha acquisito.
 
Se poi esaminiamo la ''Guida'', di nuovo troviamo riferimenti e indicazioni ma, come già notato, non troviamo un'esposizione chiara di una qualche teoria psicologica. Nel discutere il termine "mangiare" in ''Guida'' i.30 (p. 63), Maimonide evidenzia che è applicato figurativamente a "conoscenza, apprendimento e, in generale, apprensioni intellettuali mediante cui la permanenza della forma umana pedura nello stato più perfetto, proprio come il corpo perdura mediante cibo nel migliore dei suoi stati." Perfezione e "resistenza permanente" (cioè immortalità), allora, sono conseguenze delle "apprensioni intellettuali".
 
 
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