Thomas Bernhard/Piacere: differenze tra le versioni

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{{q|Eppure la faccia non mente: siamo noi che leggiamo ciò che non vi è scritto. In ogni caso, la decifrazione del viso è un'arte grande e difficile. I suoi principi non possono mai essere appresi ''in abstracto''. Il primo presupposto per praticarla è che devi avere una visione puramente oggettiva del tuo uomo, il che non è così facile da fare: non appena la minima traccia di avversione, parzialità, paura, speranza o persino pensiero di quale impressione noi stessi proviamo per lui, in breve non appena viene coinvolto qualcosa di soggettivo, il geroglifico diventa confuso e corrotto.|Schopenhauer, ''op. cit.'', p. 233}}
Si potrebbe dire che ciò che Schopenhauer scrive riguardo ai problemi della soggettività corrisponde ai problemi di Reger nel trovare la perfezione nel ritratto di Tintoretto. Reger non può evitare di avere una visione soggettiva del dipinto di Tintoretto, poiché si riferisce alla figura nel ritratto. Quando incontra l'inglese che è venuto a vedere anche lui il ritratto di Tintoretto, Reger affronta la sfida di sedersi sul ''settee à deux'' della Sala Bordone, osservando sia il dipinto che l'essere umano dal vivo (''AM'' p. 72). Dal momento che l'inglese è inizialmente un completo estraneo, la prima visione di tale estraneo da parte di Reger è, secondo Schopenhauer, oggettiva, ma quanto più l'inglese rimane in vista a Reger, tanto più soggettiva diventa la vista; più Reger viene a sapere di lui e meno l'inglese rimane estraneo.
 
Come è quindi possibile visualizzare una faccia in modo obiettivo? L'osservazione dell'inglese – che è, in sostanza, uno sconosciuto – da parte di Reger è obiettivo? Nel suo libro ''A Short Guide to Writing About Art'', [[:en:w:Sylvan Barnet|Sylvan Barnet]] suggerisce che non è più l'"occhio innocente" con cui guardiamo, ma un processo più creativo e selettivo.<ref>Secondo Barnet, l'"occhio innocente percepisce soltanto", in contrasto con la "visione costruttivista", che "sostiene che l'occhio è selettivo e creativo" – Sylvan Barnet, ''A Short Guide to Writing about Art'', VII ed., Longman, 2003, p. 23.</ref> Barnet crede che non stiamo osservando oggettivamente: "Inevitabilmente, noi osserviamo da un punto di vista particolare (anche se non ne siamo consapevoli) — per esempio, la visione di un maschio bianco della classe media che invecchia, o di un cinese-americano di seconda generazione, o di una giovane femminista chicana nel primi anni del ventunesimo secolo".<ref>Sylvan Barnet, ''A Short Guide to Writing about Art, cit.'', p. 23.</ref> Barnet continua spiegando che noi come spettatori e osservatori siamo, in effetti, i prodotti del nostro ambiente: "Le nostre interpretazioni dell'esperienza le sentiamo certamente come nostre proprie ma, lungi dall'essere oggettive, sono (si crede) in gran parte condizionate da ciò che siamo — e chi siamo dipende in parte dalle culture che ci hanno plasmato".<ref>Sylvan Barnet, ''A Short Guide to Writing about Art, cit.'', p. 23.</ref> L'occhio, invece di rispecchiarsi o percepire passivamente, "seleziona, rifiuta, organizza, discrimina, associa, classifica, analizza, costruisce".<ref>Barnet, ''op. cit.'', p. 23.</ref> La visualizzazione è proprio un processo creativo. Il punto di vista di Reger riguardo all'inglese non può essere oggettivo.
 
Per applicare l'idea di Bernhard alla relazione di Reger con il ritratto di Tintoretto, si deve concordare con l'idea che Reger non è in grado di vedere il ritratto con pura obiettività perché è un prodotto del suo ambiente austriaco. L'uomo nel quadro dell’''Uomo dalla barba bianca'' non ha un nome proprio nel suo titolo e, di conseguenza, è estraneo a Reger a prima vista. Anche se la figura nel ritratto è estranea a Reger nel senso che i due uomini non si conoscono, ci sono cose del ritratto con cui Reger prende confidenza a prima vista. Ad esempio, Reger ha senza dubbio familiarità con lo stile del Tintoretto. Poiché Reger è un amante dei musei e un sostenitore dell'alta arte, è ragionevole supporre che Reger abbia visto altri dipinti del pittore veneziano. La casa di Reger è Vienna e, per molti versi, lo è anche il Kunsthistorisches Museum, luogo in cui è appeso il ritratto di Tintoretto. Quando Reger si reca al Kunsthistorisches Museum, è consapevole non solo delle opere d'arte degli antichi maestri, ma anche del tesoro degli Asburgo. Conosce alquanto bene Irrsigler (la guardia del museo), la Sala Bordone (che custodisce il ritratto del Tintoretto) e la Sala Sebastiano (contenente dipinti di Tiziano). Oltre ad aver trascorso del tempo dentro e intorno al museo, Reger comprende la relazione tesa tra Tiziano e Tintoretto e l'ironia nel collocare i dipinti dei due pittori uno accanto all'altro, in due sale adiacenti. Date tutte queste ragioni che rendono Reger familiare col suo ambiente, diventa chiaro come gli sia impossibile vedere il ritratto in modo obiettivo.
 
Reger non è privo di emozioni personali – ciò che Schopenhauer chiama avversione, parzialità, paura e speranza – quando guarda il dipinto. Tutto ciò che circonda il dipinto gli è familiare. È consapevole della sua posizione, di ciò che lo circonda e dell'ambiente. Bisogna supporre che questo non sia il primo dipinto di Tintoretto che l'ottantadue Reger abbia visto. Per Reger, come spettatore del ritratto del Tintoretto nel Kunsthistorisches Museum, "tutto ciò che è soggettivo coinvolge" e il potenziale di qualsiasi visione oggettiva diventa "confuso e corrotto", secondo i pensieri di Schopenhauer sulla probabilità di punti di vista oggettivi. Schopenhauer ritiene che "così come possiamo ascoltare il suono di una lingua solo se non la comprendiamo, parimenti possiamo vedere la fisionomia di un uomo solo se ci è estraneo: di conseguenza, si può ricevere un'impressione puramente oggettiva di un volto, e quindi avere la possibilità di decifrarlo, solo a prima vista."<ref>Schopenhauer, ''op. cit.'', p. 233.</ref> Uno deve rimanere estraneo al suo oggetto visivo per vedere l'oggetto oggettivamente. Dopo la prima vista, l'oggetto diventa familiare e influenze esterne corrompono l'immagine. In questo modo, la filosofia di Schopenhauer getta una luce intensa su Reger, che non può mai incontrare l'uomo barbuto nel ritratto. Da un lato, egli rimarrà sempre estraneo al personaggio di Tintoretto nel dipinto. Dall'altro, Reger non è estraneo all'uomo barbuto perché conosce gli aspetti superficiali dell'uomo barbuto piuttosto intimamente, dopo le sue continue visite al museo. Reger, commentando la sua visione ritualistica del ritratto di Tintoretto, dice: "Ho guardato questo dipinto per oltre trent'anni e trovo ancora possibile guardarlo... Gli Antichi Maestri si stancano rapidamente se li studiamo scrupolosamente e ci deludono sempre se li sottoponiamo a un esame più attento, se li rendiamo l'oggetto spietato del nostro intelletto critico" (''AM'' pp. 150-151). Reger ha osservato il volto nel ritratto così a lungo che non è possibile nessuna decodifica oggettiva "vera". Anche se il soggetto nel dipinto rimane anonimo, Reger, influenzato dall'ambiente storico, politico, religioso e viennese mentre osserva l’''Uomo dalla barba bianca'' di Tintoretto, vede il dipinto con l'intensità di una persona che ha avuto qualche precedente rapporto con il soggetto nel ritratto. Ad ogni visita ripetuta, Reger non solo acquisisce più familiarità con le qualità del dipinto, ma anche con lo sconosciuto, che condivide somiglianze di età e genere con Reger. Il punto di vista di Reger non può che essere soggettivo. Egli è un prodotto dell'alta cultura viennese, uno spettatore e un critico che non ha "l'occhio innocente" ma l'occhio che crea e critica. Pertanto, si potrebbe dire che Reger vede l'uomo barbuto come se fosse un riflesso dello stesso Reger.
 
 
 
 
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