Thomas Bernhard/Fuoco: differenze tra le versioni

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La più sorprendente delle innovazioni formali di Bernhard è il suo uso pervasivo della ripetizione come dispositivo narrativo distintivo, dispositivo le cui operazioni possono essere osservate in almeno tre aspetti distinti della sua opera: in primo luogo, racconta essenzialmente la stessa storia più e più volte in ciascuno di i suoi romanzi; secondo, ogni parola o frase significativa in ciascuno di questi romanzi viene ripetuta e permutata all'infinito; infine, le sue storie vengono regolarmente raccontate da narratori che affermano di ripetere semplicemente ciò che è già stato detto loro dagli osservatori di prima mano.
 
La "storia base" di Bernhard, che riappare in tutta la sua narrativa principale, è la storia di un protagonista che, sentendosi bersaglio di una violenza persecutoria, cerca di spostare questa violenza su un surrogato. L'onnipresenza dell'ansia reciproca nei rapporti umani è espressa in modo irresistibile dal Principe Saurau in ''Verstörung (Perturbamento)'':
{{q|Conversando... la gente ha sempre l'impressione di stare in bilico su una corda e gli esseri umani hanno costantemente paura di precipitare a quel basso livello che ad essi si addice. È una paura che provo anch'io. Così tutti i discorsi si svolgono sempre fra persone in bilico su una corda che hanno costantemente paura di precipitare giù, di essere ricacciate a quel basso livello che è il loro.|''Perturbamento'', p. 172}}
Ciò che il principe non dice, ma Bernhard afferma implicitamente ovunque nelle sue opere, è che il modo più affidabile per evitare di essere "spinto verso il basso" è quello di spingerne giù un altro al posto suo.
 
''Das Kalkwerk (La fornace)'' è pieno di allusioni alla narrativa archetipica della persecuzione che è la storia unica e ripetuta all'infinito di Bernhard. Pertanto il personaggio Konrad ritiene che chiunque si dedichi a un serio lavoro intellettuale diventa la "vittima di una cospirazione che alla fine avrebbe coinvolto il mondo intero e anche qualsiasi altra possibilità esistesse al di là del mondo". In seguito, egli denuncerà "la cosiddetta società dei consumi sempre più disturbata, nervosa, con il suo effetto cronicamente irritante e alla fine rovinoso su tutto ciò che è nella natura dello sforzo intellettuale".
 
Inizialmente, la fornace sembra essere un rifugio ideale dalla violenza del mondo circostante. Situata in una posizione isolata e formata da muri il cui spessore garantisce un ulteriore isolamento da un mondo che, per definizione, è ostile al lavoro intellettuale di Konrad, sembra essere la cornice perfetta per Konrad per poter lavorare sulla sua monografia sul "senso dell'udito". Ci rendiamo poi conto, tuttavia, che la fornace non è tanto un rifugio dalla violenza, ma è un ambiente in cui Konrad può spostare verso un altro la violenta persecuzione a cui crede di essere stato sottoposto. Il suo surrogato preferito è sua moglie, che agli inizi tortura leggendole dal ''[[w:Tractatus logico-philosophicus|Tractatus]]'' di [[w:Ludwig Wittgenstein|Wittgenstein]], "una sua abitudine che era sicura di portare una donna alla pazzia". Alla fine, le spara alla testa con un fucile, lasciando il suo corpo "accasciato in avanti, con la testa tutta fatta a pezzi dal colpo o dai colpi di quella carabina".
 
I principali romanzi che seguono ''Das Kalkwerk'' saranno essenzialmente variazioni nella narrativa della persecuzione archetipica la cui forma Bernhard aveva già delineato nella storia di Konrad e di sua moglie. In ''Korrektur (Correzione)'', ad esempio, la fornace si trasforma nella soffitta di Holler, descritta dal narratore come la "prigione del pensiero" in cui il personaggio Roithamer perseguirà il suo progetto di costruire l'abitazione umana ideale per la sua amata sorella, che rimpiazza la moglie di Konrad. Roithamer è profondamente legato a sua sorella; ciò, tuttavia, non gli impedisce di provocarne la morte, che si verifica il giorno stesso in cui si trasferisce nella casa che lui ha costruito per lei. Come Konrad, che ha costretto sua moglie a partecipare a un folle esperimento durante la preparazione del libro che non scriverà mai sul senso dell'udito, Roithamer involontariamente uccide sua sorella costringendola ad abitare in una casa completamente contraria alla sua stessa natura. Bernhard implica che la sorella, per quanto inconsapevolmente da parte di Roithamer, sia diventata un surrogato che sostituisce il suo violento odio per la madre, a cui si riferisce ripetutamente con disprezzo come "quella donna di Eferding" e che incolpa di tutti i tormenti che la vita gli ha procurato. La ricorda nella sua infanzia, "Per tutto il giorno stava in piedi nel suo repellente stato di trascuratezza" e implacabilmente contraria al suo interesse per la cultura: "mia madre non aveva, per quanto ne sapessi, mai letto un buon libro, detestava tutto ciò che riguardava i libri". Il meccanismo in base al quale la violenza viene spostata da un oggetto a un altro nei romanzi di Bernhard sembra, tuttavia, garantire che l'odio di Roithamer nei confronti di sua madre non porterà a un atto palese di violenza diretto contro di lei. Piuttosto, è la sorella che morirà al suo posto.<ref>Citazioni da ''Korrektur'', 1975, pp. 173, 187, 189 e ''passim''.</ref>
 
Un modello simile appare in ''Wittgensteins Neffe. Eine Freundschaft (Il nipote di Wittgenstein. Un'amicizia)'', un'opera autobiografica in cui Bernhard sposta il suo "deterioramento" sul suo amico Paul Wittgenstein. Bernhard e Wittgenstein si ritrovano in un sanatorio a causa dalle rispettive malattie: fisiche del primo, mentali del secondo. La qualità speculare di queste malattie consente un dislocamento in base al quale Bernhard occuperà la posizione relativamente invulnerabile del narratore, mentre Paul Wittgenstein fungerà da protagonista che allevia almeno parzialmente la sofferenza del narratore. Bernhard aveva sottolineato questa relazione sacrificale tra se stesso e i suoi protagonisti in un'intervista con André Müller: "Quando scrivo di questo tipo di cose, di questo tipo di situazione centrifuga che porta al suicidio, sto certamente descrivendo uno stato mentale con cui mi identifico, che probabilmente ho provato mentre scrivevo, proprio perché non mi sono suicidato, perché ne sono sfuggito".<ref>Citato in Claude Porcell, ''Ténèbres, cit.'', p 99.</ref>
 
A metà del romanzo, come se lo stesse preparando per quella che equivale a una morte sacrificale, Bernhard descrive Paul in un modo che assomiglia in modo inquietante a un autoritratto: "Era l'osservatore più spietato e trovava costantemente occasione per accusare. Nulla sfuggiva alla sua lingua accusatrice. Coloro che vennero sottoposti al suo scrutinio sopravvivevano solo per poco tempo prima di venir straziati;... li criticava con le stesse parole che io stesso impiego quando sono indignato, quando sono costretto a difendermi e ad agire contro l'insolenza del mondo per non essere abbattuto e annientato da esso". Questa appannamento della distinzione tra narratore e protagonista pone le basi per una morte che Bernhard aveva a lungo contemplato ma che Paul avrebbe effettivamente messo in atto. Bernhard rivelerà che "Per anni mi ero rifugiato in una terribile meditazione suicida" e che "Ogni mattina al risveglio ero inevitabilmente coinvolto in questo meccanismo di meditazione suicida". Tuttavia, per fortuna, Paul "soffriva della stessa malattia", ed è lui, piuttosto che Bernhard, che acquisirà "l'odore di miseria e morte". Bernhard lo eviterà durante questo periodo terminale "perché avevo paura di un confronto diretto con la morte", pur riconoscendo il rapporto di fondo tra la morte di Paul e la sua stessa sopravvivenza: "Non è inverosimile dire che questo amico doveva morire per rendere la mia vita più sopportabile e persino, per lunghi periodi, possibile". Nella frase conclusiva del romanzo Bernhard suggerirà che l'amico, la cui vita era così intimamente connessa con la sua, sia stato ora espulso definitivamente: "Giace, come si suol dire, nel Cimitero Centrale di Vienna. A tutt'oggi non ho visitato la sua tomba ".<ref>Citazioni da ''Wittgensteins Neffe. Eine Freundschaft (Il nipote di Wittgenstein. Un'amicizia)'', pp. 60-61, 79, 80, 88, 93, 98-100.</ref>