Thomas Bernhard/Fuoco: differenze tra le versioni

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In uno dei momenti più toccanti della sua autobiografia, Bernhard viene ricoverato in ospedale insieme a suo nonno (che sarebbe poi morto per una malattia che i suoi dottori avevano diagnosticato male). Qui, nel mezzo di questa "fabbrica della morte" dell'ospedale, Freumbichler visitava Bernhard ogni pomeriggio, sedendosi al suo capezzale e tenendogli la mano, fornendo così un momento in cui suo nipote "si sentiva estremamente felice". Durante queste visite, suo nonno impartiva a Bernhard lezioni di lotta contro la morte che lo avrebbero accompagnato per tutta la vita, nei suoi continui sforzi per sopravvivere alla malattia e alla disperazione.<ref>Cfr. Vol. III dell'Autobiografia (''Der Atem. Eine Entscheidung'' 1978 = ''Il respiro. Una decisione'', 1989).</ref>
 
Fu anche grazie a suo nonno che Bernhard conobbe [[w:Arthur Schopenhauer|Schopenhauer]], che poi avrebbe adottato come importante mentore letterario. Allo stesso modo, è stato dalle labbra di suo nonno che ha sentito per la prima volta i nomi di molti altri grandi – tra cui [[w:William Shakespeare|Shakespeare]], [[w:Georg Wilhelm Friedrich Hegel|Hegel]] e [[w:Immanuel Kant|Kant]] – che invocherà periodicamente durante il suo lavoro di scrittore. Il fascino caratteristico di Bernhard per la ''grandezza'' – la sua costante, quasi ossessiva lode per i traguardi umani veramente sublimi che espongono la completa nullità di tutti gli altri risultati semplicemente apparenti – è l'ennesimo elemento dell'eredità salvavita che gli fu lasciato in eredità dal nonno: "Durante la mia infanzia e gioventù mi parlava ripetutamente dei più grandi artisti – di [[w:Wolfgang Amadeus Mozart|Mozart]] e [[w:Rembrandt|Rembrandt]], [[w:Ludwig van Beethoven|Beethoven]] e [[Leonardo da Vinci]], [[w:Anton Bruckner|Bruckner]] e [[w:Eugène Delacroix|Delacroix]] – raccontandomi costantemente dei grandi uomini che ammirava, attirando costantemente la mia attenzione, anche quando ero bambino, a tutto ciò che era grande, sottolineando costantemente la grandezza e cercando di spiegarmi cosa fosse".<ref>''L’origine'', 98.</ref>
 
Bernhard, a sua volta, emulerà suo nonno invocando ripetutamente i nomi delle grandi figure il cui ingresso nel mondo alternativo della realizzazione artistica ispirerà i suoi sforzi. Rende omaggio, nelle pagine conclusive di ''Die Kälte. Eine Isolation'' (''Il freddo. Una segregazione'', Vol. IV dell'Autobiografia), a ''[[w:I demoni|I demoni]]'' di [[w:Fëdor Dostoevskij|Dostoevskij]], il romanzo che, più di ogni altro, gli ha mostrato la via d'uscita:
{{q|Mai in tutta la mia vita ho letto un'opera più avvincente ed essenziale, e al tempo non ne avevo mai letto una così lunga. Ha avuto l'effetto di una droga potente e per un certo periodo ne sono stato completamente assorbito. Per un po' di tempo dopo il mio ritorno a casa mi sono rifiutato di leggere un altro libro, temendo di sprofondare in una profonda delusione. Per settimane mi sono rifiutato di leggere qualsiasi cosa. La mostruosa qualità de ''I demoni'' mi aveva reso forte; mi aveva mostrato un percorso che avrei potuto seguire e mi aveva detto che ero sulla strada giusta, quella che mi faceva uscir fuori. Avevo sentito l'impatto di un'opera allo stesso tempo selvaggia e grandiosa, e sono emerso dall'esperienza come un eroe. Raramente la letteratura ha prodotto su di me un effetto così travolgente.|''Il freddo. Una segregazione''}}
Allo stesso modo, il totale assorbimento di suo nonno nel suo lavoro di artista letterario – nonostante suo nipote riconoscesse che "stava inevitabilmente spingendo la sua vita in un vicolo cieco umano e filosofico" (''La cantina. Una via di scampo'', Vol. II) – fornisce un modello che Bernhard avrebbe imitato per tutta la vita. La vista di suo nonno che scriveva metodicamente migliaia di pagine mentre insisteva sul fatto che "Tutto ciò che si scrive è assurdo" avrebbe in seguito influenzato la determinazione di Bernhard a continuare la sua opera anche di fronte alla sua assoluta assurdità.
 
Oltre a dar credito a suo nonno d'verlo salvato dalla vita convenzionale che sarebbe stata una morte certa, Bernhard ricordava anche il suo iniziare, sotto il patrocinio di Freumbichler, un'educazione musicale che, sebbene in seguito interrotta a causa della sua cattiva salute, avrebbe avuto un impatto così significativo sulle caratteristiche tipicamente musicali del suo stile di prosa. In seguito infatti dirà: "Scrivere prosa ha sempre un rapporto con la musicalità." La visione di suo nonno di un Thomas grande virtuoso del violino – e in seguito, dopo aver iniziato le lezioni di canto, come il "[[w:Fëdor Ivanovič Šaljapin|Chaliapin]] di Salisburgo" (''La cantina'') – alla fine si sarebbe adempiuta proprio nel regno letterario in cui il nonno, come precursore di Bernhard, si era già distinto. Come ha affermato [[w:Chantal Thomas|Chantal Thomas]], Bernhard è stato soprattutto uno "strumentista del linguaggio".<ref>[[w:Chantal Thomas|Chantal Thomas]], ''Thomas Bernhard'', Éditions du Seuil, collezione «Les Contemporains». [{{fr}} Réédition: ''Thomas Bernhard, le Briseur de silence'', collection « Fiction & Cie », Seuil, 2006], p. 6.</ref> Opportunamente, l'unico significativo possesso materiale che suo nonno lasciò a Bernhard dopo la sua morte fu la sua macchina da scrivere, "acquistata in un'asta al [[:de:w:Dorotheum|Dorotheum]] di Vienna nei primi anni 1920, in cui realizzò quelle che chiamava le copie buone di tutte le sue opere. Uso ancora questa macchina da scrivere, una [[:en:w:Lyman Cornelius Smith|L.C. Smith]] americana che probabilmente ha sessant'anni, per scrivere le mie opere." (''Il respiro. Una decisione'', Vol. III dell'Autobiografia).
 
 
 
{{Vedi anche|Ragionamento sull'assurdo}}
==Note==
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