Filosofia dell'amicizia/Ellenistico: differenze tra le versioni

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Rimane la questione se lo stile di vita di Aristippo fosse basato su una filosofia coerente. Ma furono fatti tentativi a fine quarto secolo e all'inizio del terzo per fornirne una. I filosofi che intrapresero questo progetto sono noti collettivamente come [[w:Scuola cirenaica|i cirenaici]] e includevano il nipote di Aristippo, Aristippo il Giovane. La scuola cirenaica era specifica nel rifiutare l'idea che l’''eudaimonia'' dovesse essere identificata con l'obiettivo verso cui tutti i nostri sforzi dovrebbero essere diretti. Ricorderete che tale condizione non era di godimento o soddisfazione momentanei, ma di una prosperità e benessere interiore che durassero tutta la vita. L'interessante domanda filosofica è "Cosa in particolare?" I cirenaici risposero che si trattava della somma totale di singoli episodi piacevoli nel corso dell'esistenza. Ma cercare di pianificare la propria vita in modo da massimizzare il piacere duraturo era troppo faticoso. Allora sostennero invece il perseguimento dell'obiettivo o ''telos'', che identificavano con particolari piaceri facilmente a portata di mano. Perché dovremmo assumere un atteggiamento così apparentemente irrazionale nei confronti del nostro godimento a lungo termine del piacere? I cirenaici sembrano essere stati "miopi" eticamente, dato che erano altrettanto miopi epistemologicamente: non ''sappiamo'' davvero nulla a parte il modo in cui le cose sono sentite/percepite ora, quindi dobbiamo sfruttare al massimo il momento, "[[w:carpe diem|carpe diem]]".
 
È difficile sapere dove l'amicizia si inserisca in questa immagine filosofica. Una linea di pensiero – probabilmente quella di Aristippo il Giovane – era che stringevamosi stringevano amicizie per motivi di utilità. Un altro cirenaico, [[w:Egesia di Cirene|Egesia]], sosteneva che "nulla sono gratitudine, amicizia e beneficenza, onde queste cose noi le scegliamo non per sé stesse ma per ragioni di utilità, mancando le quali neppure quelle sussistono più.<ref>Diogene Laerzio, ''Vite dei filosofi'', 2.93. La visione pessimistica dell'amicizia di Egesia è tutt'una con la sua visione pessimistica della vita. Nel complesso, la vita presenta più opportunità di sofferenza che di godimento. Quindi la felicità – forse intesa come una preponderanza di piacere sul dolore, per tutta la vita – è certamente impossibile. Egesia era così efficace nel comunicare questo messaggio che gli fu dato il soprannome di "persuasore della morte". Cicerone ci dice che Re Tolomeo gli proibì di tenere conferenze sul tema della morte che ci rimuove dalle cose cattive piuttosto che toglierci quelle buone. Troppi membri del suo pubblico si suicidarono in seguito! (''Tusc.'' 1.83) 133 DL 10.132, trad. Inwood e Gerson.</ref> Il filosofo cirenaico [[w:Anniceride di Cirene|Anniceride]] inizialmente sembra tagliare il [[w:nodo gordiano|nodo gordiano]] in altro modo: non avrebbe riconosciuto un fine cui sarebbe soggetta la vita umana e avrebbe teorizzato il valore del piacere, tanto materiale che spirituale — se i piaceri del corpo vanno goduti nel breve momento in cui si producono, quelli dello spirito si prolungano tutta la vita e costituiscono un conforto ai dolori del corpo. Ma, naturalmente, se sei un edonista, questo rovina la sorpresa, filosoficamente parlando.
 
Non sorprende che la scuola cirenaica non durasse a lungo. Scomparve di vista nei disaccordi interni di Aristippo, Egesia, Annicero e Teodoro. Ma la sua esistenza fornì un importante impulso ad altri edonisti per affinare le loro opinioni in modo da evitare le conclusioni sgradevoli dei cirenaici. Un modo di vedere la filosofia di Epicuro è di pensarla come un'alterazione sostanziale della nozione cirenaica di cosa consistesse il piacere. Per i cirenaici, il piacere era il ''processo'' in cui uno otteneva ciò che ''voleva''. Epicuro ipotizzò che questo tipo di piacere cinetico o di processo fosse subordinato a un bene ancora maggiore: lo ''stato'' in cui ''abbiamo'' tutto ciò di cui abbiamo veramente bisogno. Di cosa abbiamo davvero bisogno? Certamente non di tutte le cose che a volte vogliamo scioccamente. Questa era la base per il rifiuto da parte di Epicuro del carattere voluttuario dell'edonismo cirenaico:
{{q|Perché non è ubriacandosi e partecipando a continue feste e godendo di ragazzi e di donne, o consumando pesce o altre prelibatezze ad una tavola stravagante, che rende la vita piacevole, ma un calcolo sobrio che ricerca le ragioni di ogni scelta e atto di evitamento, e scaccia le opinioni che sono la fonte del più grande tumulto per le anime degli uomini.|DL 10.132}}
Tutto ciò di cui abbiamo veramente bisogno è la tranquillità che deriva dalla libertà dal dolore fisico (''aponia'') e dalla libertà dal disagio mentale (''[[w:atarassia|ataraxia]]'', ἀταραξία). La libertà dal dolore fisico è abbastanza comprensibile. Ma Epicuro intende qualcosa di molto profondo quando parla di libertà da disturbi mentali o ''ataraxia''. Questa condizione si presenta quando tutto ciò che ci disturba è stato cancellato in modo permanente. Ciò ci impone di liberarci della paura della morte e della paura della punizione divina. Richiede inoltre che impariamo davvero e interiorizziamo completamente la verità che "di più non è di meglio" e che "ciò che è necessario è facile da trovare". Questo è il ''tetrapharmakon'' epicureo o la "cura quadrupla". Ci rivela che veniamo psicologicamente curati con un po' d'aiuto dai nostri amici.
 
L'amicizia secondo Epicuro svolge un ruolo cruciale nel garantire la libertà dal dolore e dall'ansia. Questo avviene lungo una varietà di dimensioni. Innanzitutto, l'amicizia ci fornisce il tipo di sicurezza che può prevenire i dolori fisici associati alla fame e alla mancanza di protezione. Altrettanto importante, tuttavia, è la fiducia che possiamo avere di tale sicurezza, in modo da ridurre l'ansia mentale. Ma forse il fattore più importante è il rapporto tra filosofia e amicizia.
 
È la filosofia che ci guarirà dalle paure infondate che ci impediscono di raggiungere l’''ataraxia''. Ma filosofare e arrivare ad assorbire davvero la verità è una ricerca che intraprendiamo tra amici. Dopotutto, una cosa è provare e riprovare le argomentazioni fino a quando non le si possono citare.<ref>Epicuro consigliava (DL 10.36) che i filosofi neofiti dovessero memorizzare i detti principali.</ref> Ma è tutt'altra cosa renderle una seconda natura in modo da bandire le paure, come la paura della morte, che disturbano la nostra tranquillità.<ref>Epicuro era fermamente convinto che la filosofia dovesse essere giudicata dal suo successo terapeutico: "Vuoto è l'argomentazione con cui nessuna malattia umana è curata, proprio come non ci sono benefici in medicina se questa non scaccia le malattie del corpo, quindi anche in filosofia non ci sono benefici se essa non scaccia le malattie dell'anima ", [[w:Porfirio|Porfirio]], ''Lettera a Marcella'' 31 = 221 Usener. Cfr. la denuncia di Cicerone sulla qualità concisa e inefficace degli argomenti filosofici stoici in ''[[w:De finibus bonorum et malorum|De finibus]]'', 4.7.</ref> La terapia filosofica – l'interiorizzazione della verità filosofica – richiede un "linguaggio schietto" (''parrhêsia'') e questo, a sua volta, presuppone l'amicizia. I resti frammentari di ''Critica sincera'' ([[w:Papiri di Ercolano|Papiri di Ercolano]] 1471) dell'epicureo [[w:Filodemo di Gadara|Filodemo]] (ca. 110–35 p.e.v.) sono espliciti sul ruolo terapeutico del candore. Tuttavia, a differenza del rapporto tra terapeuta e paziente dei nostri giorni, Filodemo lo considerava come un rapporto tra amici.<ref>Cfr. Martha Nussbaum, ''The Therapy of Desire'', Princeton, 1994, pp. 134–7.</ref>
 
 
=== Plutarco e l'amicizia ===