Pensare Maimonide/Commentario: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
layout e testo
 
testo
Riga 5:
W. Z. Harvey ha asserito recentemente che la ''Mishneh Torah'' è una chiave per comprendere i segreti filosofici della ''Guida dei perplessi''.<ref>Si veda W.Z. Harvey, "The ''Mishneh Torah'' as a Key to the Secrets of the ''Guide''", 2001.</ref> Un esame dell'uso che Maimonide fa dei termini ''kavod'' e ''shekhinah'' nella ''Mishneh Torah'' certamente supporta la tesi di Harvey.<ref>Il termine "luce creata" non appare nella ''Mishneh Torah''.</ref>
 
"Leggi delle Fondamenta della Torah", 1:10, riporta quanto segue:
{{q|Cosa fu che Mosè cercò di apprendere, quando disse "Oh, mostrami il Tuo ''kavod''!" (Esodo 33:18)? Egli cercò di conoscere la verità dell'esistenza di Dio... Dio rispose che è al di là della capacità mentale di uomo vivente, composto di corpo e anima, apprendere la verità completa in questa materia. Ma il Santo, che Egli sia benedetto, fece conoscere a Mosè ciò che nessun uomo prima di lui aveva conosciuto e che nessun uomo dopo di lui avrebbe conosciuto: un'apprensione della verità dell'esistenza di Dio fino al punto che Dio fu distinto nella sua mente da tutte le altre esistenze, nello stesso modo in cui un individuo, del quale vedi le spalle,, la cui forma fisica e vestimento vengono percepiti, è distinto nella mente di chi osserva dalla forma fisica di altri individui. E la Scrittura allude a ciò nel testo: "[Poi toglierò la mano e] vedrai le Mie spalle, ma il Mio volto non lo si può vedere" (Esodo 33:23).}}
Questo è l'unico passo che ho trovato nella ''Mishneh Torah'' in cui Maimonide usa il termine ''kavod'' nel senso tecnico discusso in [[Pensare Maimonide/Kavod|questa Parte]] e non nel suo senso semplice di "rispetto" o "onore". Maimonide qui interpreta il passo di Esodo (come farà poi nella ''Guida'') a significare che Mosè non pregò Dio di permettergli di ''vedere'' qualcosa coi suoi occhi; piuttosto, egli cercò di ''comprendere'' qualcosa con la sua mente. Il ''kavod'' di Dio non è un'entità che si possa vedere, ma un'idea da comprendere.
 
Il termine ''shekhinah'' ricorre trentasei volte nella ''Mishneh Torah''. La maggior parte di queste ricorrenze non sono di grande importanza e non devono farci perder tempo;<ref>La maggior parte implicano: ''(a)'' profezia o fenomeni relativi; ''(b)'' conversione ("venir sotto le ali della ''shekhinah''"); ''(c)'' il termine "l'accampamento della ''shekhinah'' – termine talmudico per il tabernacolo e suoi dintorni. Ma si veda ''MT'' "leggi dello Studio della Torah", 5:1, in cui la mancanza di rispetto per il proprio insegnante viene presentata pari alla mancanza di rispetto per la ''shekhinah''. Tuttavia uno rispetta il proprio insegnante poiché insegna la Torah e non per un qualcosa di intrinseco a lui o lei. Inoltre, i versetti citati da Maimonide in questo passo dimostrano che egli usa il termine ''shakhinah'' al posto di "Dio". È fondamentale per tutto il progetto maimonideo che Dio non sia entità né percettibile né localizzabile.</ref> alcune però sembrano confermare la tesi da noi proposta, mentre altre sembrano confutarla. Esaminiamo queste ultime per prime.
 
"Leggi del Tempio", 6:16, in parte riporta quanto segue:
{{q|Ora perché è mia opinione che per quanto riguarda il Santuario e Gerusalemme la prima santificazione li consacrò per tutto il tempo a venire, mentre la santificazione del resto della Terra di Israele, che includeva le leggi dell'anno sabbatico e le decime e simili materie, non consacrò la terra per tutto il tempo a venire? Perché éla santità del Santuario e di Gerusalemme deriva dalla shekhinah, che non può essere bandita.<ref>Sulla santità e Maimonide si veda ''[[Essenza trascendente della santità]]''. Nello specifico, si veda anche il suo ''Commentario alla Mishnah, Zev.'' 14:8, trad. e citaz. Twersky, "Maimonides on Eretz Yisrael", 286.</ref>}}
L'"esilio della ''shekhinah''" (''siluk hashekhinah'') è un'espressione rabbinica<ref>Si veda il capitolo "Siluk Ha-Shekhinah" in Klawans, ''Impurity and Sin in Ancient Judaism'', 118-22.</ref> di solito usata in un senso chiaramente metaforico.<ref>E così usata da Maimonide nella ''Mishneh Torah'' (cfr. per es. "Leggi dello Studio della Torah", 5:8).</ref> Ma qui, in un passo di una certa importanza halakhica, Maimonide sembra usarla in un modo più letterale: sebbene la ''shekhinah'' possa essere bandita da altre località, essa non lascia mai la città di Gerusalemme (che ne è quindi resa santa). ''Shekhinah'' in questo contesto sembra essere qualcosa che può essere localizzata in termini spaziali, e come tale deve avere una qualche sorta di status ontologico; non può essere interpretata come metafora di provvidenza, profezia o comprensione intellettuale di Dio.<ref>Tutte e tre si riducono per Maimonide alla stessa cosa: tentativi umani di "avvicinarsi" a Dio (e le conseguenze di tali tentativi).</ref>
 
È proprio così? Se confrontiamo la dichiarazione di Maimonide qui con il testo talmudico al quale sembra reagire, ne risulta un quadro differente.
 
In TB ''Rosh Hashanah'' 31''a'' leggiamo:
{{clearq|...}}
 
 
{{clear}}
{{Vedi anche|Essenza trascendente della santità|Guida maimonidea|Torah per sempre}}
==Note==
Line 19 ⟶ 28:
</div>
 
{{Avanzamento|2550%|512 dicembre 2019}}
[[Categoria:Pensare Maimonide|Commentario]]