Ecco l'uomo/Purezza rituale: differenze tra le versioni

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==L'identità ebraica nell'antichità: questione di prospettiva==
La difficoltà di definire il primo ebraismo è esemplificata nel dibattito in corso sull'identità dei primi credenti di Cristo; a che punto smettono di appartenere all'ebraismo? Il fatto che gli studiosi differiscano ampiamente su questo tema dimostra la complessità e la difficoltà nel definire un'identità ebraica nell'antichità. Per illustrare il problema, i Maccabei forniscono testimonianza in merito agli ebrei ellenizzati che hanno smesso di circoncidere i loro figli e nascondono i segni della circoncisione (1 Macc. {{passo biblico|1Macc|1:15,48,60}}; 2 Macc. {{passo biblico|2Macc|6:10}}; cfr. Giuseppe Flavio, ''Ant.'' 12.254). Erano ebrei? Chi lo decide? Inoltre, Filone condanna un gruppo di filosofi ebrei che interpretano allegoricamente le leggi mosaiche (come fa lo stesso Filone), nella misura in cui hanno smesso di osservare tali leggi. Mantenendo la superiorità della Torah, senza osservare le usanze ebraiche, questi ebrei probabilmente mantenevano ancora una forte identità ebraica. Ma erano "ebrei"? Il nipote di Filone, Tiberio Alessandro, fu procuratore della Giudea nel 46-8 [[w:era volgare|e.v.]], dell'Egitto nel 66-70 e.v., e fu il luogotenente di Tito durante la rivolta ebraica. Era ebreo? Flavio Giuseppe afferma che Tiberio non aveva continuato a impegnarsi "nelle pratiche dei suoi connazionali" (''Ant.'' 20.100–3).
 
Discutendo sull'identità ebraica, Marisa James (2012:8) osserva che "gli storici romani si preoccupano principalmente se Tiberio Alessandro fosse un buon romano, mentre Flavio Giuseppe si preoccupa se Tiberio fosse un buon ebreo". Cosa avrebbe detto lo stesso Tiberio? Non lo sappiamo. Possiamo inoltre notare l'accusa enigmatica di Giovanni in Apocalisse {{passo biblico|Apocalisse|2:9}}, che affronta di petto la complessità del problema: "Conosco la tua tribolazione, e la calunnia da parte di quelli che si proclamano ebrei e non lo sono, ma appartengono alla sinagoga di Satana." In questo caso, un gruppo di persone si identifica come ebreo, un'identità che Giovanni rifiuta. In tale contesto, la colorata rappresentazione da parte di Arnal degli ebrei antichi aggiunge un aspetto importante indicando il "disordine" delle culture: "Anche se Sanders ha ragione sul fatto che esistesse una forma di «ebraismo comune», non ne consegue necessariamente che queste generalizzazioni si applichino a qualsiasi persona o gruppo di persone. Alcune persone rifiutano, resistono o modificano deliberatamente aspetti chiave, anche definitivi, della loro cultura." Arnal sottolinea che "Valentinus era un cristiano. Siddhartha era un indù. Lutero era un cattolico romano," e così via (Arnal 2005:31). Ma quando le ricostruzioni di Gesù mancano di una qualsiasi somiglianza con l'ebraismo contemporaneo (sebbene basato sulla nostra limitata conoscenza della materia), quel Gesù è ancora ebreo? Diventa importante trovare un equilibrio tra la ricostruzione di un Gesù storicamente plausibile nel suo ambiente e il fatto che, come altre figure storiche di spicco, sia anche distintivo all'interno di quell'ambiente. Ma dove tracciamo la linea di demarcazione tra la rappresentazione di Gesù come distintiva e diversa in modo univoco dal suo contesto culturale? Arnal sottolinea questo problema quando afferma: "Senza insistere sul fatto che egli sia unico o che debba essere compreso in «opposizione» all'«ebraismo», dovremmo tuttavia notare la possibilità, anche la probabilità, che una figura così influente, un apparente catalizzatore del successivo cambiamento, sia distintiva" (Arnal 2005:31; cfr. Holmén 2013).
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È importante tenere presente che l'identità ebraica non è una categoria stabile, ma cambia dal punto di vista di diversi gruppi. Ad esempio, sia i membri del movimento di Qumran che i gruppi attorno a Paolo si consideravano il vero Israele; entrambi affermavano di appartenere alla vera Alleanza di Dio. Dal loro punto di vista erano i più ebrei tra gli ebrei. Paolo includeva i gentili credenti in Cristo nella sua definizione di ebreo, una prospettiva che molti altri ebrei avrebbero respinto completamente (Romani {{passo biblico|Rom|2:23–9}}). L'identità ebraica dipende dal contesto e dalla prospettiva, che è evidente anche nel conflitto continuativo tra ebrei e samaritani. Dal punto di vista di un estraneo, i samaritani e gli ebrei sembravano molto simili nelle loro credenze, pratiche religiose, lingua e cultura materiale (Knoppers 2013:217–39). Tuttavia, come spiega Giovanni {{passo biblico|Giovanni|4:9}}, "i Giudei non hanno rapporti con i Samaritani". Distinguersi dagli ebrei costituiva un aspetto importante dell'identità comunitaria dei samaritani al tempo di Gesù e sia ebrei che samaritani nutrivano una forte ostilità reciproca. Da questa prospettiva l'"identità ebraica" nell'antichità dipende dal contesto, dalle circostanze e dal punto di vista; cioè quando, dove e secondo chi viene definita? Shaye Cohen osserva: "L'ebraismo era un'identità soggettiva, costruita dall'individuo stesso, da altri ebrei, da altri gentili e dallo stato" (Cohen 1999:3).
 
Sanders affronta questo problema in una riflessione, scritta nel 2008, sul suo lavoro precedente. ChiedeSi chiede se i singoli ebrei che hannoavessero omesso la metà o più delle pratiche e delle credenze comuni sarebbero ancora stati considerati ebrei. Risponde: "Direi di sì, se si considerasseroconsideravano ebrei e se gli altri li vedesserovedevano come ebrei. Una persona che haavesse rinunciato a tutte le pratiche tipiche, mi sembrerebbe, si fonderebbesarebbe fuso nelcol mondo dei Gentiligentili. Legalmente, un "«figlio di Israele"» potrebbepoteva essere ancora ebreo per nascita; ma socialmente, un apostata totale si sarebbe allontanato dall'entità collettiva dell'ebraismo " (Sanders 2008: 21–2). Qui toccanota l'importanza di distinguere tra le diverse prospettive degli addetti ai lavoriinterni e degli estraneiesterni ai gruppi, cioè tra le prospettive emiche (interne) ed eticheectiche (esterne). Dal punto di vista sociologico è importante non solo tenere conto della comprensione di sé dei gruppi, ma anche studiarli da una prospettiva esterna, come sostiene Luomanen. Se ci concentriamo solo sulla prospettiva degli addetti ai lavori"interni", allora finiamo con l'avere diversi giudaismiebraismi, mancando degli strumenti analitici necessari per confrontare i diversi gruppi tra loro, e le sette, rispetto alall'ebraismo comune giudaismo (Luomanen 2002: 118). Come storici che studiano le religioni, abbiamo bisogno di generalizzazioni. Abbiamo bisogno di categorie che distinguano un sistema di credenze e pratiche, o religione, da un altro. Per questo, dobbiamo prendere la prospettiva di un estraneo"esterno" e studiare tratti comuni all'interno di tale sistema. Allo stesso tempo, la cautela di Arnal riguardo alle generalizzazioni è molto rilevante quando sostiene che qualsiasi ricostruzione di una religiosità ebraica della Galilea '"ci fornirà un contesto dell'insegnamento e dell'attività di Gesù, non un'indicazione di ciò che quell'insegnamento e attività devonodebbano essere stati '(Arnal 2005: 31; cfr. Holmén 2013).
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Sanders addresses this issue in a reflection, written in 2008, on his earlier work. He asks whether individual Jews who omitted half or more of the common practices and beliefs would still be counted as Jewish. He answers, ‘I would say yes, if they counted themselves as Jewish and if other people saw them as Jewish. A person who gave up all of the typical practices, it would seem to me, would merge into the Gentile world. Legally, a “son of Israel” might still be a Jewish by birth; but socially, a total apostate would have removed himself or herself from the collective entity of Judaism’ (Sanders 2008: 21–2). Here he touches on the importance of distinguishing between the different perspectives of insiders and outsiders of groups, that is between emic (internal) and etic (external) perspectives. From a sociological perspective it is important not only to take the self-understanding of groups into account, but also study them from an outside perspective as Luomanen argues. If we only focus on the insiders’ perspective, then we end up with different Judaisms, lacking the analytical tools needed in order to compare different groups with each other, and sects in comparison with common Judaism (Luomanen 2002: 118). As historians studying religions, we need generalizations. We need categories that set one system of beliefs and practices, or religion, apart from another. For this, we need to take an outsider’s perspective and study common traits within such a system. At the same time, Arnal’s caution about generalizations is highly relevant when he argues that any reconstruction of a Galilean Jewish religiosity ‘will provide us with a context of Jesus’ teaching and activity – not with an indication of what that teaching and activity must have been’ (Arnal 2005: 31; cf. Holmén 2013).
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Nel complesso, trovo convincente la definizione di Sanders di un ebraismo comune, vale a dire ciò su cui contadini e sacerdoti ebrei sarebbero sostanzialmente d'accordo nella pratica e nel credo, e la sua risposta a questa domanda. Quindi, la sua descrizione di un ebraismo comune è il quadro teorico che ho adottato per questo studio di Gesù, senza sostenere che questo sia l'unico modo per affrontare la questione. Tuttavia, la sua definizione è utile principalmente per quanto riguarda l'ebraismo in Palestina e, in misura minore, nella diaspora dove gli ebrei erano in minoranza e entravano in gioco diverse norme sociali (Barclay 1995:118–20).
 
==Osservanza della Torah==