Ecco l'uomo/Due verità: differenze tra le versioni

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La tendenza è chiaramente dimostrata dai nuovi titoli: ''Jesus the Jew'' (1973), ''Jesus and Judaism'' (''The Historical Jesus: The Life of a Mediterranean Jewish Peasant'' (1991); ''A Marginal Jew: Rethinking the Historical Jesus'' (1991-2001) e ''Jesus of Nazareth, King of the Jews: A Jewish Life and the Emergence of Christianity'' (1999); ''Searching for the Real Jesus'', 2010; ''Jesus in the Jewish World'', 2010 — tanto per citarne qualcuno...
 
In effetti, nell'ultimo quarto di secolo, in un modo o nell'altro, Gesù l'ebreo è diventato la figura dominante nella ricerca biblica del Nuovo Testamento, perseguita da tutti gli studiosi con o senza credo religioso.
 
Affrontiamo ora il problema principale. Lo studente che indaga sul problema del Gesù storico si trova di fronte a una concatenazione di difficoltà.
 
Tutti tranne l'incorregibile ingenuo sanno che le fonti del Vangelo non sono strettamente storiche e postdatano gli eventi di parecchi decenni. Le precedenti lettere di Paolo di Tarso non aiutano poiché il loro autore non ha mai conosciuto o mostrato interesse per il Gesù in carne ed ossa. I quattro Vangeli, scritti tra 15 e 55 anni dopo Paolo, sotto forma di biografie, formulano l'insegnamento di Gesù adattato ai bisogni della chiesa primitiva.
 
Inoltre, i loro lettori avevano un contesto linguistico [[w:lingua greca|greco]] e un contesto culturale greco-romano, purtuttavia dovevano ricevere un messaggio religioso ebraico originariamente formulato in [[w:lingua aramaica|aramaico]]. Siamo di fronte alla sindrome del "traduttore traditore" tanto ventilata da [[w:Umberto Eco|Umberto Eco]].<ref>Umberto Eco, ''[[w:Dire quasi la stessa cosa|Dire quasi la stessa cosa]]'', Bompiani, 2003.</ref>
 
Il Gesù storico può essere recuperato solo nel contesto dell'ebraismo galileo del I secolo. L'immagine evangelica deve quindi essere inserita nella tela storica della Palestina del I secolo e.v., con l'aiuto delle opere di Flavio Giuseppe, i Rotoli del Mar Morto e la prima [[w:letteratura rabbinica|letteratura rabbinica]].
 
In questo contesto, che tipo di immagine di Gesù emerge dai Vangeli? Quello di un santone rurale, inizialmente un seguace del movimento di pentimento lanciato da un altro santone, [[w:Giovanni Battista|Giovanni il Battista]]. Nelle frazioni e nei villaggi della Bassa Galilea e in riva al lago, Gesù iniziò a predicare la venuta del regno di Dio durante i tempi della sua generazione e delineò i doveri religiosi che i suoi comuni ascoltatori dovevano svolgere per prepararsi al grande evento.
 
Predicatore popolare eloquente, Gesù manifestò il suo potere spirituale con esorcismi e guarigioni. Il suo pubblico osservò che "insegnava con autorità" – vale a dire, curando gli infermi e liberando i posseduti – e "non come gli scribi", che potevano solo citare la Bibbia per dimostrare le proprie parole. Le sue cure consistevano nella guarigione per fede: richiedevano fiducia da parte dei malati. Li invitava a credere nel suo potere di guarigione come uomo di Dio. Anzi, arrivò al punto di identificare questa fede come causa della guarigione: "La tua fede ti ha guarita", rassicurò una donna inferma (Marco {{passo biblico|Mc|5:34}}).
 
Facendo così, Gesù si conformava ad un modello di comportamento carismatico attestato dagli ebrei nel corso dei secoli e fino ai suoi tempi. Ai profeti biblici Eliseo, Elia e Isaia vengono attribuite guarigioni e rianimazioni miracolose. Fenomeni simili sono attribuiti nella letteratura rabbinica agli uomini santi che vivevano nell'età vicina a quella del Nuovo Testamento.
 
Abbiamo già citato nei precedenti capitoli vari esempi del periodo storico di Gesù. Honi del I secolo p.e.v. e il galileo Hanina ben Dosa nel I secolo e.v. furono rinomati per il loro miracoloso potere di far piovere; la fama di Hanina comprendeva anche la guarigione, inclusa la guarigione a distanza come Gesù, e un'opera di taumaturgia varia. Flavio Giuseppe (37–100 e.v.) riporta non solo i taumaturghi del periodo veterotestamentario, come Eliseo, ma menziona esplicitamente Honi, il cui intervento miracoloso pose fine a una disastrosa siccità poco prima della cattura di Gerusalemme da parte di Pompeo nel 63 p.e.v. Si riferisce anche a Gesù ai tempi di Ponzio Pilato e lo definisce un "uomo saggio ed esecutore di azioni sorprendenti o paradossali".
 
L'affidabilità della nota di Giuseppe Flavio in merito a Gesù fu respinta da molti nel XIX secolo e all'inizio del XX secolo, ma è stata giudicata in parte autentica e in parte falsificata dalla maggior parte dei critici più recenti. Il ritratto di Gesù da parte di Flavio Giuseppe, prodotto da un testimone non coinvolto, si trova a metà strada tra il quadro totalmente empatico del cristianesimo primitivo e l'immagine totalmente antipatica del mago della letteratura ebraica talmudica e post-talmudica. "Uomo saggio" e "esecutore di azioni paradossali" sono frasi autenticamente flaviane che nessun interpolatore cristiano avrebbe trovato abbastanza potenti da descrivere il Cristo divinizzato della chiesa successiva.
 
Il contorno dello storico Gesù, estratto dai Vangeli sinottici, suggerisce una figura profetica magnetica convinta che lo scopo della sua missione fosse di portare i suoi seguaci ebrei pentiti nel nuovo reame di Dio. Questo regno dei cieli fu prognosticato in molte parabole di Gesù come il risultato di un cambiamento silenzioso e impercettibile piuttosto che di una trasformazione cataclismica in un futuro non troppo lontano. Sembrerebbe, secondo gli evangelisti, che Gesù si considerasse, e che i suoi ben disposti contemporanei lo rappresentassero, secondo tali linee profetico-carismatiche.
 
Ad esempio, Gesù spiega il suo rifiuto da parte della sua famiglia e dei concittadini di Nazaret con il noto detto che a casa propria nessuno è riconosciuto come profeta. Fu anche regolarmente menzionato da contemporanei non locali come il grande profeta di Nazaret. Nell'aneddoto di [[w:Cesarea di Filippo|Cesarea di Filippo]], la risposta di Pietro alla domanda di Gesù, "Chi dicono gli uomini che io sia?", segue una tendenza simile. Gesù, disse Pietro, era ritenuto un profeta, o Elia di ritorno o Giovanni Battista redivivo.
 
Ma quando viene spinto a rivelare ciò che la cerchia dei discepoli pensava di Gesù, Pietro confessò, secondo Marco, che fosse il Messia, o, secondo Matteo, il Messia con l'aggiunta del sinonimo di "Figlio del Dio vivente". Quest'ultima frase è stata intesa nella teologia gentile-cristiana come un passo verso il riconoscimento dello stato divino di Gesù.
 
Nel corso delle sue ricerche, che hanno portato Géza Vermes a scrivere ''Jesus the Jew (Gesù ebreo)'', ci fa sapere che gli è stato impossibile non notare che la tradizione della chiesa tendeva spesso ad attribuire il massimo significato ai titoli onorifici applicati a Gesù dagli evangelisti. Decise quindi di organizzare un esperimento quasi scientifico: provare a stabilire la correlazione tra le caratteristiche del ritratto di Gesù fatto dai Vangeli e il significato di designazioni come "Messia", "Signore" e "Figlio di Dio" nella mente dei contemporanei di Gesù.<ref>Géza Vermes, ''Jesus the Jew: A Historian's Reading of the Gospels, cit.'', 1973, ''passim'' & ''ad hoc''.</ref>
 
Per raggiungere questo obiettivo, dobbiamo dimenticare la comprensione greca dei termini da parte dei gentili lettori del Vangelo; sbarazzarci di 2000 anni di interpretazione cristiana sovrapposta del Nuovo Testamento e spostare invece il riflettore sul pubblico ebraico di lingua aramaica che ascoltava Gesù sulla riva del Lago di Galilea. Qual era il significato originale del messaggio e cosa ne deducevano i destinatari originali?
 
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