Valore della storia/Parte III: differenze tra le versioni

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Armati di idee come queste, sembra in qualche modo ovvio che il cambiamento storico venga in gran parte provocato da incontri con estranei, seguito da sforzi per prendere in prestito (o talvolta rifiutare o tenere a bada) novità particolarmente interessanti. Ciò, a sua volta, comporta sempre aggiustamenti in altre routine stabilite. Un aspirante "storico-del-mondo" dovrebbe quindi stare attento alle testimonianze dei contatti tra civiltà separate, aspettandosi che da tali incontri nascano grandi deviazioni ogniqualvolta un prestito da (o il rifiuto di) pratiche esterne provochi cambiamenti sociali storicamente significativi.
 
La fonte ultima della variabilità umana, ovviamente, sta nella nostra capacità di inventare nuove idee, pratiche e istituzioni. Ma l'invenzione prosperò al meglio quando anche i contatti con gli estranei costrinsero a diversi modi di pensare e di fare onde competere per l'attenzione, così che la sceltadivenne consapevole e il deliberato armeggiare con le pratiche più vecchie divenne facile e spesso inevitabile. Nella società popolare, quando le usanze funzionavano come previsto, gli ostacoli alla maggior parte dei cambiamenti sociali furono quasi insormontabili. Ma quando lo scontro di usanze creava confusione, l'invenzione fioriva. La civiltà, come la definì Redfield, era quindi auto-catalitica. Ogniqualvolta si verificarono scontri di aspettative culturali in alcuni punti trasversali, le società civili furono in grado di continuare a cambiare, acquisire nuove competenze, espandere la loro ricchezza e potere... e disturbare le altre popolazioni tutt'intorno. Lo fecero fino ai nostri giorni, e ad un ritmo sempre crescente con il passare dei secoli e dei millenni della storia civilizzata.<ref>[[w:Isaiah Berlin|Isaiah Berlin]], ''Historical Inevitability, Auguste Comte Memorial Trust Lecture 1'', Oxford University Press, 1955.</ref>
 
Avvicinandosi alla concettualizzazione della storia del mondo in questo modo, civiltà separate diventarono i principali attori della storia del mondo — accettando o rifiutando nuovi modi da lontano; ma in entrambi i casi, alterando le pratiche sociali più vecchie, dal momento che rifiutare con successo una novità attraente o minacciosa poteva richiedere cambiamenti a livello nazionale tanto quanto cercare di appropriarsene. Nel tempo, le civiltà tendevano chiaramente ad espandersi su terreni nuovi — e mentre si espandevano, le società autonome vicine venivano inghiottite e alla fine scomparivano. Tale espansione geografica significò che nel [[w:Vicino Oriente antico|Vicino Oriente antico]] ciò che era iniziato come civiltà separate in Mesopotamia ed Egitto alla fine si fuse in un nuovo insieme cosmopolita, a partire dal 1500 [[w:p.e.v.|p.e.v.]]; e un analogo cosmopolitismo iniziò ad abbracciare tutte le civiltà della terra dopo circa il 1850, quando l'autonomia effettiva della Cina e del Giappone cessò.<ref>[[:en:w:Patrick Manning (professor)|Patrick Manning]], ''Navigating world history: historians create a global past'', Palgrave Macmillan, 2003, pp. 327–328 e ''passim''.</ref>
 
Tuttavia si dovrebbero notare questi casi senza distogliere il centro dell'attenzione dalle storie separate di civiltà separate. L'idea di un insieme ecumenico eurasiatico (eventualmente anche africano e poi globale), che abbracciasse tutti i popoli, civili e incivili, che interagivano tra loro, nacque molto lentamente. Solo dopo essersi convinti che l'espansione commerciale cinese aveva alimentato l'improvvisa ripresa del commercio nella cristianità latina dopo circa il 1000 [[w:era volgare|e.v.]], ci si rende conto, con Wallerstein e [[:en:w:Ross E. Dunn|Dunn]], che una vera storia mondiale dovrebbe concentrarsi principalmente sui cambiamenti nel sistema mondiale ecumenico, e poi procedere ad adattare gli sviluppi nell'ambito di civiltà separate e all'interno di entità più piccole, come stati e nazioni, al modello di quell'insieme fluttuante.<ref>Si vedano, per questa sezione, Immanuel Wallerstein con Terence K. Hopkins ''et al.'', ''World-Systems Analysis: Theory and Methodology'', Sage, 1982; I. Wallerstein, ''The Politics of the World-Economy. The States, the Movements and the Civilizations'', Cambridge University Press, 1984; Ross E. Dunn ''et al.'', ''[https://books.google.co.uk/books/about/History_on_Trial.html?id=iE1DzmHrh9EC&redir_esc=y History on Trial: Culture Wars and the Teaching of the Past]'', Vintage Books, 2000.</ref>
 
Si può definire la civiltà come uno stile di vita, che deve essere riconosciuto da osservatori abili ed esperti nel modo in cui un critico d'arte discerne gli stili dell'arte. Ma tale analogia non è proprio buona. Le opere d'arte sono tangibili; mentre la "vita" è troppo varia per essere osservata nel modo in cui i critici d'arte possono osservare e più o meno essere d'accordo sulle affinità stilistiche. Per essere specifici, all'interno di qualsiasi civiltà, diversi gruppi vivevano in modi molto diversi. Ciò che li teneva insieme principalmente era la loro comune sottomissione ai governanti, il cui dominio continuato era molto assistito dal fatto che sottoscrivevano un insieme di regole morali, incarnate in testi sacri o almeno semi-sacri. Questa è la definizione corretta di "civiltà". I governanti che sapevano come comportarsi – agendo con un rispetto puramente verbale dei canoni di condotta prescritti e consapevolmente indifferenti all'osservanza letterale di quelle regole – potevano collaborare, e collaborarono, abbastanza agevolmente così da mantenere un pesante velo su subordinati turbolenti per secoli e secoli, lungo estensioni di decine, poi centinaia e infine migliaia di chilometri. Le classi dirigenti privilegiate costituivano quindi una sorta di struttura di ferro all'interno della quale una civiltà poteva prosperare. Ma tra i gruppi subordinati prevalevano stili di vita locali, occupazionali e settari molto diversi. Tutto ciò che li univa era il fatto che ogni gruppo aveva una sorta di comprensione tacita (o, occasionalmente, esplicita) con altri gruppi, e specialmente con i segmenti politicamente dominanti della società, in modo che potessero agire come facevano senza soffrire troppe brutte sorprese.
 
==Note==