Infinità e generi/Fondamenti ontologici: differenze tra le versioni

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Quindi ogni essere finito, qualunque sia il suo posto nella "grande catena dell'Essere", ha con l’''Infinito'' due tipi di rapporti simultanei: da un lato, la continuità essenziale, cioè l'unità ultima della sua essenza con l'essenza dell’''Infinito'', poiché non potremmo, senza contraddizione, concepire un essere la cui essenza è totalmente separata dall’''Infinito''; dall'altro, la discontinuità esistenziale, perché gli esseri finiti, essendo tutt'uno con l’''Infinito'' tramite la loro essenza, ne sono distinti e distanziati in base alle loro condizioni, forme, livelli, piani e modi di esistenza che, discendendo dall'universalità alla particolarità, dalla necessità alla contingenza, dalla permanenza alla fugacità, compongono precisamente quella che viene chiamata "la grande catena dell'Essere".<ref>Sui concetti di continuità essenziale e discontinuità esistenziale, vedi Frithjof Schuon, ''Forme et Substance dans les Réligions'', Dervy-Livres, 1975, pp. 53-86.</ref>
 
Pertanto, dall'assoluta illimitazione della ''Possibilità Universale'' alle aree più ristrette dell'esistenza contingente sono disposti gradi successivi di possibilità, o "mondi". Ciascuno di questi mondi è quindi definito da una serie di limitazioni o condizioni che definiscono ciò che, nei loro domini appropriati, è possibile o impossibile.
 
Ciò che chiamiamo "il nostro mondo", il mondo dell'esperienza umana sensibile, è definito da tre condizioni: tempo, spazio e numero o quantità. Non c'è nulla, in tutta l'estensione del mondo fisico, che non sia soggetto alla legge imperiosa che gli ordini di trovarsi in un posto e non in un altro, per un po' di tempo e non di più, e d'essere limitato a una certa quantità sotto tutti gli aspetti.<ref>Il simbolismo astronomico e astrologico tradizionale è la rappresentazione integrale della coesistenza di queste tre condizioni. Vedi Titus Burckhardt, ''Clef Spirituelle de l'Astrologie Mussulmane'', Arché, 1978.</ref>
 
Queste limitazioni evidentemente non ricadono solo sugli esseri, ma anche su tutte le loro azioni e manifestazioni. Quindi accade che l'intelligenza umana, sebbene potesse persino essere in grado di cogliere alcune realtà misteriose, istantanee e inespresse che sono ben al di sopra delle condizioni di tempo, spazio e numero (senza le quali non sarebbe mai in grado di cogliere le nozioni di "Infinito" o "essenza"), debba sottoporsi a queste stesse condizioni per poter manifestarsi o esprimersi, sotto forma di pensiero, parola o azione. Ora, le manifestazioni scritte della mente umana non sarebbero in grado di sfuggire a questi condizionamenti universali, né di come esistere senza differenziarsi in schemi definiti in base a tempo, spazio e numero. Questi schemi sono precisamente il principio dei generi.
 
Le tre "condizioni di esistenza corporea" menzionate dalle dottrine tradizionali, e in particolare [[w:induismo|indù]], incorniciano e modellano tutte le strutture della percezione e dell'azione umana. Proprio per questa ragione non esiste, tra tutte le funzioni di percezione e azione, nessuna che, in definitiva, non possa essere ridotta – almeno nel suo concetto logico – a una qualche modalità di numero, spazio e tempo (ad esempio, la visione ci porta alla simultaneità, l'udito alla successione, il camminare alla successione, la comprensione alla simultaneità, la generazione al numero, ecc.). Lo stesso, necessariamente, accade col linguaggio. Dalla distinzione basilare tra nome (simultaneità) e verbo (successione), tutto si riferisce a combinazioni e complicazioni ottenute da questi tre principi. Allo stesso modo, quando l'uomo iniziò a scrivere per la prima volta i propri pensieri, le modalità in cui poteva farlo dovevano essere differenziate secondo le tre condizioni dell'esistenza corporea.
 
==Note==