Un fico secco/Parte I: differenze tra le versioni

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L'episodio marcanomarciano del fico (Marco {{passo biblico|mc|11:12-14;20-25}}) che descrive il doppio incontro di Gesù con un [[w:Ficus carica|fico]] durante i suoi ultimi giorni a Gerusalemme, pone una serie di gravi problemi esegetici. Alcuni di questi problemi hanno a che fare con la natura della sua relazione con la scena del [[w:Tempio di Gerusalemme|Tempio]] ({{passo biblico|mc|11:15-19}}) che interrompe il flusso narrativo dell'episodio. Dato il peso che una scena del genere ha necessariamente su qualsiasi valutazione dell'atteggiamento di Gesù nei confronti del Tempio, l'interpretazione data all'episodio del fico potrebbe avere conseguenze di più ampia portata per tale importante questione di quanto non potrebbe suggerire una rapida lettura acritica.
{{q|<sup>12</sup>La mattina seguente, mentre uscivano da Betània, ebbe fame. <sup>13</sup>E avendo visto di lontano un fico che aveva delle foglie, si avvicinò per vedere se mai vi trovasse qualche cosa; ma giuntovi sotto, non trovò altro che foglie. Non era infatti quella la stagione dei fichi. <sup>14</sup>E gli disse: "Nessuno possa mai più mangiare i tuoi frutti". E i discepoli l'udirono. <sup>15</sup>Andarono intanto a Gerusalemme. Ed entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano e comperavano nel tempio; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe <sup>16</sup> e non permetteva che si portassero cose attraverso il tempio. <sup>17</sup>Ed insegnava loro dicendo: "Non sta forse scritto: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti? Voi invece ne avete fatto una spelonca di ladri!". <sup>18</sup>L'udirono i sommi sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo di farlo morire. Avevano infatti paura di lui, perché tutto il popolo era ammirato del suo insegnamento. <sup>19</sup>Quando venne la sera uscirono dalla città.<br/>
<sup>20</sup>La mattina seguente, passando, videro il fico seccato fin dalle radici. <sup>21</sup>Allora Pietro, ricordatosi, gli disse: "Maestro, guarda: il fico che hai maledetto si è seccato". <sup>22</sup>Gesù allora disse loro: "Abbiate fede in Dio! <sup>23</sup>In verità vi dico: chi dicesse a questo monte: Lèvati e gettati nel mare, senza dubitare in cuor suo ma credendo che quanto dice avverrà, ciò gli sarà accordato. <sup>24</sup>Per questo vi dico: tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato. <sup>25</sup>Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi i vostri peccati".}}
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Nel nostro caso, la differenza tra i contenuti narrativi del contesto generale e la scena centrale suggerisce fortemente che, se correlati, la loro relazione non può essere che simbolica o metaforica. Così com'è, la maggior parte dei commentatori segue questa interpretazione e propone interpretazioni simboliche dell'episodio del fico che riguardano, in un modo o nell'altro, l'appassimento dell'albero con il destino del Tempio di Gerusalemme o della nazione ebraica.<ref>Gasparro; Marcus 2009: 788–90; Collins: 462–63; Focant: 422; Moloney: 227; Donahue & Harrington: 331–32; Evans: 151–54; Meier: 887–89; Hooker: 261.</ref>
 
Una delle interpretazioni che dà un senso al v. 13d, e che è stata adottata da molte esegesi simboliche dell'episodio del fico, è quella di Lohmeyer (133–36). Questo autore attinge da certe tradizioni ebraiche e dell'Antico Testamento che collegavano l'età escatologica o messianica ad una straordinaria fruttificazione delle piante. Secondo lui, il motivo per cui il fico fu distrutto è che non aveva alterato i suoi modi naturali per ricevere Gesù, rimanendo infruttuoso di fronte al Messia che arrivava. Per coloro che usano l'idea di Lohmeyer nell'ambito di un modello interpretativo simbolico, la distruzione dell'albero rappresenta la punizione escatologica meritata dall'istituzione religiosa ebraica o dal popolo ebraico – rappresentati dal Tempio – per non aver riconosciuto Gesù come il Messia. La maggior fragilità di questo approccio è che non giustifica il motivo con cui il Gesù marcanomarciano spiega ciò che è successo all'albero usando linee totalmente diverse, cioè come risultato di preghiera devota (vv. 20-24).<ref>Gundry: 676–77; Esler: 50–51.</ref>
 
Vi sono, in effetti, alcuni commentatori che rifiutano le interpretazioni simboliche, sostenendo che l'unica ragione suggerita dalla narrativa di Marco riguardo all'azione di Gesù contro l'albero, è quella di illustrare il suo successivo insegnamento sul potere della fede nella preghiera.<ref>Branscomb: 206; Esler: 57-58.</ref> Tuttavia, questi autori hanno molte difficoltà a spiegare perché la narrazione evangelica interrompa lo sviluppo previsto dalla ''performance'' pedagogica di Gesù, interrompendola con la scena del Tempio, che è completamente estranea all'argomento dell'istruzione. Inoltre, non eliminano completamente il senso di inadeguatezza che il comportamento di Gesù genera nella mente di qualsiasi lettore del Vangelo. Se Gesù voleva dimostrare l'efficacia della fede nella preghiera, c'erano davvero molti modi più semplici di farlo che pregare per la distruzione di un fico che non aveva dato frutti fuori stagione.
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Inoltre, la consapevolezza che la maledizione di Gesù contro il fico fosse una condanna simbolica avrebbe allertato i discepoli in Marco, e il pubblico originale del Vangelo, verso un qualsiasi indizio che avesse potuto rivelare il vero bersaglio di tale azione. Il successivo comportamento di Gesù nel Tempio ({{passo biblico|mc|11:15-19}}) avrebbe consentito loro di identificare questo obiettivo con i responsabili di ciò che Gesù denuncia come un modo corrotto di gestire l'istituzione religiosa.
 
Tale identificazione è supportata a livello narrativo dalla tempestività delle informazioni proposte al v. 11: "Ed entrò a Gerusalemme, nel Tempio. E dopo aver guardato ogni cosa attorno, essendo ormai l'ora tarda, uscì con i Dodici diretto a Betània." In verità, questo versetto apparentemente irrilevante, che segna la fine dell'ascesa di Gesù a Gerusalemme ({{passo biblico|mc|11:1-11}}), offre un po' di informazioni senza le quali la maledizione simbolica di Gesù contro il fico non sarebbe motivata dal punto di vista narrativo. Secondo il Vangelo di Marco, la visita al Tempio registrata nel v. 11 fu l'unica occasione in cui Gesù dovette rimanere deluso dal funzionamento dell'istituzione religiosa prima del suo incontro con l'albero sterile. Se non fosse per questa visita, il Gesù marcanomarciano non avrebbe potuto pensare di usare quell'incontro per esprimere simbolicamente la sua indignazione morale verso tali pratiche.<ref>Gasparro: 418; Telford: 44–46.</ref>
 
In v. 17 Gesù combina due oracoli profetici (Isaia {{passo biblico|Isaia|56:7}} e Geremia {{passo biblico|Geremia|7:11}}) per avallare due affermazioni significative:
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Sebbene il testo non espliciti la loro identità, la reazione dei sommi sacerdoti e degli scribi alle parole di Gesù implica che costoro si considerassero il bersaglio della sua accusa (v. 18). Sul lato opposto, le persone che si meravigliavano delle parole di Gesù non dovevano essere incluse in tale bersaglio poiché, a questo punto della trama del Vangelo, ci si aspettava ancora che lo avrebbero sostenuto in qualsiasi conflitto con le autorità.<ref>Marcus 2009: 790; Evans :154.</ref>
 
Per quanto l'applicazione della metafora dell'albero sterile al nostro testo sia indipendente dai motivi specifici sui quali il Gesù marcanomarciano lancia l'accusa, i dati forniti dalla descrizione del suo comportamento nel Tempio suggeriscono una risposta plausibile a questa importante domanda.
 
Innanzitutto, il termine "ladri" in v. 17 suggerisce fortemente che tali motivi potrebbero avere qualcosa a che fare con l'appropriazione indebita di beni o denaro. Poi, se osserviamo le azioni di Gesù nel contesto di ciò che sappiamo sulle pratiche religiose nel Tempio di Gerusalemme, ci renderemo conto che la maggior parte di tali pratiche equivale a frustrare l'efficacia delle offerte sacrificali.
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Insomma, poiché il referente metaforico del fico si trova nel testo immediatamente dopo il primo incontro di Gesù con tale fico, allora questo referente devono essere i sommi sacerdoti e gli scribi, poiché sono gli unici personaggi accusati da Gesù nel Tempio. Questa conclusione assimila l'uso della metafora da parte di Gesù con quella variante in cui lo stato sociale dei soggetti condannati è particolarmente evidenziato. Il potere e il prestigio di cui godono questi gruppi privilegiati accrescono la loro colpa davanti a Dio e alla società, poiché hanno frodato le aspettative sociali e divine pertinenti al loro ufficio.
 
Mentre la scena del Tempio ci ha permesso di identificare il bersaglio della metafora esposta da Gesù, il suo secondo incontro col fico svelerà ulteriori aspetti del suo messaggio, in particolare, il pieno significato e le sottili implicazioni di v. 13d. Come abbiamo notato in precedenza, la sorprendente risposta di Gesù all'osservazione di Pietro che vede l'albero morto, insinua che la sua maledizione nel v. 14 non era in realtà una maledizione, ma una preghiera fiduciosa e che la morte dell'albero era la risposta di Dio a tale petizione inquietante. Inoltre, con grande sorpresa e gioia del pubblico marcanomarciano, incoraggia i suoi discepoli a provare l'efficacia della fede nella preghiera dicendo a "questo monte" di gettarsi in mare. Poiché "questo monte" deve essere un monte vicino, il candidato più adatto è il Monte del Tempio che Gesù e i suoi discepoli hanno appena abbandonato.<ref>Marcus 2009: 785; Boring: 324–25; Hooker: 269–70; Telford: 170.</ref>
 
Nell'antico ebraismo, gli uffici sacerdotali erano esclusivamente collegati al solo culto nel Tempio di Gerusalemme. Pertanto, la scomparsa del Monte del Tempio insiame a tutto il Tempio, affondando in mare o altra distruzione, avrebbe significato la morte sociale del sacerdozio gerosolimitano. Di conseguenza, il suggerimento che Gesù dà ai suoi discepoli di provare l'efficacia della preghiera pregando con fede che il monte scompaia, può essere inteso come un'espressione umorosamente velata della sua disposizione ostile verso i sommi sacerdoti, ai quali augura la perdita del loro "covo nel tempio" come punizione per le loro malefatte.
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Ma il Tempio sta diventando il "pallino fisso" di Gesù e il suo desiderio di punire immediatamente le autorità religiose con la perdita del Tempio viene è mascherato da varie tecniche discorsive che indicano l'attuazione di una strategia intenzionale per velare i suoi interventi: parole e azioni simboliche, uso critico delle metafore morali tradizionali, aspre accuse sotto forma di citazioni scritturali ed esortazioni cariche di proposte provocatorie.
 
In questa sezione voglio riflettere sul tipo di discorso che Gesù e il narratore marcanomarciano usano per mascherare i loro messaggi sul Tempio. Il mio obiettivo qui è valutare la funzione comunicativa di questo tipo di discorso e le circostanze socioculturali che avrebbero potuto spingerne l'uso nel Vangelo secondo Marco. Nel fare ciò, cercherò una guida nell'opera dell'antropologo [[:en:w:James C. Scott|James C. Scott]] sul discorso di resistenza dei gruppi subordinati.<ref>Scott è poco conosciuto in Italia, ma alquanto rinomato nei paesi anglofoni e nordeuropei, specie per la sua opera (che utilizzo in questo studio), ''[[:en:w:James C. Scott#Domination and the Arts of Resistance|Domination and the Arts of Resistance]]. Hidden Transcripts'', Yale University Press. Americano, antropologo e scienziato politico, è studioso comparativo delle società agrarie e pre-statali, [[w:Subalterno (postcolonialismo)|politiche subalterne]] e [[w:anarchismo|anarchismo]], ma soprattutto delle strategie di resistenza a varie forme di dominazione. Cfr. Jennifer Schuessler, [https://www.nytimes.com/2012/12/05/books/james-c-scott-farmer-and-scholar-of-anarchism.html "James C. Scott: Farmer and Scholar of Anarchism"], su ''The New York Times'', che descrive la sua ricerca "highly influential and idiosyncratic".</ref>
 
Attingendo a grandi quantità di dati etnografici e storici, Scott ha dimostrato in modo convincente che, in determinate condizioni di dominio politico e culturale, è probabile che gruppi subordinati creino tipi specifici di discorso che sono meglio compresi come forme culturali di resistenza (Scott: 17–23). Uno di questi tipi è il "discorso dissimulato/velato", che comprende tutte le forme di espressione di resistenza che sono state concepite per essere utilizzate negli spazi pubblici. Poiché gli spazi pubblici sono generalmente sotto il controllo effettivo o potenziale del gruppo dominante, la funzione del discorso velato è quella di esprimere resistenza evitando al contempo ritorsioni immediate sui portavoce/relatori (Scott: 18-19, 136-182). A tal fine, costoro usano forme di linguaggio ambigue o parzialmente velate che hanno la capacità di discriminare tra amici e nemici nel contesto del pubblico.
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Per le argomentazioni che seguono, è importante rendersi conto che non tutti i casi di discorso dissimulato che abbiamo già identificato nel Vangelo di Marco appartengono allo stesso livello di comunicazione. Alcuni di essi operano all'interno del mondo narrativo del Vangelo. Hanno lo scopo di discriminare tra i seguaci di Gesù e i nemici di Gesù secondo Marco. Altri operano nel mondo reale dell'autore (o autori) e del pubblico del Vangelo di Marco. Distinguono tra quei seguaci postpasquali di Gesù che simpatizzano con il messaggio di questo particolare Vangelo e i nemici reali o potenziali di tale gruppo.
 
L'espressione simbolica del desiderio di Gesù che il Tempio scompaia nell'episodio del fico è un esempio di discorso velato appartenente al secondo livello di comunicazione. In questo caso, l'uso di simbolismo, umorismo e ironia non può essere inteso a proteggere il Gesù marcanomarciano dai suoi nemici perché lì non erano presenti nemici. In entrambe le scene del fico ({{passo biblico|mc|11:12-14}} e {{passo biblico|mc|11:20-25}}) Gesù e i suoi discepoli erano soli. Allora? Qui l'uso di tali strategie di dissimulazione potrebbe essere inteso solo a mascherare il messaggio di Gesù da persone che potevano essere effettivamente presenti tra il pubblico del Vangelo. Sebbene si possa presumere che la maggior parte dei membri di questo pubblico fossero aderenti alle posizioni marcanemarciane, tale pubblico avrebbe anche potuto includere persone ancora fedeli alle istituzioni ebraiche, che si sarebbero offese per qualsiasi espressione di disprezzo del Tempio.
 
Questa conclusione è supportata dai tre testi nel Vangelo di Marco che affrontano esplicitamente il problema della distruzione del Tempio. Il primo ({{passo biblico|mc|13:1-2}}) è una previsione dell'evento da parte di Gesù. Gli altri due riportano dichiarazioni che alcune altre persone attribuiscono a Gesù, ma che non si trovano da nessuna parte nella narrativa di Marco ({{passo biblico|mc|14:55-59;15:29-30}}). In effetti, il narratore introduce questi due gruppi di relatori come falsi testimoni al processo di Gesù e come schernitori all'esecuzione di Gesù. Eppure, entrambi concordano nel sostenere che Gesù aveva reso nota la sua intenzione di distruggere il Tempio e di costruirne uno nuovo dopo tre giorni.
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Inoltre, se considerato da un punto di vista critico, alcune delle parole con cui Gesù completa il suo annuncio neutrale della distruzione del Tempio mostrano meglio i suoi veri sentimenti nei confronti dell'istituzione religiosa. Tali sentimenti sono implicitamente espressi in {{passo biblico|mc|13:14-16}}, dove si riferisce alla presenza dell '"abominio della desolazione" come un segnale di avvertimento ai suoi seguaci in Giudea. Se supponiamo, con quasi tutti gli studiosi, che tale presenza illecita si riferisca a qualche evento che minaccia l'integrità o la santità del Tempio di Gerusalemme, l'atteggiamento normale di qualsiasi ebreo tradizionale nel primo secolo sarebbe di grande preoccupazione per il santuario. Tuttavia, l'unica preoccupazione di Gesù è la salvezza dei suoi discepoli, che incoraggia ad abbandonare la città al più presto. Sebbene le parole di Gesù non contengano alcuna condanna aperta del Tempio, esse implicano, in modo sottile, che più rapidamente scompare, meglio è.
 
Dalle argomentazioni precedenti possiamo concludere che i tre testi di Marco che trattano esplicitamente della distruzione del Tempio condividono con l'episodio del fico una strategia discorsiva che vela e rivela significati simultaneamente. Evitano qualsiasi dichiarazione esplicita di Gesù o del narratore marcanomarciano su ciò che Gesù desiderava davvero per il Tempio. Tuttavia, offrono abbastanza suggerimenti da consentire ad un pubblico comprensivo di dedurre che Gesù desiderasse ardentemente e pregasse per la sua distruzione. Per ascoltatori e lettori ostili, tuttavia, il simbolismo e l'ambiguità avrebbero compromesso seriamente la loro capacità di comprendere e il loro diritto a ritorsioni. Ancora una volta, questo è esattamente il significato della dinamica del discorso velato dei gruppi subordinati. Pertanto, è opportuno che ci chiediamo che tipo di situazione sociale spiegherebbe l'uso di questo tipo di discorso da parte del Vangelo di Marco quando ci si riferisce alla fine del Tempio. Se riusciamo a rispondere a questa domanda, almeno in parte, saremo in grado di comprendere un po' meglio il contesto sociale in cui vivevano i sostenitori e il pubblico previsto per questo Vangelo.
 
==Implicazioni del contesto sociale nel gruppo marcanomarciano==
[[File:Ercole de Roberti Destruction of Jerusalem Fighting Fleeing Marching Slaying Burning Chemical reactions b.jpg|550px|center|thumb|''Assedio e distruzione di Gerusalemme e del suo Tempio'', di [[w:David Roberts|David Roberts]], 1850]]
Nel resto di questa Parte I, mi riferirò al gruppo di seguaci post-pasquali di Gesù che sostennero il Vangelo di Marco come "il gruppo marcanomarciano". Presumo che questo Vangelo sia stato scritto per un pubblico composto da persone già incluse in tale gruppo o considerate suoi potenziali membri.
 
Lo scopo principale di questa sezione è cercare il tipo di ambiente sociale postpasquale in cui il gruppo marcanomarciano si sarebbe trovato in una posizione subordinata rispetto a un gruppo che non avrebbe tollerato nessuna offesa contro il Tempio di Gerusalemme o il suo ricordo. Siccome possiamo supporre che tutti coloro che erano fedeli al Tempio di Gerusalemme avevano origini etniche ebraiche o forti attaccamenti ebraici, ogni possibile ambiente sociale che possa corrispondere alle nostre esigenze doveva includere un'importante popolazione ebraica.
 
È imperativo notare qui che la questione della fine del Tempio avrebbe generato antagonismi, non solo prima, ma anche dopo la sua effettiva distruzione da parte dei romani nel 70 d.C. Sappiamo, infatti, che questo drammatico evento è stato un duro colpo per la maggior parte degli ebrei tradizionali che si sarebbero sicuramente offesi contro chiunque avesse mostrato soddisfazione per ciò che era successo.
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Nella [[w:Diaspora ebraica|diaspora]], tutto dipendeva dal potere relativo della comunità ebraica di influenzare i "padroni di casa", i gentili, e/o di gestire i propri affari interni. Potenti comunità ebraiche influenti potevano spingere le autorità o i gruppi di pressione gentilizi ad agire contro qualsiasi persona o gruppo che parlasse apertamente contro le tradizioni sacre ebraiche. (Le situazioni descritte in Atti {{passo biblico|Atti|13:50;17:10-14}} apparterrebbero a questo tipo.) Nel caso che la comunità ebraica non fosse stata così influente ma avesse avuto il potere di gestire i propri affari interni, poteva comunque adottare misure contro i propri membri offensivi, ma non contro gli estranei. (L'atteggiamento di Gallione in Atti {{passo biblico|Atti|18:12-17}} presuppone che la comunità ebraica dell'Acaia avesse l'autonomia di giudicare in merito a questioni relative alla propria [[w:Halakhah|Legge]] e tradizioni).
 
Possiamo quindi concludere che l'uso del discorso dissimulato contro il Tempio da parte del gruppo marcanomarciano presuppone che il gruppo vivesse in uno dei seguenti possibili tipi di ambiente sociale:
* Qualsiasi luogo nel territorio palestinese.
* Un ambiente di diaspora che ospitava una potente comunità ebraica.
* Un ambiente di diaspora che ospitava una comunità ebraica autonoma alla quale apparteneva una parte o l'intero gruppo marcanomarciano.
 
In questi tre casi, il gruppo marcanomarciano si sarebbe trovato in una posizione subordinata rispetto a un gruppo ebraico più potente, e quindi avrebbe avuto ragioni per usare tecniche di espressione velata nell'affrontare la questione del Tempio. Al contrario, l'uso di tali tecniche sarebbe stato completamente ingiustificato se il gruppo marcanomarciano non avesse avuto nulla da temere da un gruppo ebraico più potente.
 
A questo punto è importante rendersi conto che questo gruppo ebraico dominante poteva essere composto totalmente o parzialmente da seguaci di Gesù postpasquali. Sappiamo, infatti, che la maggior parte dei primi seguaci di Gesù dopo la Pasqua erano ebrei e che le questioni riguardanti le tradizioni e le devozioni ebraiche erano una fonte importante di conflitti nella chiesa primitiva.
 
La nostra lettura critica del discorso di Marco sulla fine del Tempio ci consente di percepire altri aspetti della situazione sociale del gruppo marcanomarciano oltre alla sua posizione subordinata. Mostra che questo gruppo apparteneva a un più ampio contesto umano che era molto sensibile alle questioni riguardanti il Tempio di Gerusalemme. Per i suoi membri, il messaggio di Gesù che invocava la sua scomparsa era così importante da renderli ansiosi di diffonderlo, anche se ciò implicava correre dei rischi. Per i membri del gruppo ebraico dominante, la fedeltà al Tempio o alla memoria del Tempio era così profondamente sentita che erano pronti a usare il potere o l'influenza a loro disposizione per opporsi a coloro che lo avessero criticato o disprezzato.
 
Tale sensibilità suggerisce che il gruppo marcanomarciano non fosse molto lontano da Gerusalemme o avesse legami importanti con la Giudea. L'ipotesi migliore per spiegarla è che, qualunque fosse la sua posizione precisa, il gruppo includeva un numero di membri ebrei provenienti dalla Giudea. Questa ipotesi è ovviamente compatibile con l'opinione della maggioranza degli esegeti secondo cui la presenza dei gentili era considerevole nel gruppo di Marco. I membri gentili sono, infatti, necessari per giustificare lo sforzo intrapreso dal narratore per spiegare alcune pratiche ebraiche e l'atteggiamento etnicamente inclusivo di questo Vangelo (Marco {{passo biblico|mc|3:8;7:1-4;24-30;11:17}}). Tuttavia, dobbiamo rifiutare la plausibilità di una comunità composta principalmente da gentili, che vivesse in un ambiente sociale principalmente gentilizio, e quindi assolutamente indifferente al destino del Tempio di Gerusalemme.<ref>Contro Gnilka 1986: 40–41.</ref>
 
==''Conclusione''==
L'interpretazione dell'episodio marcanomarciano del fico discussa in questa Parte I evidenzia due aspetti del Vangelo di Marco
che hanno un impatto importante sulla questione del suo contesto sociale:
* la forte posizione anti-Tempio attribuita a Gesù, e
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Ulteriori analisi degli altri tre testi di Marco che si riferiscono esplicitamente alla distruzione del Tempio confermano queste due caratteristiche.
 
La concezione di Scott di forme espressive di resistenza da parte di gruppi subordinati ci ha permesso di interpretare questo discorso peculiare quale esempio di discorso dissimulato di resistenza. Poiché questo tipo di espressione presuppone un gruppo dominante per il quale si dissimula intenzionalmente il messaggio, si dà il caso che il contesto sociale del gruppo marcanomarciano soddisfacesse le condizioni per l'esistenza di una relazione appropriata di dominio.
 
Questo requisito riduce la gamma delle possibili impostazioni sociali marcanemarciane a tre tipi principali ed esclude il quadro di un gruppo totalmente gentilizio situato in un ambiente di gentili. Nel contesto del lungo e ancora irrisolto dibattito sull'origine del Vangelo di Marco, tale delimitazione è, in effetti, un piccolo passo avanti ma, tuttavia, un passo significativo.
 
Infine, vale la pena notare che le nostre conclusioni sono chiaramente compatibili con una delle due ipotesi sulla posizione del gruppo marcanomarciano preferito dagli studiosi moderni: quella della Palestina.<ref>Marcus 1992; Marcus 2000: 25-36.</ref> Per quanto riguarda la seconda, Roma,<ref>Incigneri.</ref>, la compatibilità con queste conclusioni non è così chiara, ma ci offrono alcuni criteri significativi nella ricerca di una risposta. Dato che Roma era una località della diaspora ebraica, dovremmo verificare se, tra la morte di Gesù e la metà del secondo secolo d.C., ci fossero comunità ebraiche in questa città che soddisfacessero le condizioni per uno dei tipi di ambiente della diaspora sopra menzionati. Questi criteri collegherebbero la possibilità di una sede romana per il gruppo marcanomarciano ad altre due questioni importanti e correntemente dibattute da storici ed esegeti:
* la situazione sociale della popolazione ebraica a Roma, il suo relative potere, influenza e autonomia, e
* la prima separazione tra ebraismo e cristianesimo in quella città o, in termini più concreti: la possibilità di un gruppo di marcanomarciano totalmente o parzialmente incluso nella comunità ebraica di Roma.
 
Anche se non possiamo discutere qui il potenziale risultato di tale indagine, lo indichiamo quale esempio di come i risultati di questo studio possano essere utilizzati per ulteriori ricerche sull'origine del [[w:Vangelo secondo Marco|Vangelo di Marco]].
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[[Categoria:Un fico secco|Parte I]]