Non c'è alcun altro/Dio Cambia: differenze tra le versioni

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La lista di possibilità – ventuno in tutto – si conclude con "chi verrà abbassato e chi verrà innalzato".
 
È la frase "Chi vivrà e chi morrà" che da solo è responsabile del terrore che ha invaso generazioni di ebrei devoti in questo frangente. Ogni anno, a questo punto del servizio liturgico, mi sovviene quando da ragazzo, seduto in sinagoga circondato da ebrei anziani con il capo coperto dal ''tallit'', li vedevo che silenziosamente piangevano mentre il cantore intonava questo passo. Mi ricordo che pensavo a chi di questi anziani sarebbe stato seduto accanto a me l'anno successivo e chi invece se ne sarebbe andato, defunto.
 
Improvvisamente l'umore cambia. Il poeta si ricorda che Dio siede sul trono della misericordia. Tutto non è perduto — c'è speranza. Formula tale speranza in uno sfogo liturgico, una protesta, rivolta dalla congregazione al cantore: "Ma pentimento, preghiera e azioni di rettitudine evitano un decreto severo."
 
Il poeta ci fa ricordare al cantore ciò che il poeta stesso aveva scritto all'inizio. Dio sta ora seduto sul trono della misericordia, non su quello della giustizia. Pertanto il nostro fato non è predeterminato. Ci è stata concessa una tregua, una proroga, una via di scampo, un modo di evitare la nostra sentenza, facendo semplicemente le cose comuni che ci si aspetta gli ebrei debbano fare quotidianamente nel corso di tutta la vita: pentirsi, pregare ed essere retti. Non è il giudizio finale, dopotutto, perché ogni giorno è un giorno del giudizio e ogni giorno ci vengono dati modi di redimerci davanti a Dio. Questo è forse l'affermazione più significativa del poema nel suo complesso. Nientemeno che una convalida della vita quotidiana dell'ebreo qui ed ora.
 
Il poema poi finisce con una giustificazione teologica della misericordia di Dio: