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Nel concludere questo libro e rivedendone il testo, si rimane con un senso di stupore e liberazione: stupore per l'audacia di una comunità che ammette che il Dio che adora quotidianamente rimane al di là della comprensione umana, ma tuttavia tale comunità scrive volumi su volumi sui desideri di questo Dio, sui Suoi pensieri, sentimenti e comportamento; stupore per il candore con cui i membri di tale comunità registrano le proprie esperienze di Dio – la gioia e il dolore, la ricompensa e la punizione, il lato positivo e il lato oscuro – e per la ricchezza delle immagini che questi sentimenti generano; stupore per la pluralità e la fluidità di queste immagini, come si contraddicano tra loro, come si evolvono man mano che i testi ci si presentano davanti agli occhi e attraversiamo il giorno liturgico, la settimana, il mese e l'anno ed i cicli della nostra vita.
 
Inoltre, si sente liberazione perché se i nostri antenati godevano della libertà di parlare di Dio in tutti questi modi, allora lo possiamo fare anche noi. La loro consapevolezza della trascendenza di Dio poteva benissimo lasciarli muti, paralizzati dal timore che parlare di Dio fosse quasi tradirLo. Invece, accettarono le limitazioni intrinseche della loro umanità e procedettero ad ignorarla. Trassero immagini dalle loro relazioni più familiari: genitore, giudice, sposo, amante, generale militare, pastore, insegnante. Invero, più le immagini erano familierifamiliari e meglio era, poiché Dio per loro era vicino, connesso intimamente e, soprattutto, interessato — interessato a noi. Da queste immagini sono state tratte storie, salmi, leggi, liturgie, midrashim, testi mistici e filosofici, sermoni — l'intero corpo di quella che chiamiamo [[Torah]].
 
E noi possiamo quindi fare lo stesso. Questo libro dovrebbe servire a spingere il lettore a guardarsi dentro, venire a contatto con le proprie esperienze religiose, creare le proprie immagini – il meno convenzionali possibili – e scriverle giù e condividerle con famiglia e amici. Senza essereneesserne intimiditi. La maggioranza delle persone confessa che scrivere la prima frase sia il momento più difficile, ma che poi il resto segue e fluisce in maniera naturale. Quindi... via! Ci sono immense profondità teologiche nel cuore e nella mente delle persone, tiriamole fuori e ne saremo attoniti.
 
Scrivere è importante. Noi tutti abbiamo esperienze significative, ma tali esperienze tendono a sparire con la pressione dei compiti quotidiani che ci assillano. Scrivere ci spinge a esternare tali esperienze, osservarle e condividerle. Dalla condivisione nasce la comunità, il senso che altri pensano e sentono come noi, o forse no ma si interessano e si preoccupano come noi, e allora possiamo parlarne.