La religione romana/Premessa: differenze tra le versioni

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Con l'espressione "religione romana" si intende indicare quell'insieme di fenomeni religiosi propri dell'antica Roma considerati nel loro evolvere come varietà di culti, questi correlati allo sviluppo politico e sociale della città<ref>{{q|“Roman religion” is an analytical concept that is used to describe religious phenomena in the ancient city of Rome and to relate the growing variety of cults to the political and social structure of the city.|Robert Schilling (1987) Jörg Rüpke (2005), ''Roman religion'', in ''Encyclopedia of Religion'', vol.12. New York, Macmillan, 2005, p. 7895}}</ref><ref>Sul considerare la "religione romana" strettamente collegata alla città di Roma: {{q|Although Rome gradually became the dominant power in Italy during the third century BCE, as well as the capital of an empire during the second century BCE, its religious institutions and their administrative scope only occasionally extended beyond the city and its nearby surroundings (ager Romanus).|Robert Schilling (1987) Jörg Rüpke (2005), ''Roman religion'', in ''Encyclopedia of Religion'', vol.12. New York, Macmillan, 2005, p. 7895}} Ma anche: {{q|La religione romana esiste solo a Roma o là dove stanno i Romani|John Scheid, ''La religione a Roma''. Bari, Laterza, 1983, pp. 13-4}}</ref>.
 
Le origini della città, e quindi della storia e della religione di Roma, sono controverse. Recentemente l'archeologo italiano Andrea Carandini<ref>Cfr. Andrea Carandini, ''La nascita di Roma. Dèi, Lari, eroi e uomini all'alba di una civiltà''. Torino, Einuadi, 2003; Milano, Mondadori, 2010.</ref> sembrerebbe aver quantomeno dimostrato di poter datare l'origine di Roma all'VIII secolo a.C., saldando quindi le sue conclusioni, queste basate sugli scavi da lui condotti nella zona del Palatino, all'età di fondazione stabilita dal racconto tradizionale<ref>La datazione al 753 a.C. risale all'erudito romano Marco Terenzio Varrone (I secolo a.C.). Altre datazioni come quelle proposte da Catone, Dionigi di Alicarnasso e Polibio non si discostano molto. Fabio Pittore indica il 748-747, Cincio Alimento il 729-728, Timeo si spinge fino all'814-813.</ref><ref>Per una sintesi, cfr. Cristiano Viglietti, ''L'etaetà dei re'' in ''La grande storia dell'antichità - Roma'' (a cura di Umberto Eco), vol. 9, pp. 43 e sgg.</ref>.
 
Le origini della "religione romana" vanno individuate nei culti dei popoli pre-indoeuropei stanziati in Italia<ref>Così Mircea Eliade in '' Storia delle idee e delle credenze religiose'', vol. II, p. 111: «orbene, l'etnia latina da cui è nato il popolo romano, è il risultato di una mescolanza fra le popolazioni neolitiche autoctone e gli invasori indoeuropei scesi dai paesi transalpini»; diversamente George Dumézil, in ''La religione romana arcaica'', ppp. 69-70: «A differenza dei greci che invasero il mondo minoico, le diverse bande di indoeuropei che discesero in Italia non dovettero certamente affrontare grandi civiltà. Coloro che occuparono il sito di Roma probabilmente non erano neppure stati preceduti da un popolamento denso e instabilestabile; tradizioni come il racconto su Caco inducono a pensare che i pochi indigeni accampati sulle rive del Tevere siano stati semplicemente e sommariamente eliminati come lo sarebbero stato, agli antipodi, i tasmaniani dai mercanti venuti dall'Europa.»</ref>, nelle tradizioni religiose dei popoli indoeuropei <ref>Per una introduzione alle religione degli Indoeuropei cfr. Jean Loicq, ''Religione degli Indoeuropei'' in ''Dizionario delle religioni'' (a cura di Paul Poupard). Milano, Mondadori, 2007, pp. 891-908; Renato Gendre, ''Indoeuropei'' in ''Dizionario delle religioni'' (a cura di Giovanni Filoramo). Torino, Einaudi, 1993 pp. 371 e sgg.; Regis Boyer, ''Il mondo indoeuropeo'' in ''L'uomo indoeuropeo e il sacro'', in ''Trattato di antropologia del sacro'' (a cura di Julien Ries) vol. 3. Milano, Jaca Book, 1991, pp. 7 e sgg.</ref>che, probabilmente a partire dal XV secolo a.C.<ref>André Martinet, ''L'indoeuropeo. Lingue, popoli culture'', Bari, Laterza, 1989, pp. 78-9; Francisco Villar, ''Gli Indoeuropei'', Bologna, il Mulino, 1997 p. 480.</ref>, migrarono nella penisola, nelle civiltà etrusca<ref>Per le decisive influenze della cultura religiosa etrusca su quella romana cfr. Marta Sordi, ''L'homo romanus: religione, diritto, e sacro'', in ''Le civiltà del Mediterraneo e il sacro.'', in ''Trattato di antropologia del sacro'' (a cura di Julien Ries) vol. 3. Milano, Jaca Book, 1991, pp. 7 e sgg.</ref> e della Grecia<ref>Per quanto attiene alla decisiva influenza della mitologia greca sulla religione romana si rimanda alle conclusioni di Georges Dumézil in ''La religione romana arcaica'', Milano, Rizzoli, 2001, pp. 63 e sgg.</ref> e nelle influenze delle civiltà del Vicino Oriente occorse lungo i secoli.
 
La "religione romana" cessò di essere con gli editti promulgati a partire dal 380 dall'imperatore romano di fede cristiana Teodosio I il quale proibì e perseguitò tutti i culti non cristiani professati nell'Impero<ref>Cfr. al riguardo Salvatore Pricoco, in ''Storia del cristianesimo'' (a cura di Giovanni Filoramo) vol. 1, Bari, Laterza, 2008, pp. 321 e sgg.</ref>.
 
L'espressione "religione romana" è di conio moderno. Il termine italiano "religione" possiede tuttavia la sua chiara etimologia nel termine latino ''religio'' ma, nel caso del termine latino, esso esprime una nozione circoscritta alla cura nei confronti dell'esecuzione del rito a favore degli dèi, rito che, per tradizione, va ripetuto finché non risulti correttamente eseguito<ref>{{q|Per i Romani ''religio'' stava a indicare una serie di precetti e di proibizioni e, in senso lato, precisione, rigida osservanza, sollecitudine, venerazione e timore degli dèi.|Mircea Eliade, ''Religione'' in ''Enciclopedia del novecento''. Istituto enciclopedico italiano, 1982, pagp.121 P121}}</ref>, e in questo senso i Romani collegavano al termine ''religio'' il vissuto di timore nei confronti della sfera del sacro, sfera propria del rito e quindi della religione stessa<ref>Enrico Montanari, ''Dizionario delle religioni'' (a cura di Giovanni Filoramo, Torino, Einaudi, 1993, pagpp. 642-4</ref>:
{{q|''Religio'' è tutto ciò che riguarda la cura e la venerazione rivolti ad un essere superiore la cui natura definiamo divina|Cicerone, ''De inventione''. II,161|Religio est, quae superioris naturae, quam divinam vocant, curam caerimoniamque effert|lingua=la}}
La nozione moderna di "religione" è invece più complessa e problematica <ref>{{q|Ogni tentativo di definire il concetto di "religione", circoscrivendo l'area semantica che esso comprende, non può prescindere dalla constatazione che esso, al pari di altri concetti fondamentali e generali della storia delle religioni e della scienza della religione, ha una origine storica precisa e suoi peculiari sviluppi, che ne condizionano l'estensione e l'utilizzo. [...] Considerata questa prospettiva, la definizione della "religione" è per sua natura operativa e non reale: essa, cioè, non persegue lo scopo di cogliere la "realtà" della religione, ma di definire in modo provvisorio, come ''work in progress'', che cosa sia "religione" in quelle società e in quelle tradizioni oggetto di indagine e che si differenziano nei loro esiti e nelle loro manifestazioni dai modi a noi abituali.|Giovanni Filoramo, ''Religione'' in ''Dizionario delle religioni'' (a cura di Giovanni Filoramo). Torino, Einaudi, 1993, pagp. 620}}</ref> andando a coprire un più ampio spettro di significati:
{{q|Le concezioni religiose si esprimono in simboli, in miti, in forme rituali e rappresentazioni artistiche che formano sistemi generali di orientamento del pensiero e di spiegazione del mondo, di valori ideali e di modelli di riferimento|Enrico Comba, ''Antropologia delle religioni. Un'introduzione''. Bari, Laterza, 2008, p. 3}}
 
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{{q|La religione romana (o più in generale greco-romana) può essere caratterizzata da due elementi: è una religione sociale ed è una religione fatta di atti di culto. Religione sociale, essa è praticata dall'uomo in quanto membro di una comunità e non in quanto singolo individuo, persona; è squisitamente una religione di partecipazione e nient'altro che questo. Il luogo dove si esercita la vita religiosa del romano è la famiglia, l'associazione professionale o di culto, e soprattutto, la comunità politica. |John Scheid, ''La religione a Roma''. Bari, Laterza, 1983, p. 8}}
 
Ne consegue che per i Romani, la ''religio'' non aveva molto a che fare con quello che noi indichiamo come credenza religiosa individuale in quanto è lo Stato ad essere il tramite tra l'individuo e la divinità<ref>In tal senso Pierre Boyance, ''EtudesÉtudes sur la religion romaine'', Roma, École française de Rome, 1972, p. 28.</ref>:
 
{{q|L'atteggiamento religioso del romano va [...] distinto dal sistema della fede. ''Religio'' non equivale a ''credo''.| Robert Schilling, ''Rites, Cultes, Dieux de Rome''. Parigi, Klinck, 1979, p. 74; cit. in John Scheid, ''Op.cit.'', p. 8 }}
 
Il sentimento religioso romano (''pietas'') verte dunque nella forte volontà di garantire il successo alla ''respublica'' mediante la scrupolosa osservanza della ''religio'', dei suoi culti, dei suoi riti, della sua tradizione, osservanza che consente di ottenere il favore degli dèi e garantire la ''pax deum'' (''pax deorum'')<ref>''Deum'' al posto di ''deorum'' per l'arcaicità del genitivo.</ref>. Tale concordia con gli dèi determinata dalla scrupolosa osservanza della ''religio'' e dei suoi riti è testimoniata, per i Romani, dal successo di Roma nei confronti delle altre città e nel Mondo
{{q|... ma è nel sentimento religioso e nell'osservanza del culto e pure in questa saggezza eccezionale che ci ha fatto intendere appieno che tutto è retto e governato dalla volontà divina, che noi abbiamo superato tutti i popoli e tutte le nazioni.|Cicerone, ''De haruspicum responso'', 9; traduzione di Giovanni Bellardi, in Cicerone, ''Le orazioni'', vol. III, Torino, UTET, 1975, pp. 302-305 |...sed pietate ac religione atque una sapientia,<br /> quod deorum numine omnia regi gubernarique perspeximus,<br />omnes gentes nationesque superavimus.|lingua=la}}
 
Il che fa concludere a Cicerone: