La dimensione artistica e cosmologica della Mishneh Torah/Da teoria a storia: differenze tra le versioni

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Forse è ora di riprendere il filo del discorso lasciato in sospeso prima, sulla transizione dal capitolo 6 al capitolo 7 di "Leggi delle Fondamenta della Torah" e sullo svolgimento della storia.
 
"Leggi delle Fondamenta della Torah", 6:9, ci ha lasciato in esilio con Daniele ed il sogno di Nebuchadnezzar dei quattro imperi. Questo nadir storico coincide con il nadir spirituale ed intellettuale rappresentato da "Leggi delle Fondamenta della Torah", capitolo 6: la cancellazione del nome di Dio.Nelsuddetto capitolo 4, si è notato un modello di perdita nella ''Mishneh Torah'', seguito da una restaurazione, e la transizione in "Leggi delle Fondamenta della Torah" dal capitolo 6 al capitolo 7 è stata citata come primo esempio, il tema dalla cancellazione del nome di Dio e della distruzione che lascia il posto al tema della profezia, con la sua promessa di redenzione e conoscenza universale ultima di Dio alla fine del periodo di dominazione del quarto ed ultimo impero. Tale è la transizione descritta in termini generali. È ora possibile vederla negli stretti particolari, nelle profezie specifiche e nei ''midrashim'' che Maimonide cita ed evoca.
 
Vista come un'aggadah, "Leggi delle Fondamenta della Torah", 7:2, con il suo accoppiamento di Abramo e Daniele, è un tipo di ricapitolazione di "Leggi delle Fondamenta della Torah", 6:9. Questa volta però, tramite il ''midrash'' in ''Mekhilta derabi yishma`el'', i quattro imperi sono associati ad Abramo. In parte, questo ''midrash'' è consolatorio. Il pensiero che lo sottende sembra essere che se, nell'episodio dell'"alleanza tra i pezzi", ad Abramo è stata accordata una profezia dell'asservimento dei suoi discendenti in Egitto e della loro liberazione finale, allora sicuramente deve aver avuto anche un qualche accenno al loro successivo esilio e della loro redenzione finale. Leggendo questo accenno in Genesi {{passo biblico|Genesi|15,12}}, ''Mekhilta derabi yishma`el'' dà conforto ad un popolo diseredato e vulnerabile: la loro condizione grave era già nota al loro progenitore, fa parte di un piano e, molto importante, ha una fine predestinata. L'associazione dei quattro imperi con la figura più antica e riverita di Abramo, piuttosto che quella di Daniele, rende tale condizione più facile da sopportare: rientra nel programma originale.
 
Anche la figura di Giacobbe fornisce conforto. Il Midrash ''Genesi Rabbah'' vede la sua partenza da Beersheba alla volta di Haran, e durante il viaggio ha il sogno della scala, un preannuncio dell'esilio dei suoi discendenti.<ref>''Gen. Rabbah'' 68:13. Degno di nota è che Giacobbe viene citato come "Giacobbe nostro padre", ad indicare forse che deve essere considerato tipologicamente, mentre nella ''halakhah'' precedente Abramo è soltanto Abramo.</ref> Tuttavia Giacobbe alla fine torna a casa. Parimenti, la profezia di Geremia è una di distruzione, e il rotolo di Ezechiele contiene un rimprovero, ma la ''halakhah'' chiude con Zaccaria e la sua visione di restaurazione.
 
Questa lettura può sembrare più ''derash'' che ''peshat'', ma le nostre due ''halakhot'' problematiche sembra richiedano di certo un qualche tipo di spiegazione costruttiva. Se quella qui offerta sembra fantasiosa, allora bisogna cercarne un'altra dato che, sebbene le connotazioni create dall'ordinamento dei riferimenti biblici possano essere tenui, non possono essere ignorate.
 
Inoltre bisogna teenere in mente la situazione storia propria di Maimonide. Basta leggere l’''Epistola sul Martirio'' e l’''Epistola allo Yemen'' per capire quanto fosse consapevole dello stato precario del popolo ebraico nel suo tempo, e come fosse ansioso di confortarlo e infondere fiducia nelle profezie di redenzione, mentre allo stesso tempo disingannarlo da speranze false e pericolose. Pertanto, nell’''Epistola allo Yemen'' Maimonide invoca la profezia di Daniele relativa ai quattro imperi onde poter rassicurare gli ebrei dello Yemen che il tirannico impero islamico sarebbe finito,<ref>''Epistles'', curr. Halkin e Hartman, 100-1.</ref> ma inveisce contro la nozione che le ere della storia abbiano qualcosa a che fare con periodo astrologici, respingendo come frode i calcoli astrologici della data dell'avvento del messiah.<ref>''Epistles'', curr. Halkin e Hartman, 114-18.</ref> Da giovane, Maimonide stesso, insieme alla sua famiglia, era stato colpito dalla persecuzione islamica ed il suo ideale messianico prevedeva un'età in cui la verità potesse essere perseguita senza problemi.
 
Per Maimonide allora la profezia non era solo una materia teorica, una questione di definire la perfezione intellettuale dell'individuo. Non solo la profezia di Mosè quale base dell'autorità della legge, che viene discussa a lungo in "Leggi delle Fondamenta della Torah", ma lo interessa molto, praticamente ed emotivamente, anche la verità delle profezie dei patriarchi, di Daniele e di Isaia, Geremia e degli altri profeti di Israele. Tale interesse deve essere stato una buona ragione per Maimonide di aver inserito nella sua discussione di teoria e quadro giuridico della profezia allusioni al contenuto dei messaggi dei profeti, e alla base scientifica per prestar loro fede. Impostando il tutto obliquamente, poteva collegare teoria e storia senza nutrire quel tipo di superstizione e speculazione febbrile che altrove nei suoi scritti ebbe a combattere con forza.<ref>Sulla profezia nel suo contesto politico, si veda Ravitzky, "Maimonides on the Days of the Messiah", e Blidstein, ''Political Concepts'' {{he}}, 269-82.</ref>
 
===Maimonide e il processo storico===