Biografie cristologiche/Stereotipi giudaici: differenze tra le versioni

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La raffigurazione negativa della pratica ebraica continua nell'interpretazione della parabola. La mossa successiva è quella di asserire che la purezza è determinata dalla nascita: "Secondo una tradizione di purezza dell'epoca, i sacerdoti ed i leviti (entrambe classi ereditarie) vengono per primi, seguiti da «israeliti» e poi da «convertiti»" e così via.<ref name="Borg1">Marcus Borg, ''Meeting Jesus, cit.'', p. 51.</ref> Il punto è giusto secondo i termini delle funzioni basate sul Tempio. Tuttavia, questa è solo una parte della storia. Sacerdoti e leviti potevano essere, e spesso lo erano, ritualmente impuri (così infatti diventavano quando procreavano, poiché l'eiaculazione rende impuri, e poiché il lignaggio sacerdotale e levita viene trasmesso dal padre e non dalla madre).<ref name="parabola"/> Al contrario, i convertiti potevano facilmente essere in stato di purezza rituale: dovevano esserlo per poter offrire sacrifici al Tempio.
 
Poi, estendendo questa cattiva argomentazione ancor di più, gli studiosi definiscono la purezza secondo la classe sociale affermando che il "peggiore degli inosservanti" sono "reietti". Tra questi "reietti" vengono inclusi "gruppi professionali del tipo i pubblicani/esattori della tasse".<ref name="Borg1"/> Nei sermoni neotestamentari, come anche in pubblicazioni varie, la frase "reietti ed emarginati" diventa frase costante, sebbene quasi mai ne vengano articolati i dettagli. Da cosa vengono emarginati questi individui? Chi li espelle? Per quale motivo vengono allontanati? Ancora una volta, il modello manca di supporto probatorio. Per entrare nel Tempio di Gerusalemme, in verità per entrare in qualsiasi tempio dell'antichità, uno doveva essere in uno stato di purezza rituale. Il pubblicano di Luca 18 che si batte il petto e chiede pietà sarà certamente stato un peccatore, ma un peccatore in stato di purezza rituale. I Vangeli stessi dimostrano l'artificiosità delle categorie. Se donne, bambini, pubblicani, poveri e peccatori sono "reietti", allora la loro presenza al Tempio è inspiegabile. Infine, questa configurazione distorgedistorce le sue stesse categorie. La gente sceglie se essere osservante o meno; gli inosservanti quindi non sono "reietti" ma piuttosto sono individui, come i vari pubblicani che ricevono tante lodi nei Vangeli, che deliberatamente scelgono di uscire dalla comunità.<ref name="parabola"/>
 
Quello che sacerdote e levita hanno in comune non è la preoccupazione della purezza rituale bensì, come già detto, una discendenza comune. Uno non può essere sacerdote o levita senza che il proprio padre non lo sia stato. La parabola potrebbe aver menzionato un "sacerdote, levita e israelita" e così evocato le tre divisioni maggiori di ebrei. Ma Gesù, facendo buon uso del sistema parabolico, oltrepassa la convenzione e associa un ''samaritano'' al sacerdote e al levita. Secondo [https://www.biblegateway.com/passage/?search=2+re+17&version=CEI;LND 2 Re 17], i samaritani sono discendenti dei mesopotamici sistemati nel Regno Settentrionale, Israele, dall'esercito assiro conquistatore, verso il tardo ottavo secolo [[w:e.v.|p.e.v.]] Possedendo un proprio tempio sul Monte Gerizim, un sacerdozio rivale, ed una Torah rivale (il Pentateuco samaritano) con un paragonabile codice di purezza rituale, i samaritani erano per gli ebrei gli "altri" più prossimi. La rivalità emerge dalle parole della donna samaritana rivolte a Gesù presso il pozzo di Sicar: "I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte [Gerizim] e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare" (Gv 4:20). Gesù risponde: "Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei" (4:22). Pertanto, la parabola del buon samaritano rende "prossimo" una persona genealogicamente estranea; i membri della società ebraica, gli "interni", invece rimangono "fuori". Se Gesù fosse stato un samaritano, avrebbe raccontato la parabola del buon ebreo.<ref name="parabola"/>