Torah per sempre/Gli indipendenti: differenze tra le versioni

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Nel 1851 accettò un'offerta dalla ''Israelitische Religiongesellschaft'' supportata dai Rothschild in Frankfurt am Main<ref>Il defunto Manfred Lehmann affermò in merito a Wilhelm Carl ("Willy") Rothschild (1828-1901): "Hirsch con fermezza radunò il suo piccolo gruppo di fedeli e formò una congregazione indipendente con la propria sinagoga, scuola, ecc. Provvidenzialmente, il Barone fu pronto a finanziarlo con generosità." Si veda Liberles, ''Religious Conflict'', 89.</ref> e si dedicò a creare una comunità ortodossa modello in cui la Torah tradizionale e la cultura contemporanea potessero coesistere.<ref>Liberles, ''Religious Conflict'', 108-12. Liberles si preoccupa di sottolineare che la Riforma non era così dominante né l'Ortodossia così indebolita come spesso si afferma; alle pagg. 94-5 discredita completamente l'affermazione di Hirsch che solo "undici uomini" avessero fondato la comunità ortodossa.</ref> A seguito della rivoluzione del 1848 le autorità civili erano ben disposte verso i conservatori religiosi e approvarono la sua nomina come rabbino del gruppo esclusivamente ortodosso nell'ambito della congregazione di Frankfurt.<ref>Liberles, ''Religious Conflict'', 93.</ref> In seguito, ebbe una disputa con un altro rabbino ortodosso, Seligman Baer Bamberger (1807-78) di Würzburg, se fosse possibile agli ebrei ortodossi identificarsi, in integrità, con la più grande comunità ebraica, che era prevalentemente riformista; nel 1876, sotto il regime prussiano, la comunità di Hirsch si staccò dalla comunità principale di Frankfurt e divenne una ''Austrittsgemeinde'' legalmente separata.<ref>Gran parte della corrispondenza si trova in S.R.Hirsch, ''Collected Writings'', vi. 153-317.</ref>
 
Hirsch considerava l'ebraismo in termini universali, con una missione nel mondo da realizzarsi nel tempo del messia. Nelle Lettere 8 e 9 del suo ''Diciannove Lettere'' (1836), sottolinea come la fondazione della nazione d'Israele (cioè ebraica) è la Torah e non la terra: "terra, prosperità e le istituzioni di nazionalità sono state messe a disposizione di Yisrael non come fini di per se stessi ma come mezzi per la realizzazione della Torah" e condizionatamente a tale realizzazione.<ref>S.H. Hirsch, ''Nineteen Letters'' (ingl.), Lettera 8, pp.116.</ref> Hirsch enfatizzava i testi biblici quali fondamenta dell'istruzione; sebbene accettasse il Talmud come la dichiarazione definitiva dell'ebraismo, nei suoi scritti pubblicati non si impegnò in dialettica talmudica e fu ambivalente nei confronti del misticismo ebraico. La missione di Israele in esilio era di disseminare la "pura umanità" tra le nazioni.
 
Adottò come slogan l'espressione ''[[w:Torah im Derech Eretz|Torah im derekh eretz]]'' ("Torah con la via della terra" o "secondo il mondo"); questa frase deriva dall'osservazione attribuita a [[:en:w:Gamaliel III|Gamaliel III]] che "È bene combinare lo studio della Torah con la via della terra [''derekh eretz''], poiché impegnarsi in entrambi porta [l'uomo] via dal peccato."<ref>Mishnah ''Avot'' 2:2.</ref> Nel modo in cui Hirsch usa la frase echeggia la riconciliazione del cristianesimo con la cultura da parte del teologo protestante [[w:Friedrich Schleiermacher|Friedrich Schleiermacher]],<ref>Schleiermacher, ''On Religion'', scritto nel 1799, presenta una veduta dell'unione vivente tra cristianesimo e cultura. Hirsch rifiuta il soggettivismo di Schleiermacher; la sua enfasi sulla legge piuttosto che sulla fede ("La loi und nicht la foi ist das Stichwort des Judentums") potrebbe essere stata diretta contro Schleiermacher (Rosenbloom,''Tradition'', 215).</ref> e si accorda con la posizione del suo stesso insegnante, [[:en:w:Isaac Bernays|Isaac Bernays]] (1792-1849), Rabbino Capo di Amburgo;<ref>Bernays ha lasciato pochi scritti; negò la paternità di un saggio intitolato ''Der biblische Orient'' che gli veniva attribuito.</ref> l'ebreo dovrebbe combinare il meglio della cultura locale con la propria tradizione religiosa, differendo dal non-ebreo principalmente in una immutata aderenza all'Halakhah.
 
Cosa intendesse Gamaliel è da discutersi, ma l'interpretazione di Hirsch lo avrebbe probabilmente preoccupato. È inoltre difficile vedere come l'adattamento di Hirsch sia nella pratica che nella teorica con quello che riteneva essere il meglio della cultura ambientale si accordi con la sua enfasi sull'interpretazione ''selbstbegreifend'' della Torah, cioè l'interpretazione della Torah interamente secondo i suoi propri termini.
 
Si è affermato che Hirsch abbia subito l'influenza di Herder, Fichte, Hegel e persino [[w:Friedrich Schelling|Schelling]], sebbene ciò venga vigorosamente negato dal alcuni suoi sostenitori.<ref>Per esempio da Joseph Elias, in S.H. Hirsch, ''Nineteen Letters'', 22</ref> Affermazione difficile di provar, dato che Hirsch raramente cita le fonti delle sue idee, preferendo "scoprirle" in certi testi biblici o rabbinici. Sicuramente, il suo concetto della nazione, il relativo linguaggio, lo "spirito unico" e il destino condividono molto quelli di Hegel e Herder,<ref>Rosenbloom, ''Tradition'', 152segg.</ref> come anche la sua ammirazione espressa apertamente per la Grecia antica: "Lo spirito ellenistico crea uomini civilizzati, miti, gioiosi e liberi."<ref>S.R. Hirsch, "Hellenism and Judaism", 202. Hirsch vede le virtù dell'Ellenismo come individualistiche; devono essere subordinate ai valori spirituali e sociali di "Shem", cioè l'ebraismo.</ref>
 
L'influenza (non riconosciuta) di Kant è maggiormente pervasiva ed è evidente in due modi: il tono generale dei suoi scritti etici dà molta importanza al concetto del dovere e la sua interpretazione dei comandamenti si concentra sul loro significato etico in un modo che riflette l'uso kantiano del concetto di Dio quale base dell'etica. Per Hirsch l'etica, invece della spiritualità, è il segno del divino e l'etica è l'essenza della Legge/Torah. A differenza di Kant, tuttavia, Hirsch credeva nella rivelazione – la Torah dal Sinai – in un perfetto senso tradizionale; per Hirsch Dio è la fonte eterna, vivente, imperativa dell'etica, non una presupposizione metafisica invocata per sostenere l'etica stessa.
 
Come Mendelssohn, Hirsch negava che l'ebraismo avesse dogmi e negava anche, decisamente, che avesse una "teologia".<ref>''Collected Writings'', i.198-9 (''Gesammelte Schriften'', i, 88segg.).</ref> "L'ebraismo conosce [[w:613 Mitzvot|613 comandamenti]], ma nessun comandamento di fede. Quelle verità che formano la base dell'ebraismo le rivela come fatti e le proclama a tutti coloro che sono in grado di percepire la verità... la Torah... è... un fatto, proprio come il cielo e la terra."<ref>''Nineteen Letters'', Lettera 15, p. 200.</ref>
 
È difficile vedere come questa affermazione sia un po 'meno dogmatica dell'affermazione che Gesù è Figlio di Dio, o che Maometto è il messaggero di Dio e il Qur`an è verità. Si dice che quando l'[[w:Assunzione di Maria|assunzione corporea di Maria]] fu proclamata da [[w:Papa Pio XII|Pio XII]] l'1 novembre 1950 nella bolla ''[[w:Munificentissimus Deus|Munificentissimus Deus]]'', un rabbino si preoccupò di dire al suo amico cattolico che tale con assurdità la chiesa aveva oltrepassato il limite. "Ma", replicò il prete, "non credi forse, come afferma la Bibbia, che Elia sia asceso al cielo con un carro di fiamme?" Rispose il rabbino: "Ma come puoi paragonare? Quello accadde sul serio!" A quanto pare, il dogma di uno è il semplice fatto di un altro.<ref>Non proprio una barzelletta: una ricerca su internet riporta una pagina della ''Catholic Encyclopaedia'' intitolata proprio "The Fact of the Assumption" (un po' come dire il controsenso "Il Fatto del Presunto")! Su "teologia" vedi [[Torah per sempre/Orientamento]].</ref>
 
Cosa intende Hirsch quando nega che le affermazioni della Torah su Dio e la rivelazione sono "comandamenti di fede" (Maimonide di sicuro le categorizza come tali) e non costituiscono una "teologia"? Di certo un discorso razionale su Dio e la rivelazione sono esattamente ciò che rappresenta la teologia e un discorso razionale, anche sistematico, sulla rivelazione è proprio quello che fa Hirsch nell'esplorare i ''mitzvot''. Molto probabilmente fece tali affermazioni per distanziarsi dai cristiani e dagli ebrei riformati che speculavano sulla natura di Dio, un argomento che gli pareva futile perseguire e mancava di rilevanza per la vita del fedele ordinario. Molti teologi dichiarati potrebbero condividere tale posizione, ma non negherebbero poi di essere teologi; anche la cattiva teologia è pur sempre teologia.
 
È precisamente la sua fede dogmatica nell'origine divina dell'intera Torah, inclusa la legge rabbinica, che lo distingue dalla Riforma. Non solo rifiutò la critica storica come questione di principio, ma tentò ti confutarla sul suo stesso terreno; la sua critica dura e non troppo accademica del suo ex-discepolo Heinrich Graetz in ''Jeschurun'', il bollettino mensile che aveva fondato per promuovere le proprie idee, dimostra l'inacidirsi del suo rapporto col grande storico.<ref>La critica di Hirsch contro Graetz e Zacharias Frankel viene inclusa nel suo ''Collected Writings'', vol. v.</ref>
 
Nel 1855, nel primo numero di ''Jeschurun'', scrisse:
{{q|La Legge Scritta si perde se neghiamo la Legge Orale... la Legge Scritta cerca di essere celebrata solo in una compagnia di uomini che sono imbevuti dell'efflato vivente della Legge Orale, che è Divina come la Legge Scritta; in questo modo la Legge Scritta rende chiaro che la sua stessa esistenza dipende dall'esistenza della Legge Orale. Invero, non è la Legge Orale che deve cercare la garanzia della propria autenticità nella Legge Scritta; al contrario, è la Legge Scritta che deve cercar garanzia nella tradizione Orale.</br>Quando innalziamo questa Torah, la cui rivelazione celebriamo durante Shavuoth, proclamiamo giubilanti ''vezot hatorah'', ecc. ["e questa è la Torah"], che è tuttora la stessa Torah che Mosè portò a Israele "dalla bocca di Dio, tramite la mano di Mosè"—la stessa Torah, pura e inalterata. Quando viviamo e muoriamo nella convinzione che tale prezioso patrimonio è stato conservato puro e autentico attraverso tutte le tempeste e vicissitudini di una storia di oltre tremila anni, o quando ci affidiamo per il benessere terreno o la salvezza celeste nostra e dei nostri figli sulla verità di questa Torah, che garanzia abbiamo per tutto ciò se n on la tradizione dei nostri padri? Sì, proprio gli stessi padri che, insieme alla Legge Scritta, ci tramandarono anche la Legge Orale. Se i nostri padri ci hanno ingannato con una, come possono essere degni di fiducia per l'altra? Di certo, non ci sono prove o garanzie per la verità e realtà di un fatto storico, salvo la fede nella tradizione. Ogni sorta di documenti e monumenti, ogni tipo di circostanza interna ed esterna ti può condurre alla conclusione che sia probabile, o quasi certo che tale o talaltro evento accadde veramente; ma chi ti dice che ciò che consideri probabile o anche certo sia veramente accaduto? Oppure che i documenti stessi da cui trai le tue conclusioni non siano in realtà contraffatti?... Il fatto rimane, comunque, che la tradizione ebraica – un fenomeno unico nel suo campo – ci riferisca solo a se stessa; inoltre che rifiuti qualsiasi documentazione della Torah Scritta che, dopo tutto, è solo tramandata da quella tradizione orale e la presuppone ovunque.<ref>''Collected Writings'', i.195-6 (mia traduzione italiana).</ref>}}
 
Molti anni dopo, nel suo commentario su Esodo {{passo biblico|Esodo|21,2}}, sostenne che "alla mente senza pregiudizi, niente può dimostrare così chiaramente la verità della legge-orale tradizionale quanto i primi due paragrafi, vv. 2-6 e 7-11, con cui inizia questa "Legiferazione Mosaica"; poiché la base della legge della Torah sono i diritti umani, sarebbe assurdo iniziare il codice con «Quando un uomo vende un altro uomo...» o «Quando un uomo vende sua figlia»!" Evidentemente, continua, una quantità di leggi e principi – la Legge Orale – deve essere presupposta ''prima'' che questi casi marginali possano essere descritti.<ref>''Commentary on Exodus'', Esodo 20:2.</ref>
 
==Malbim (Meir Leibush ben Yehiel Michel Weiser, 1809-1879)==