Identità e letteratura nell'ebraismo del XX secolo/L'esperienza migratoria in America: differenze tra le versioni

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Tra i romanzieri più intellettuali qui discussi figura '''Ludwig Lewisohn''' (1882-1955), le cui opere sono maggiormente radicate nella tradizione europea e più teoriche, nonché più programmatiche nell'intento. Nel suo ''The Island Within'' (1928, ''Il popolo senza terra''),<ref name="Island">Ludwig Lewisohn, ''The Island Within'', Harper & Brother, 1928; trad. it. ''Il popolo senza terra'', Corbaccio, 1934.</ref> l'autore non solo presenta una parte di cronaca famigliare che riguarda i Levy, ma anche una panoramica dell'ebreo in America stagliato contro uno sfondo di storia ebraica. Lewisohn si rifiuta di considerare l'ebreo americano separatamente, che sia dall'America o altrove: egli forma parte della storia ebraica in generale, per quanto gli ebrei stessi si siano illusi del contrario. Lewisohn insiste, in uno dei molti prologhi che precedono ogni sezione del suo romanzo, che quest'ultimo deve ricatturare una qualità epica:
{{quote|Per farlo non c'è bisogno di parole altisonanti o azioni violente. Solo un senso costante di generazioni in flusso, dei processi di cambiamento storico, del vero carattere della magnifica e tragica avventura dell'uomo tra terra e cielo.|''The Island Within''<ref name="Island"/>}}
In questo senso, ''The Island Within'' è un ''roman-à-thèse'', profondo nella sua intensità. La storia si apre a Vilna nel 1840, con Mendel e sua moglie Braine. Per gli ebrei dell'Europa orientale, questa è la prima fase di quel periodo di storia ebraica noto come ''Haskalah'', Illuminismo, e Mendel — con grande angoscia della religiosa moglie — vien preso da questa febbre modernizzante. Mendel rimane nel gruppo, ma suo figlio Efraim diventa ancor più secolare, mondano, e se ne va in Prussia col nome laicizzato di Efraim Levy nel 1850. Tramite il suo utilizzo di prologhi (alla ''Tom Jones'')<ref>Si veda il romanzo classico del XVIII secolo, di Henry Fielding, ''Tom Jones'', pubblicato in Italia ''int. al.'' da Mondadori, trad. it. M. Ricci Miglietta, 2013.</ref> l'autore fornisce al lettore sia la storia che la propria riflessione sugli eventi. Nella storia recente in particolare, ma attraverso tutte le generazioni, gli ebrei hanno dovuto emigrare. Per Lewisohn, ciò è un fenomeno negativo: "Gli ebrei non sono il solo popolo migratorio dei tempi moderni, ma essi forniscono gli esempi classici della migrazione, perché in nessun luogo e da nessuna parte hanno ancora trovato il ristoro di una tolleranza o di una patria."<ref name="Island"/> Se il principale tema manifesto nel romanzo è l'ebreo in America, la questione più ampia è se l'ebreo sia mai a suo agio in una qualche parte del globo. Efraim è contento di stare in Prussia, ma questa nazione per lui è ancora un esilio (''goles''). Suo figlio Tobias asserisce di sentirsi veramente "a casa", ma deve dimostrare di essere un tedesco, e quindi partecipa alla guerra franco-prussiana del 1870, viene decorato con la croce di ferro per eroismo, si sposa un'abbient cristiana prendendo anche il suo cognome, e poi si fa battezzare. In conclusione, è un affermato avvocato ben accasato, che gode di gran successo economico e sociale. Che ironia: "tutta la Berlino letteraria ed artistica affollava i loro salotti. E quasi tutti erano ebrei." È ora convenientemente assimilato? No, perchèperché è angosciato da altri ricordi. Ma spera che i suoi figli ne possano essere liberi.<ref name="Island"/>
 
[[File:Manhattan Skyline I South Street and Jones Lane Manhattan by Berenice Abbott March 26 1936.jpg|thumb|left|Stralcio di New York nel 1936: Manhattan, con Wall Street sulla destra]]
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Jo Boshere (nato Abe Nussbaum: il suo cambio di nome indica il bisogno di assimilarsi e farsi accettare) è già sposato quando entra in scena. Ma il suo matrimonio è di un tipo molto particolare. Subito dopo il matrimonio Boshere decide che debbano sempre stare divisi, mandando la moglie a fare lunghi viaggi. Che cosa lo ha portato ad unirsi a lei? Forse era attratto dal suo interesse per lui: "la sua affinità a Boshere era la sua quasi folle preoccupazione per lui." Boshere è totalmente egoista, insensibile ai bisogni degli altri. Infatti, la sua ambizione principale è di incorporare questi altri nel suo ego rampante: "Sebbene iniziasse ognuna delle sue seduzioni con pretese di passione e intensità, il suo ardore in tale direzione non era altro che una maschera del suo scopo reale, che era quello di una seduzione più profonda e interiore, una fame vampiresca di sangue della sua vittima."<ref name="Love"/> Non riesce a sopportare individui separati, autonomi — solo satelliti intorno a lui. Ma la sua ebraicità rimane il suo problema. All'inizio cerca di trascenderla. Ma poi Tillie Marmon, oggetto del suo costante desiderio, gli rende chiaro che è proprio la sua ebraicità che la attrae nella sua estraneità: "La sua ebraicità era diventata per lei una maschera esotica, misteriosa ed orientale... Il processo di cambiare da ebreo a orientale, da una vignetta antisemita ad un'illustrazione affascinante del tipo ''Mille e Una Notte'', produsse su Boshere un vero incantesimo — e ne fu grato."<ref name="Love"/> Questa percezione esterna di se stesso lo aiuta a riesaminare la propria valutazione del suo carattere ebraico. Ma vuole usare la sua natura e le sue caratteristiche ebraiche per metterle in mostra, per starci al disopra in controllo, come sofisticato cosmopolita che può "attivare" le sue origini a piacimento, sdegnandosi di nasconderle. Tuttavia, come indicato dalle sue relazioni con la famiglia, in particolare con sua sorella Esther, non vuole essere sopraffatto da questa ebraicità: diventa specialmente nervoso con le associazioni sioniste di Esther — forse perché il sionismo implica un assenso totale all'ebraicità. Esther gli dice: "Ti vergogni di esserti associato con la causa ebraica perché si riflette su di te: ricorda alla gente che tu sei un ebreo." Per lui, comunque, il sionismo è autoinganno, la pretesa che "ora gli ebrei sono rispettabili".<ref name="Love"/><ref name="Kovan"/>
[[File:Ben Hecht.jpg|thumb|150px|left|Ben Hecht nel 1949]]
Da una lettura superficiale del romanzo, sembrerebbe che la sua preoccupazione esternata nel titolo non sia con la parola "ebreo", ma piuttosto con la parola "amore". Qual' è dunque la natura dell'"amore" di Jo? È proprio amore, o non c'è forse dell'ironia nel titolo? Amore, quando significa qualcosa, richiede un profondo interesse per l'altro/a, oggetto di tale amore. L'amante dovrebbe perdersi in un dare altruistico; ma Jo sembra incapace di dare, ed è eternamente assillato non da una preoccupazione per la compagna (al contrario, salta da una all'altra e le tradisce tutte senza alcun scrupolo), ma dalla propria insicurezza. Lo "amano" veramente, è ciò che vuol sapere. Sono costantemente concentrate su di lui, sul suo essere? In verità, quando sospetta di essersi innamorato sinceramente, percepisce tale sentimento come un'umiliazione. Di certo la persona che ama è meno in controllo dell'oggetto amato, e ciò che Jo cerca soprattutto è il controllo. Controllo è potere: "L'amore di per sé non ha valore per il suo egoismo. Amare un'altra infatti era rivalità bizzarra e insopportabile. Se ne adombrava e si sentiva sminuito. Il suo maggior interesse, quando veniva colto dal desiderio di un'altra, era quello di far nascere in questa altra un amore immediato e travolgente."<ref name="Love"/> Ma proprio come il suo amore è inautentico, così lo è anche la sua ebraicità. Hecht non lascia quasi mai che l'azione descriva se stessa: la trama non emerge a farsi interpretare dal lettore. Al contrario, al lettore vengono dati i pensieri di Jo e la prospettiva onnisciente del narratore con la sua struttura pensante. Ma poiché il personaggio principale non ha raggiunto la maturità e l'autocomprensione, egli non potrà mai crescere oltre il dato del narcisismo. Ciò potrebbe apparire divertente oppure terribile ad un estraneo, quindi il tono di questa attraente narrazione si sposta tra farsa e tragedia. Se l'"amore" è il tema principale, allora è un falso amore che emana da un falso ebreo. Jo non ha affrontato la sua natura essenziale in nessun rispetto — è riuscito a realizzarsi in società, ma non in se stesso, nella sua propria vera essenza. Certamente non come ebreo.<ref>Doug Fetherling, ''The Five Lives of Ben Hecht'', Lester & Orpen, 1977, ''s.v.'' "''A Jew in Love''".</ref>
 
[[File:Brooklyn Museum - Sunset From Williamsburg Bridge - Joseph Pennell.jpg|thumb|''Tramonto dal Ponte di Williamsburg'', incisione di Joseph Pennel, 1915]]