Guida maimonidea/Interpretazione ed ermeneutica: differenze tra le versioni
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La metafora maimonidea dell'interpretazione, chiave per comprendere il suo modello esegetico, appare nella seconda regola all'inizio del ''Libro dei Comandamenti''. Le interpretazioni sono branche delle radici date a Mosè esplicitamente, i '''613 comandamenti'''." Usando la metafora delle "branche", Maimonide analizza il problema concettuale alla base del suo modello esegetico. Per chiarire questa analogia d'interpretazione e testo paragonandole a branca e radice, è utile innanzitutto distinguere tra due tipi di interpretazione: il primo tipo, l'interpretazione che cerca di chiarire o dischiudere il significato dei termini testuali ed i principi che lo guidano, sono i principi di scoperta e definizione. Il secondo tipo non spiega il testo, ma ne trae conclusioni aggiuntive.<ref name="David">Per questo capitolo si vedano soprattutto David Henshkeh, "The Reason for Halakhah in Maimonides` Thought", ''Maimonidean Studies'' 4, 2000, pp. 45-80 (in ebr.); ''id.'', "The Foundations of Maimonides Theory of ''Halakhah''", ''Shenaton Ha-Mishpat ha-Ivry'' 20, 1997, pp. 103-149; Moshe Halbertal, "Maimonides Book of Commandments, the Architecture of ''Halakhah'' and Its Theory of Interpretation", ''Tarbiẕ'' 59, 1990, pp.457-480; Joel L. Kraemer, ''Maimonides. The Life and World of One of Civilization's Greatest Minds'', Doubleday, 2008, capp. 3-4.</ref>
I prinicpi interpretativi del secondo tipo sono più vicini ai principi deduttivi. Per esempio, presumiamo che ci sia una legge che dice "i veicoli non devono entrare nel parco pubblico". Colui che interpreta questa frase si trova davcanti ad un problema di definizione: qual
Maimonide sosteneva che i "tredici principi coi quali la Torah viene interpretata" sono principi deduttivi, mediante i quali è possibile derivare leggi aggiuntive a quelle date a Mosè sul Monte Sinai. Queste ultime sono chiare, sia per virtù del loro significato diretto e schietto, sia per le spiegazioni trasmesse attraverso le generazioni. Il processo di interpretare mediante i tredici principi non spiega queste leggi o non ne interpreta i termini, ma desume nuove leggi da quelle esistenti. I tredici principi ermeneutici sono principi deduttivi, che generano nuovi significati estraendoli dalle leggi date a Mosè sul Sinai. In queste interpretazioni, non spieghiamo le leggi precedenti — le radici — dalle quali fluisce la conclusione, poiché queste leggi sono ben note, chiare e non soggette a controversia. L'interpretazione produce le branche che emrgono da queste radici, tramite principi deduttivi accettati — i tredici principi con cui si interpreta la Torah.<ref name="Bertal">Moshe Halbertal, ''Maimonides: Life and Thought'', Princeton University Press, 2013, pp. 119-126.</ref> Questa equazione di interpretazione con deduzione ricorre ovunque Maimonide parli di interpretazione mediante i tredici principi. In quei casi, usa il verbo "derivare/estrarre" per descrivere cosa fu derivato per mezzo dei tredici principi, invece di espressioni come "interpretare", "spiegare", o "chiarire". Scrive quanto segue nella sua introduzione al ''Commentario alla Mishnah'': "Le leggi derivate per inferenza"; "le materie che possiamo derivare attraverso il 'generale e particolare' (''prat u-klal'') e gli altri tredici principi"; e così via. Inoltre l'analogia dei comandamenti dati a Mosè con radici da cui le branche possono essere derivate per interpretazione ricorre continuamente nell'introduzione al ''Commentario alla Mishnah''. Maimonide chiama il nucleo che appare nella Torah e sul quale non c'è controversia "le radici/principi" (''uşūl''). Il paragone con le radici ricorre in diversi passi del ''Commentario alla Mishnah'': "Il popolo di ogni generazione rende le affermazioni dei loro predecessori in radici, dalle quali essi derivano i germogli. Non c'è controversia sulle radici accettate" (Introduzione alla ''Mishnah''). Maimonide espone l'errore di coloro che credono che ci possa essere controversia sulle leggi ricevute come segue: "per due persone, se essi sono alla pari in saggezza, analisi e conoscenza delle radici da cui si possono derivare i germogli, tutto ciò che derivano per deduzione non sarà soggetto a congtroversia" (''Ibid.''). La formulazione in termini di radici e branche insieme al verbo "derivare" rappresenta l'interpretazione coi tredici principi come un procedimento di dedurre nuove leggi da leggi antiche usando principi deduttivi, cioè, i tredici principi. Questa caratterizzazione dei tredici principi ermeneutici quali principi che guidano la deduzione trova espressione anche nella ''Mishneh Torah'', nelle Leggi di Studio della Torah (1:11):
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In successive formulazioni della ''Guida'' e nella sua ''Lettera sulla risurrezione'', che verrà discussa in seguito, Maimonide sembra ammettere un'interferenza volitiva di Dio nella catena causale della natura. Tuttavia, ciò che è comune a tutte le formulazioni sulla natura e la possibilità di miracoli, come è evidente dalla sua posizione riguardo alla profezia, è che i miracoli non giocano nessun ruolo importante nel formare convinzioni e posizioni religiose genuine.<ref name="Zvi"/> La profezia di Mosè non fu basata sull'Esodo, ma sulla natura pubblica della consegna della Torah durante la teofania del Sinai:
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La partecipazione del popolo alla profezia stessa di Mosè lo liberò dal dover usare meraviglie e miracoli per rafforzare ostentatamente la sua profezia. Poiché un profeta non può essere creduto in virtù dei suoi miracoli, il dovere di obbedire le parole dei profeti si origina dai comandamenti della Torah che ordinano di ascoltarli. Quando sopraggiunge un profeta, questi non afferma qualcosa in virtù della rivelazione stessa, poiché non abbiamo modo di sapere se Dio gli è apparso veramente come apparve sul Monte Sinai. Il dovere di obbedire il profeta si basa sulla Torah.<ref name="Zvi"/> Pertanto un profeta che cerca di alterare o minare la Torah di Mosè essenzialmente mina il dovere di obbedirlo, poiché tale dovere è esso stesso derivato dalla Torah di Mosè:
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