Storia della letteratura italiana/Questione della lingua nell'Ottocento: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
m Annullate le modifiche di 151.56.12.247 (discussione), riportata alla versione precedente di Hippias
Etichetta: Rollback
precisazioni
Riga 4:
 
== La polemica contro l'Accademia della Crusca ==
{{vedi pedia|Accademia della Crusca}}
[[File:Vocabolario della Crusca 1612.jpg|thumb|left|Frontespizio della prima edizione del Vocabolario della Crusca, 1612]]
Come si è visto nel modulo sulla [[../Questione della lingua tra Trecento e Cinquecento|questione della lingua nel Cinquecento]], il modello bembiano conosce con il tempo un processo di snaturamento. NelBembo Seicentoaveva lainfatti tendenzaproposto daun essomonolinguismo diffusabasato vienesulle opere di rovesciataPetrarca, e Firenzeaveva tornaavversato adogni averecontaminazione autoritàtra normativa in fatto diquesta lingua. Aletteraria dimostrazionetrecentesca die questo,la nellingua XVII"viva" secoloparlata èdai stampatafiorentini, proprioche nellarischiava cittàdi toscana laaccogliere grammaticaelementi di Benedettoorigine Buonmatteipopolare. ConUna laposizione pubblicazioneche delaveva vocabolariocreato dell'[[w:Accademiacontrasti dellacon Crusca|Accademiachi dellariteneva Crusca]]invece nel 1612che la questioneparlata dellafiorentina linguafosse sila spostapiù sul"gentile" dibattitoe traavesse sostenitori equindi contrariun alprimato vocabolariolinguistico.
 
La situazione è destinata a mutare nel Seicento, quando avviene un rovesciamento del classicismo. Firenze torna ad avere autorità normativa in fatto di lingua, e proprio nella città toscana sarà stampata, nel 1643, la grammatica di Benedetto Buonmattei (Firenze, 1581 – Firenze, 27 gennaio 1647). Questa inversione di tendenza si deve principalmente alla pubblicazione, a Firenze, del vocabolario dell'Accademia della Crusca nel 1612. I compilatori dell'opera basano il loro lavoro sullo studio delle cosiddette "Tre Corone", cioè Dante, Petrarca e Boccaccio, a cui si aggiungono altri autori minori fiorentini del Trecento. La questione della lingua si sposta quindi sul dibattito tra sostenitori e contrari al vocabolario.
In questo contesto, l'autorità del fiorentinismo viene avversata in nome di un generico toscanismo, che fa leva sui meriti letterari della città di Siena, la quale può vantare una tradizione linguistica risalente [[w:Claudio Tolomei|Claudio Tolomei]] e portata avanti da [[w:Celso Cittadini|Celso Cittadini]]. A questo si aggiunge, nel Settecento, il ''Dizionario cateriniano'' (cioè il lessico dei termini usati da Caterina da Siena) curato da [[w:Gerolamo Gigli|Gerolamo Gigli]], in cui vengono attaccati la Crusca e il fiorentinismo. Il ''Dizionario'' segna anche il momento più acre di tutto il dibattito sulla questione della lingua: il granduca di Toscana esige una punizione per Gigli, che è bandito da Roma e costretto a ritrattare, mentre il ''Dizionario'', non ancora ultimato, viene bruciato pubblicamente.<ref name="Marazzini">{{cita web|http://www.treccani.it/enciclopedia/questione-della-lingua_%28Enciclopedia-dell%27Italiano%29|autore=Claudio Marazzini|Questione della lingua|15 febbraio 2015|opera=Enciclopedia dell'Italiano|editore=Treccani|anno=2011}}</ref>
 
In questo contesto, l'autorità del fiorentinismo viene avversata in nome di un generico toscanismo, che fa leva sui meriti letterari della città di Siena, la quale può vantare una tradizione linguistica risalente [[w:Claudio Tolomei|Claudio Tolomei]](Asciano, 1492 circa – Roma, 23 marzo 1556) e portata avanti da [[w:Celso Cittadini|Celso Cittadini]](Roma, 1º aprile 1553 – Siena, 29 marzo 1627). A questo si aggiunge, nel Settecento, illa compilazione del ''Dizionario cateriniano'' (cioè il lessico dei termini usati da [[../La crisi del XIV secolo#Caterina da Siena|Caterina da Siena]]), curato da [[w:GerolamoGirolamo Gigli|Gerolamo Gigli]](Siena, 14 ottobre 1660 – Roma, 4 gennaio 1722), in cui vengono attaccati la Crusca e il fiorentinismo. Il ''Dizionario'' segna anche il momento più acre di tutto il dibattito sulla questione della lingua: ille granducaproteste didei Toscanaletterati esigefiorentini unasono punizionetali perche Gigli, chedeve èriparare bandito daa Roma e costrettoil agranduca ritrattare,di Toscana mentreordina il rogo del ''Dizionario'' che, non ancora ultimato, viene bruciato pubblicamente.<ref name="Marazzini">{{citail web|http://www.treccani.it/enciclopedia/questione-della-lingua_%28Enciclopedia-dell%27Italiano%29|autore=Claudio7 Marazzini|Questionesettembre della lingua|15 febbraio 2015|opera=Enciclopedia dell'Italiano|editore=Treccani|anno=2011}}</ref>1717.
D'altra parte, i principali intellettuali del Seicento e del Settecento si dimostrano contrari al fiorentinismo e alle posizioni dell'Accademia della Crusca, che con il passare del tempo diventano sempre più anacronistiche. Tuttavia la mancanza di altri strumenti normativi idonei fa sì che il ''Vocabolario'', ampliato, continui a fare testo, seppur fermo nelle sue posizioni arcaicizzanti. Gli illuministi in particolare mostrano acredine verso la Crusca: si ricordano per esempio la ''Rinunzia avanti notaio al Vocabolario della Crusca'' di Alessandro Verri e il ''Saggio sulla filosofia delle lingue'' di Melchiorre Cesarotti, che propone l'istituzione a Firenze di un Consiglio nazionale della lingua che sostituisca l'Accademia. Nel suo saggio Cesarotti si dimostra inoltre aperto ad accettare forestierismi e termini provenienti dai dialetti, posizione che finisce per scontrarsi con l'ostilità verso gli stranieri diffusa in seguito alle campagne napoleoniche in Italia (si pensi al ''Misogallo'' di Alfieri). A questo segue un rinato amore per la lingua del Trecento e per il modello bembiano, un purismo che in qualche modo ovvia alla mancanza di unità politica della penisola. Tra le opere più importanti di questa fase si ricorda la ''Dissertazione sopra lo stato presente della lingua italiana'' di padre [[w:Antonio Cesari|Antonio Cesari]], fondatore di una ''Crusca Veronese''.<ref name="Marazzini"/><ref name="Petronio571">{{cita libro | Giuseppe | Petronio | L'attività letteraria in Italia | 1969 | Palumbo | Palermo | p=571}}</ref>
 
D'altra parte, i principali intellettuali del Seicento e del Settecento si dimostrano contrari al fiorentinismo e alle posizioni dell'Accademia della Crusca, che con il passare del tempo diventano sempre più anacronistiche. Tuttavia la mancanza di altri strumenti normativi idonei fa sì che il ''Vocabolario'', ampliato, continui a fare testo, seppur fermo nelle sue posizioni arcaicizzanti.<ref name="Marazzini">{{cita web|http://www.treccani.it/enciclopedia/questione-della-lingua_%28Enciclopedia-dell%27Italiano%29|autore=Claudio Marazzini|Questione della lingua|15 febbraio 2015|opera=Enciclopedia dell'Italiano|editore=Treccani|anno=2011}}</ref>
La questione della lingua all'inizio dell'Ottocento si sviluppa in base alla contrapposizione tra romantici e classicisti, riprendendo per altro alcune posizioni espresse dagli illuministi. Nel dibattito rientra anche la questione sull'uso dei dialetti: se [[w:Pietro Giordani|Pietro Giordani]] individua in questi un limite per la circolazione delle idee, Carlo Porta gli risponde con una serie di poesie polemiche. Vero e proprio oppositore del purismo è invece [[../Vincenzo Monti|Vincenzo Monti]], che dirige una ''Proposta di correzioni e aggiunte al Vocabolario della Crusca'' in più volumi (1817-1826).<ref name="Marazzini"/> Il poeta di Alfonsine, insieme al genero [[w:Giulio Perticari|Giulio Perticari]] e ad altri intellettuali, propone un classicismo moderno aperto alle novità e ai forestierismi,<ref>{{cita libro | Giulio | Ferroni | Profilo storico della letteratura italiana | 2001 | Einaudi | Torino | p=564}}</ref> che sia caratterizzato da un equilibrio tra tradizione e libertà, che sia consapevole dell'evoluzione della lingua a partire dal Trecento e che si rifaccia alla lezione di [[../Vittorio Alfieri|Alfieri]] e [[../Giuseppe Parini|Parini]].<ref name="Petronio571"/>
 
== Purismo, classicismo e toscanismo ==
Tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento gli interventi nella questione della lingua possono essere schematicamente ricondotti a tre posizioni contrapposte:<ref>{{cita libro | autore=Paolo Giovannetti | titolo=La letteratura italiana moderna e contemporanea | editore=Carocci | città=Roma | anno=2016 | pp=65-67 }}</ref>
 
* la '''tradizione purista''', la più antica, è incarnata dall'Accademia della Crusca, privilegia i modelli toscani trecenteschi e adotta rigide regole;
* i '''classicisti''', invece, sostengono che nel corso dei secoli, dal Duecento in poi, la letteratura italiana ha prodotto un ''corpus'' di opere estremamente ricco e ha fondato una forte tradizione, con una lingua coerente e stabile, che non può essere ridotta al fiorentino trecentesco;
* il '''toscanismo''' infine, influenzato dal romanticismo, subisce il fascino della parlata toscana in quanto forma di espressione spontanea, non mediata da nessuna tradizione e libera da regole troppo rigide.
 
D'altra parte, i principali intellettuali del Seicento e del Settecento si dimostrano contrari al fiorentinismo e alle posizioni dell'Accademia della Crusca, che con il passare del tempo diventano sempre più anacronistiche. Tuttavia la mancanza di altri strumenti normativi idonei fa sì che il ''Vocabolario'', ampliato, continui a fare testo, seppur fermo nelle sue posizioni arcaicizzanti. Gli illuministi inmostrano particolare mostrano acredine verso la Crusca: tra le opere più critiche si ricordano per esempio la ''Rinunzia avanti notaio al Vocabolario della Crusca'' di Alessandro Verri e il ''Saggio sulla filosofia delle lingue'' di Melchiorre Cesarotti, che propone l'istituzione a Firenze di un Consiglio nazionale della lingua che sostituisca l'Accademia. Nel suo saggio Cesarotti si dimostra inoltre aperto ad accettare forestierismi e termini provenienti dai dialetti, posizione che finisce per scontrarsi con l'ostilità verso gli stranieri diffusa in seguito alle campagne napoleoniche in Italia (si pensi al ''Misogallo'' di Alfieri). AMa questoc'è segueanche spazio per un rinato amore per la lingua del Trecento e per il modello bembiano, un purismo che in qualche modo ovvia alla mancanza di unità politica della penisola. Tra le opere più importanti di questa fase si ricorda la ''Dissertazione sopra lo stato presente della lingua italiana'' di padre [[w:Antonio Cesari|Antonio Cesari]](Verona, 17 gennaio 1760 – Ravenna, 1º ottobre 1828), fondatore di una ''Crusca Veronese''.<ref name="Marazzini"/><ref name="Petronio571">{{cita libro | Giuseppe | Petronio | L'attività letteraria in Italia | 1969 | Palumbo | Palermo | p=571}}</ref>
 
La questione della lingua allAll'inizio dell'Ottocento sila sviluppaquestione indella lingua si baseconcentra allasulla contrapposizione tra romantici e classicisti, riprendendo per altro alcune posizioni già espresse dagli illuministi. Nel dibattito rientra anche la questione sull'uso dei dialetti: se [[w:Pietro Giordani|Pietro Giordani]] individua in questi un limite per la circolazione delle idee, Carlo Porta gli risponde con una serie di poesie polemiche. Vero e proprio oppositore del purismo è invece [[../Vincenzo Monti|Vincenzo Monti]], che dirige una ''Proposta di correzioni e aggiunte al Vocabolario della Crusca'' in più volumi (1817-1826).<ref name="Marazzini"/> Il poeta di Alfonsine, insieme al genero [[w:Giulio Perticari|Giulio Perticari]] e ad altri intellettuali, propone un classicismo moderno aperto alle novità e ai forestierismi,<ref>{{cita libro | Giulio | Ferroni | Profilo storico della letteratura italiana | 2001 | Einaudi | Torino | p=564}}</ref> che sia caratterizzato da un equilibrio tra tradizione e libertà, che sia consapevole dell'evoluzione della lingua a partire dal Trecento e che si rifaccia alla lezione di [[../Vittorio Alfieri|Alfieri]] e [[../Giuseppe Parini|Parini]].<ref name="Petronio571"/>
 
== Il modello manzoniano ==
[[File:Alessandro Manzoni.jpg|thumb|Alessandro Manzoni]]
Le teorie linguistiche di Alessandro Manzoni hanno grande importanza per la cultura dell'epoca e per quella dell'età successiva. Lo scrittore milanese si oppone al purismo e porta alle estreme conseguenze le tesi dei romantici, per i quali è urgente abbandonare le mere questioni stilistiche ed elaborare «una lingua, semplicemente» che consenta la comunicazione dei concetti tra tutti gli italiani. Non dunque una lingua letteraria, ma una lingua parlata che, utilizzata in letteratura, si rivolga a tutto il popolo e non solo a pochi eletti.<ref>{{cita libro | Giuseppe | Petronio | L'attività letteraria in Italia | 1969 | Palumbo | Palermo | p=633}}</ref>
 
Una testimonianza della ricerca linguistica di Manzoni ci viene propostaarriva dalle fasi di lavorazione del suo romanzo. Il ''Fermo e Lucia'' è scritto in un italiano «comune», sganciato dalle forme classiche. L'autore è però insoddisfatto del suo lavoro. Con la revisione che porterà ai ''Promessi Sposi'' (1825-1827), Manzoni cerca una lingua più generale, attraverso cui rivolgersi a un pubblico più ampio, e la individua nella parlata fiorentina e nel toscano.<ref>{{cita libro | Giulio | Ferroni | Profilo storico della letteratura italiana | 2001 | Einaudi | Torino | p=652 }}</ref> La sua convinzione trova conferme durante il soggiorno a Firenze del 1827: la seconda edizione dei ''Promessi Sposi'', che esce nel 1840-1842, è ulteriormente rivista nella sua forma linguistica alla luce dell'esperienza diretta con la parlata toscana e il fiorentino vivo. InBisogna particolare,però sottolineare che Manzoni ha qui come riferimento la lingua utilizzata dalladella classe colta della città di Firenze, e non il fiorentino rurale e arcaico, che invece riscontra i favori di molti cultori del toscanismo come Niccolò Tommaseo o padre Giambattista Giuliani (Canelli, 4 giugno 1818 – Firenze, 11 gennaio 1884).<ref name="Marazzini"/>
 
Nel 1868 Manzoni riceve l'incarico, da parte del ministro della Pubblica istruzione Emilio Broglio, di presiedere la doppia commissione milanese e fiorentina per individuare i provvedimenti utili per rendere universale la lingua e diffonderne il corretto uso a tutti i livelli del popolo. La richiesta presenta elementi di novità: proviene infatti da un ministro del neonato Stato unitario, e ora la questione della lingua non riguarda più solo un gruppo di letterati, ma il popolo dell'intera nazione. Tuttavia la commissione fiorentina non accoglie le soluzioni di Manzoni, e lo scrittore pubblicherà nello stesso anno una propria ''Relazione sull'unità della lingua'', in cui propone di diffondere il fiorentino vivo attraverso l'insegnamento scolastico. A questa segue un vivace dibattito, ricalcandoche ricalca temi già affrontati, dalla difesa delle prerogative del fiorentino all'estensione al toscano della funzione letteraria della lingua.<ref name="Marazzini"/>
 
Contro la soluzione manzoniana prende posizione anche [[w:Graziadio Ascoli|Graziadio Isaia Ascoli]] (Gorizia, 16 luglio 1829 – Milano, 21 gennaio 1907) nel ''Proemio'' al primo fascicolo dell<nowiki>'</nowiki>''Archivio Glottologico Italiano'' (scritto nel 1872 ma pubblicato nel 1873). A differenza di molti suoi contemporanei, ilIl celebre glottologo non contrappone al toscano un altro idioma, bensì contrappone al modello centralistico manzoniano unoun modello policentrico, sostenendo che lo sviluppo sociale e culturale della nazione avrebbe inevitabilmente portato all'unificazione linguistica.<ref name="Marazzini"/> Secondo Ascoli, nel corso dei secoli l'italiano è stato definito anzitutto da testi letterari e scientifici, ed è in questi che bisogna cercarne le radici, e non nel fiorentino, cioè nella lingua parlata in una città che aveva perso col tempo la sua centralità culturale.<ref>{{cita libro | autore=Paolo Giovannetti | titolo=La letteratura italiana moderna e contemporanea | editore=Carocci | città=Roma | anno=2016 | p=73 }}</ref> Tuttavia queste tesi non conoscono grande fortuna, mentre sono più popolari le interpretazioni facilitatesemplificate del manzonismo, come quella proposta da [[../Edmondo De Amicis|De Amicis]] nell<nowiki>'</nowiki>''Idioma gentile'' (1905). Le tesi toscaniste si diffondono così anche tra gli educatori.<ref name="Marazzini"/>
 
Ferroni in proposito scrive che il manzonismo linguistico ben presto ha rappresentato una «prospettiva sterile e di grave ostacolo ai nuovi orizzonti linguistici e culturali del paese», poiché pretendeva di imporre nella nuova scuola italiana la lingua del ristretto ambiente borghese fiorentino dell'età del Risorgimento, senza affrontare le questioni legate all'incontro tra le diverse tradizioni regionali e all'affacciarsi di un'economia di tipi industriale.<ref>{{cita libro | Giulio | Ferroni | Profilo storico della letteratura italiana | 2001 | Einaudi | Torino | p=654 }}</ref>
 
== Sviluppi successivi ==
Toscanismo e fiorentinismo continueranno a contrapporsi anche nei primi del Novecento e, come si vedrà, nella questione della lingua interverrà anche il filosofo [[../Benedetto Croce|Benedetto Croce]]. In seguito, si profilerà un'avversione ai dialetti, che crescerà durante il [[../Letteratura e fascismo|fascismo]], quando si affermeranno anche atteggiamenti esterofobi. La questione della lingua ha poi un rilancio nel 1964-1965 grazie a una conferenza di [[../Pier Paolo Pasolini|Pasolini]] dedicata alle ''Nuove questioni linguistiche''. Nei decenni successivi sono sorte polemiche attorno al progetto di legge sulla definizione delle minoranze, che dopo essersi arenato nel 1991 è stato approvato nel 1999.
 
La questione della lingua ha poi un rilancio nel 1964-1965 grazie a una conferenza di [[../Pier Paolo Pasolini|Pasolini]] dedicata alle ''Nuove questioni linguistiche''. Nei decenni successivi sono sorte polemiche attorno al progetto di legge sulla definizione delle minoranze, che dopo essersi arenato nel 1991 è stato approvato nel 1999.
 
== Note ==
{{<references|2}} />
 
[[Categoria:Storia della letteratura italiana|Questione della lingua nell'Ottocento]]