Caccia tattici in azione/Monoplani della Regia: differenze tra le versioni

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===Re.2000===
[[File:Caproni_Reggiane_RE.2000_3.jpg|350px|left|thumb|l'unico Re.2000, appositamente 'spellato', esposto in un museo svedese]]
Roberto Longhi era stato in America e come per Casiraghi della Piaggio, questa si dimostrerà un'esperienza importante per la sua formazione professionale. Così si spiegano le tante illazioni sulla produzione/clonazione del P-35. Accentuata dal fatto che il prodotto finale è rimasto pressoché sconosciuto ai più, dato che il Re.2000, prodotto in non molti esemplari ed esportato per la gran parte, non è stato mai particolarmente noto. Circa 10 anni fa, apparve su RID una lettera di un discendente del comandatecomandante deDe Prato, il collaudatore della Reggiane. Secondo quanto ne sapeva lui, c'erano due verità sul Reggiane RE.2000 Falco (a parte che dev'essere stato un periodo in cui l'Italia era davvero a corto d'idee, con almeno 3 o 4 aerei con lo stesso nome, più Saette e Folgori assortite; ad ogni modo il nome non venne ufficializzato dalla R.A. perché c'era già il CR.42, ma allora perché il CR.32 e G.50 portavano lo stesso nome, Freccia?). Una era 'la dannata tendenza dell'aereo a cadere in vite', cosa in genere negata dalla bibliografia italiana in quanto dotato di ali semiellittiche, a profilo variabile (come l'F.5) e quindi esenti da fenomeni di autorotazione. Stranamente, anche gli Ungheresi ebbero problemi del genere con il Falco, quindi forse le cose non erano poi così buone come vengono descritte da vari autori. Un'altra cosa era la derivazione dal P-35: non si sa come e quando, ma la discendenza pare sicura.
 
Detto questo, vi sono anche delle differenze tra questi due caccia, entrambi destinati a restare prodotti 'di nicchia'. Gli aerei americani erano nati anni prima, ed era naturale che fossero meno avanzati in termini aerodinamici e di efficienza generale: dopotutto, il modello da cui discendevano era un idrovolante triposto. I Re.2000 volarono nel '39 ed erano quindi più avanzati, dopo tutto si trattava di macchine coeve dei FW-190, tanto per dirne uno. Gli aerei americani avevano un R-1830, quelli italiani, dal tettuccio più basso e dall'aspetto generale più compatto, il Piaggio P.XI RC.40, derivato dal GR.14N francese e riprogettato da Spolti e Mancini, con una potenza di 1.000 hp. Del resto attorno al '34 già la Seversky aveva offerto la licenza di produzione del SEV-3, l'antenato del P-35, e verso il '38 la Curtiss si sarebbe fatta avanti con il P-36/H-75. In effetti, l'autarchia italica proclamata da Mussolini, era più che altro propaganda: i motori erano quasi tutti produzioni estere rielaborate. Non importa se l'AS.6 del famoso Macchi MC.72 poteva erogare 2.600 hp, quello era un motore da record, sarebbe come se un'auto berlinetta ospitasse un motore da F.1. Di tipi realmente adatti ad impieghi operativi e continuativi c'erano molti modelli, ma tutti derivati da licenze francesi, inglesi e americane (spesso ulteriormente intrecciate tra di loro), mentre i tentativi di costruire (specie dalla I.F.) un motore valido per i caccia moderni finì in una serie di fallimenti imbarazzante. La soluzione, come sappiamo, fu la licenza dei DB-601 e 605. Quanto all'ufficio Reggiane, per partecipare alla gara del nuovo caccia venne costituito un ufficio che si appoggiò al progetto base del P-35 e lo rielaborò a partire dal '37. Alla fine ne venne fuori un velivolo dall'aspetto 'sgrassato' e più snello, ma la velatura, inclusa la coda, era ancora pressoché uguale, e a differenza dell'evoluzione della Republic (con il P-47), resterà in stile 'Seversky' anche dopo anni, con il Sagittario, sempre provvisto della classica coda romboidale. Dentro la struttura, per ottenere una grossa quantità di carburante, vennero invece usati i serbatoi integrali, scelta decisamente d'avanguardia (e forse troppo, visto che i problemi e le perplessità non mancarono).