Ceramica a Pisa/Tecniche di produzione ceramica adottate a Pisa: differenze tra le versioni

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L’ipotesi più plausibile rimane quella secondo la quale la produzione della maiolica arcaica pisana è stata stimolata dalle abbondanti importazioni che dalla fine del X secolo, e ancor di più dal secolo successivo, raggiunsero la città, e realizzata, probabilmente con l’aiuto di qualche maestranza straniera venuta a Pisa. Di conseguenza, per capire quale sia stato il punto di partenza della produzione della maiolica arcaica pisana bisogna spostare l'attenzione verso i centri che, prima di Pisa, fabbricarono manufatti con tecniche simili.
[[File:Catino - maiolica policroma (vert y manganeso) - Palma di Maiorca (Spagna) - primo quarto XI secolo (chiesa di San Piero a Grado, Pisa) - Museo nazionale di San Matteo.jpg|left|thumb|Catino, maiolica policroma (vert y manganeso) importata da Palma di Maiorca nel primo quarto del dell'XI secolo (bacino ceramico della chiesa di San Piero a Grado).]]
 
Come detto nel capito precedente, nel panorama delle ceramiche importate da vari paesi del Mediterraneo<ref>Berti - Renzi Rizzo 1997, p. 277; Berti 1993d; Berti - Giorgio 2011 e Giorgio 2018.</ref>, quelle alle quali si avvicinano di più le maioliche arcaiche di produzione pisana sono le ceramiche islamiche fabbricate in area spagnola peninsulare (Penisola iberica) ed insulare (Isole Baleari), con decorazioni in verde e porpora, o in verde e manganese. La tecnica di produzione, che prevede due diverse coperture vetrificate sulle superfici del corpo ceramico (rispettivamente smaltata in bianco sulla superficie principale e vetrina piombifera incolore o giallastra sulla superficie secondaria), venne usata in diversi centri della Spagna sotto il dominio islamico (al-Andalus) tra i quali Palma di Maiorca. Anche dal punto di vista delle forme, le maioliche arcaiche pisane sono molto simili a prodotti andalusi, come quelli fabbricati nel centro di Denia (Valencia) fra la metà del XII ed il primo quarto del XIII secolo<ref>Berti - Renzi Rizzo, p. 277.</ref>.