Ceramica a Pisa/Tecniche di produzione ceramica adottate a Pisa: differenze tra le versioni

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I più<ref>(Vedi Alberti - Giorgio 2013, p. 14) Questa ipotesi è stata suggerita da Graziella Berti già nel 1994 (Berti 1994) e poi portata avanti da Trombetta nel 2009 (Trombetta 2009, p. 7).</ref> concordano con la tesi secondo la quale tale tecnica potrebbe essere arrivata a Pisa tramite la conoscenza portata da ceramisti originari della Pianura Padana che, nel XV secolo, attraverso i territori della Casa d’Este e più precisamente dalla Garfagnana, raggiunsero il nord della Toscana.
 
A tal proposito alcuni documenti attestano l’arrivo a Pisa e in zone limitrofe di ceramisti provenienti da Milano e Lucca. Soprattutto in quest’ultima realtà si registrano numerose attestazioni di ceramiche ingobbiate e graffite provenienti da aree modenesi, reggiane e ferraresi oltre che la presenza di ceramisti padani presenti nella cittadina lucchese tra il Quattrocento e il Cinquecento. Appare dunque probabile che Lucca possa aver ricoperto il ruolo di “scalo” intermedio per questi ceramisti che con il tempo poterono spostarsi anche a Pisa<ref>Alberti - Giorgio 2013, p. 14; Tongiorgi 1979, p. 19; Berti 1997, p. 266. Per le ceramiche ingobbiate e graffite rinvenute a Lucca e per la presenza di ceramisti padani in città tra il Quattrocento e il Cinquecento vedi Ciampoltrini 2013. Documenti d’archivio attestano l’avvio di alcune società tra stovigliai delle due città agli inizi del ‘400, si rimanda a Moore Valeri 2004, p. 96; Tongiorgi 1979, pp. 27, 29, 60, 98, 132.</ref>.
 
Per stabilire meglio il momento in cui arrivò in città il sapere per la produzione delle ingobbiate, appaiono molto interessanti due fonti scritte.
Entrambe riguardano un maestro vasaio pisano, tale Sano di Gherardo, che operò a cavallo della prima e seconda metà del Quattrocento.
Il primo documento, datato al 1441, concerne il pagamento da parte del ceramista di alcuni ''sacchi di bianco'' presso la Dogana della Degazia<ref>Alberti - Giorgio 2013, p. 14; Berti 2005, p. 124. Come dimostra la Dottoressa Daniela Stiaffini, i termini “bianco” e “terre bianche” venivano usati proprio per indicare l’ingobbio, vedi Stiaffini 2002.</ref>. Il secondo è più tardo (1485) e riguarda la spartizione dei beni di Sano di Gherardo tra i figli dopo la sua morte (avvenuta tra il 1472 e il 1478). Nel testamento viene esplicitamente indicata la presenza di ''terre bianche'' tra le numerose materie prime lasciate in eredità, necessarie alla creazione delle ceramiche ingobbiate<ref>Berti 2005, pp. 124 - 125; Tongiorgi 1979, pp. 134-135; Berti - Tongiorgi 1977a, p. 151.</ref>.
 
A queste fonti archivistiche è possibile collegare il ritrovamento dei primi oggetti da mensa ingobbiati e graffiti “a punta” nel sottosuolo pisano a partire dalla metà-fine del XV secolo<ref>Ad esempio, nello scavo di Villa Quercioli condotto tra febbraio e marzo 2011, il recupero della stratigrafia che comprende il 1470 e il 1590 circa, ha restituito maioliche arcaiche tarde (soprattutto monocrome bianche) e prime ingobbiate e graffite “a punta”. Non sono stati trovati frammenti di ingobbiate e graffite “a stecca” nei depositi anteriori al 1500.</ref>.
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Per capire i motivi che hanno spinto i ceramisti pisani alla produzione delle ceramiche ingobbiate e graffite, in contemporanea con l’ultima maiolica arcaica, bisogna tener conto delle condizioni politiche ed economiche nelle quali la città versava in quel periodo.
DagliCome detto in precedenza, agli inizi del XV secolo (1406) la Repubblica pisana non esisteva più; questa infatti era caduta sotto il controllo di Firenze che, tra assedi, conquiste e rivolte, mise in ginocchio la città per tutto il secolo costringendola alla definitiva resa agli inizi del successivo (1509), dopo la ribellione di fine Quattrocento.
Negli anni di dominio l’occupante controllacontrollava il mercato imponendo pesanti dazi alle attività artigianali e commerciali pisane. Una conseguenza fu, oltre allo spopolamento della città, un importante calo di botteghe ceramiche. In questi anni si registraregistrava inoltre l’entrata nei commerci di un nuovo tipo di ceramica, la maiolica policroma di Montelupo fiorentino, che relegò a ruolo marginale l'ultima maiolica arcaica pisana.
Di contro, nei primi decenni del Quattrocento, i pochi artigiani pisani rimasti reagirono formando delle corporazioni per tentare di far fronte alla nuova concorrenza montelupina, le cui produzioni godevano di ben altro pregio<ref>Si conoscono nella prima metà del XV secolo delle corporazioni create tra maestri vasai pisani. Un primo tentativo di organizzazione viene fatto nel 1419, con la stesura di un contratto tra gli affiliati che però non va in porto. Pochi anni più tardi, nel 1421, viene invece firmato un accordo da nove vasai, nel quale sivengono fissaronofissate alcune clausole che interessavanointeressano vari aspetti della produzione e del commercio di vasellame. Si sa che più tardi, nel 1427-28, viene a formarsi un’altra importante compagnia di tre vasai di cui uno era già firmatario del contratto del 1421 (vedi Berti 2005, pp. 110-115).</ref>.
Ai fiorentini dunque si deve, se non lo stimolo per l’introduzione della nuova tecnica dell’ingobbio graffito, almeno una forte reazione organizzativa da parte degli artigiani pisani, tale da rinnovare la produzione con l’abbandono graduale della maiolica arcaica che non soddisfaceva più il gusto del tempo<ref>Berti 2005, pp. 121 - 122; Berti - Tongiorgi 1977a, p. 150-151.</ref>.
 
I documenti che riguardano Sano di Gherardo Borghesi e il ritrovamento nel sottosuolo dell'ex convento delle Benedettine (presso la chiesa di San Paolo a Ripa d'Arno) di maioliche arcaiche, ingobbiate e graffite "a punta" e "a stecca", avevanohanno portato la studiosa Graziella Berti ad ipotizzare che la tecnica dell'ingobbio in tutte le sue varianti tecnologico-decorative fosse stata adottata a Pisa intorno alla metà del XV secolo (anni '30-'40), in concomitanza con il declino della maiolica arcaica e la sua ultima produzione<ref>Alberti - Giorgio 2013, p. 15; Berti 2005.</ref>.
Tale ipotesi ha incontrato pareri contrastanti nel corso del tempo, soprattutto per quanto riguarda il vasellame graffito “a stecca” più di frequente attestato in contesti del pieno XVI secolo. Negli ultimi anni infatti, nella stratigrafia di più punti del sottosuolo urbano, si sono trovati molti più indizi in grado di dare delle risposte esaustive a questo problema<ref>Alberti - Giorgio 2013, p. 15; Giorgio - Trombetta 2011.</ref>.
Le evidenze provenienti dagli scavi di Piazza Consoli del Mare, di via Facchini, di via Toselli, di Piazza delle Vettovaglie, di Palazzo Scotto, della chiesa di San Michele in Borgo, di Villa Quercioli e di via Sant’Apollonia<ref>Vedi in dettaglio Alberti - Giorgio 2013, pp. 47-143.</ref>, hanno mostrato che le ingobbiate e graffita "a stecca" sono assenti nel corso di tutto il Quattrocento, con primissime rare attestazioni solo agli inizi del Cinquecento<ref>Alberti - Giorgio 2013, p. 15; Giorgio - Trombetta 2011, pp. 231 - 235.</ref>.
L’unica ingobbiata e graffita che viene prodotta contemporaneamente alla maiolica arcaica tarda è perciò quella “a punta”<ref>Infatti, nella stratigrafia precedente al 1500 di Villa Quercioli e di altri siti di scavo, sono state trovate solo maioliche arcaiche tarde (monocrome), e ingobbiate e graffite “a punta”.
Tra il 1500 e il 1530 circa, appare per la prima volta la classe delle ingobbiate e graffite “a stecca”. L’ultimo periodo che va dal 1560 aal 1590 circa, vede protagonista la graffita “a stecca”, subito seguita dalla tipologia “a punta”. Sono presenti ancora maioliche arcaiche monocrome bianche (pochissimi esemplari) che probabilmente smetteranno di essere prodotte in questi anni.</ref>. Se la graffita “a stecca” non è presente nei contesti pisani del XV secolo probabilmente non veniva ancora prodotta; se è presente, seppur in rarissimi casi, agli inizi del XVI secolo è perché forse trattasi delle prime sperimentazioni<ref>Alberti - Giorgio 2013, p. 15</ref>.
Nel Quattrocento, quindi, le classi fabbricate dalle botteghe pisane sono la maiolica arcaica<ref>La produzione di maiolica arcaica dopo aver tentato di dare nuova linfa ai repertori decorativi con la policromia in giallo e arancione, tende a perdere la decorazione (voltando verso la monocromia) e a limitare il panorama morfologico precedente (vedi Alberti - Giorgio 2013, p. 16).</ref> e a partire dalla metà circa del secolo, la prima ingobbiata e graffita “a punta”.
 
== Gli aspetti tipici delle ingobbiate pisane ==