Agape: la nozione di "amore" nel cristianesimo: differenze tra le versioni

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[[File:Agape feast 03.jpg|thumb|400px|right| <small>Possibile raffigurazione di un ''agape'', "il banchetto d'amore", in un affresco delle catacombe dei Santi Marcellino e Pietro a Roma.<br>
A partire dal I secolo e fino al IV secolo è stata praticata tra i cristiani una fraterna cena in comune collegata al rito dell'eucarestia. Nei ''Vangeli'' è presente la pratica del banchetto conviviale<ref>Cfr. ''Vangelo di Luca'', 14, 12 e sgg.; ''Vangelo di Giovanni'', 12, 2.</ref>, occasione di insegnamento dell'amore fraterno da parte di Gesù. Una prima attestazione di questa pratica è nella lettera paolina ''I Corinzi'' (11) e nella ''Lettera di Giuda'' nella quale viene indicata con questo nome<ref>''Lettera di Giuda'', 12: Οὗτοί εἰσιν ἐν ταῖς '''ἀγάπαις''' ὑμῶν σπιλάδες, συνευωχούμενοι, ἀφόβως ἑαυτοὺς ποιμαίνοντες· νεφέλαι ἄνυδροι, ὑπὸ ἀνέμων παραφερόμεναι· δένδρα φθινοπωρινά, ἄκαρπα, δὶς ἀποθανόντα, ἐκριζωθέντα·</ref>; così come la ''Lettera agli Smirnesi'' di Ignazio di Antiochia<ref>VIII,2</ref>e la ''Lettera a Traiano'' di Plinio il Giovane<ref>X, 96.</ref> confermano questa usanza religiosa. <br>[[File:Agape feast 05.jpg|150px|right|thumb|<small>Agape, seconda metà del III secolo, affresco rinvenuto nella Cappella greca della catacomba di Priscilla in Roma.</small>]]
<small>Alcune illustrazioni di cene dell<nowiki>'</nowiki>''agape'', come questa, ma anche quella rinvenuta nella Cappella greca della catacomba di Priscilla, intendono rappresentare dei banchetti funerari dedicati al defunto, simboleggiando il pasto celeste nel luogo di pace e di ristoro, e ricordano il ''Vangelo di Luca'' (22, 29-30). La chiesa ha difeso questa tradizione<ref>Agostino, ''Contra Faustum Manichaeum'' 20,21; ''De civitate Dei'' 8,27.</ref>, ma risultando anche occasione di abusi si è risoluta a regolamentarla (Agostino, ''Confessioni'' 6.2; Concilio di Laodicea, cc.27–28) e infine ad abbandonarla. A partire dal IV secolo la pratica dell<nowiki>'</nowiki>''agape'' si avvia a scomparire.<br>
Precedente all<nowiki>'</nowiki>''agape'' dei cristiani è il "banchetto sacro", testimoniato nella ''Regola della comunità'' (anche ''Manuale di disciplina''), proprio della comunità ebraica di Qūmran (1QS 6.2–5):</small>{{q|<small>mangeranno in comune, benediranno in comune e delibereranno in comune. [...] E allorché disporranno la tavola, per mangiare o il vino dolce, il sacerdote stenderà per primo la sua mano per benedire in principio il pane e il vino dolce</small>|''Regola della comunità'' (1QS 6.2–5); traduzione Luigi Moraldi in ''Manoscritti di Qūmran'', Torino, Utet, 1971, di pp. 150 e sgg.}}
<small>Altra pratica di pasto in comune precedente all<nowiki>'</nowiki>''agape'' cristiana è il "Simposio", prima diffuso in Grecia e poi per tutto l'Impero romano.</small>]]
[[File:Banchetto (Museo archeologico nazionale di Egnazia).JPG|thumb|400px|right|<small>"Il banchetto". Scultura rinvenuta nella tomba a camera detta del "Banchetto" nel 1978 a Egnazia, in Puglia. Conservata al Museo archeologico nazionale di Egnazia. La tomba venne utilizzata dal IV al II secolo a.C. La scena illustrata è quella del "banchetto funerario" (περίδειπνον; ''perídeipnon''), successivo, insieme alle purificazioni, alla sepoltura.<br>
Il "simposio (συμπόσιον) era invece quel banchetto che seguiva, nella Grecia antica e nella Roma imperiale, la cena. I partecipanti indossavano ghirlande e dopo il canto di un inno si iniziava la bevuta di vino diluita con acqua e si avviavano i dialoghi, spesso seri, su argomenti filosofici o politici, e comunque eruditi. A volte di assisteva alla recitazione di poesie o a spettacoli di danza o di mimo accompagnati da una flautista. Il rito era coordinato dal "simposiarca" (συμποσιάρχης, ''symposiàrches''; a Roma ''rex convivii'').<br> Sulle differenze tra il ''simposio'' greco e l<nowiki>'</nowiki>''agape'' ebraico-cristiana, il grecista Domenico Musti osserva:</small> {{q|<small>Tra l’uso ebraico e quello greco del banchetto esistevano certo non poche differenze, a cominciare dalla rarità dell’uso del vino nel primo ambiente, eccezion fatta per le occasioni festive; ma notevoli restano le affinità, a cominciare dalla postura dei commensali, alla quale i Vangeli fanno costante riferimento col verbo ''anakéisthai'' (a cui si affianca ''anapíptein'') ''éis trápezan'', cioè "adagiarsi al tavolo", che è la forma evangelica per la posizione del commensale, che può significare solo lo "stare appoggiati al tavolo". E sono anche da considerare, in tema di analogie, la collocazione del commensale – che va dal posto più prestigioso, quello della ''protoklisía'', il primo letto accanto a quello del padrone, ai posti più lontani e perciò meno onorevoli – e il bere (alla spartana, si direbbe) "dalla stessa coppa", un atto che accentua l’aspetto comunitario della riunione, e, non da ultimo, la stessa lavanda dei piedi. Se il simposio è una convivialità di tipo individuale e – adottando una categoria sociologica forte – di carattere privato, ne consegue naturalmente che la bevuta comune, come tale, abbia un carattere individualistico. Vi partecipano infatti piccole e grandi individualità; ma il protagonista, che ha conosciuto nel convito una comunità e una gioia transeunti, è poi restituito alla sua solitudine. Sulla festosa notte del simposio platonico, "impregnata delle forze dionisiache della sessualità e del vino", come sottolinea lo Steiner, aleggia la tristezza perché, dopo la cena comune, il personaggio centrale è riconsegnato alla sua solitudine. Socrate si reimmette nel "mercato", nella ''agorà'', nella ''routine'' dei passi comuni e dei discorsi dell’uomo comune: non c’è misticismo, non c’è rivoluzione del tempo e del suo valore, si è ricondotti nelle braccia del tempo. Nel convito greco ciò è scontato, perché così è la vita; nel convito mistico è l’inizio di una redenzione, di una rivoluzione, un’esperienza e un cambiamento più radicali.</small> |Domenico Musti, ''Il simposio nel suo sviluppo storico'', Bari, Laterza, 2001}}]]