Forze armate mondiali dal secondo dopoguerra al XXI secolo/Italia: Aeronautica 3: differenze tra le versioni

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*Armamento: 2 cannoni da 30 mm
 
Non era certo razionale avere un caccia leggero e bimotore allo stesso tempo, tra l'altro con due motori di tipo ben diverso. L'Aerfer allora si dedicò al '''Leone''', intercettore con un Bristol Orpheus 12 da ben 3.089 kgs o un Gyron Junior da 3.180, ancora una volta nel muso (dopo 4 modelli tale formula seguitava, in splendida assonanza con i caccia della II GM, a restare applicata) e un razzo D.H. Spectre posteriore, armabile con due missili a corto raggio IR come i AIM-9, i C-7 sperimentali italiani, o altri tipi. Ma la realizzazione si fermò all'80% per mancanza di sufficienti finanziamenti. Anche se il concetto di un caccia supersonico, addirittura capace di mach 2, era affascinante, gli sviluppi erano tutti da esplorare e non è detto che questo sarebbe stato indolore: all'epoca esistevano caccia con motori a razzo ausiliari per agevolarne la salita, e anche tipi di aerei con motori a razzo usati per l'accelerazione supersonica come il SARO S.177, ma essi erano decisamente più avanzati. E per il 1960 era già in servizio l''''F-104''' e svariati altri tipi di caccia da mach 2, tutti dotati di motori potenti e con postbruciatore, con prestazioni non transitorie per mach 2, funzionamento meno pericoloso e progetto più semplice (e sopratuttosoprattutto col motore posteriore, il che autorizzava l'uso del post-bruciatore). Insomma, il motore a razzo era una scorciatoia ma col fiato corto. L'F-104G offriva indubbiamente una soluzione più valida con il suo turbogetto di grande potenza J79 e il Leone venne mestamente dimenticato, prima che Stefanutti s'inventasse anche un caccia spaziale (sempre col motore anteriore..). Del resto lo Starfighter era perfettamente in linea con l'idea di un caccia leggero ad alte prestazioni, in più aveva abbastanza autonomia per essere usato come cacciabombardiere tattico ad alta velocità (penetrare a mach 1 e passa non era possibile, a bassa quota, con un caccia a razzo, al più ottimizzato per salire e accelerare in fretta verso la stratosfera). Stefanutti sarebbe stato contento di poter ottenere il motore J79 per i suoi progetti (da sistemare finalmente in coda), che avevano sempre posto cura nell'aerodinamica, ma erano sempre stati carenti in potenza, in quanto la velocità era ottenuta con motori deboli e con una cellula piccola e aerodinamica, il che non compensava un sufficiente rapporto potenza-peso per la salita rapida. Il '104 era insomma quello che poteva rappresentare un ipotetico caccia di Stefanutti (il Tigre?) con un motore potente e una cellula minuscola e aerodinamica.
 
===I G.91===
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===L'AMX===
Questo programma italo-brasiliano per un moderno cacciabombardiere leggero è la spalla designata per i Tornado IDS e sopratuttosoprattutto il sostituto del G.91R e Y. Macchina dall'aspetto compatto e piacevole, con un musetto caratteristico basso e allungato, ha avuto una carriera non meno chiacchierata di quella del '104, senza particolari meriti di suo eccetto una notevole agilità a velocità e quote medio-basse e una lunga autonomia grazie ai parchi consumi del R.R. Spey. Ecco in sintesi la sua origine, di quello che è l'ultimo aereo da combattimento 'quasi nazionale' (anche perché l'M346 è primariamente un addestratore e di fatto pensato basicamente in URSS nella sua forma originaria di Yak-130).
 
Negli anni '70 l'AMI cercava un sostituto per i suoi oramai obsoleti G.91, sia gli R, che come aerei acrobatici lo ebbero nel più 'tranquillo' MB.339 ( inizialmente causò una certa perplessità nei piloti delle Frecce Tricolori, abituati ad usare solo aerei da combattimento, nonostante l'ottima agilità e controllabilità del vecchio Macchi MB.326, relegato solo a compiti addestrativi e di collegamento in Italia e usato in pattuglie acrobatiche come i sudafricani Silver Falcons all'estero), che come addestratori avanzati G.91T, per finire con i G.91Y, derivati dagli T e come tali, con maggiore carburante (conservando la lunga fusoliera ma con un solo posto). Questi ultimi erano velivoli piuttosto efficaci come macchine tattiche avendo prestazioni e raggio d'azione maggiori dei vecchi 'R', e al solito, un utile set di macchine fotografiche nel muso. I G.91Y però nascevano decisamente superati, essendo solo velivoli diurni e subsonici. Nello stesso tempo, con gli stessi motori (in una versione leggermente potenziata) gli F-5E potevano volare a mach 1,5 e disporre di un radar da intercettazione aerea, oltre che garantire ottime caratteristiche complessive. Non per nulla ottennero numerose commesse (tra cui quella svizzera, dov'erano in competizione con il G.91YS, versione ad hoc con tanto di due rotaie di lancio per Sidewinder oltre ai 4 piloni d'aggancio). Con la diffusione in gran numero degli F-5 si può dire conclusa la saga del caccia leggero NATO degli anni '50, un concorso vinto dal G.91R per le migliori caratteristiche complessive che aveva, e che gli diede un limitato successo commerciale (grazie all'interesse tedesco), inferiore alle previsioni. Un po' accadde per ragioni politiche (dall'Austria che in cambio di una commessa voleva una revisione della pena per Kappler, alla Francia che era rimasta urtata dalla sconfitta dei suoi apparecchi). Un po' per la constatazione che un caccia leggero, armato grossomodo la metà di un P-47 della II Guerra mondiale, nell'era degli aerei a reazione avrebbe avuto senso solo se questo avesse almeno avuto prestazioni valide per l'intercettazione. Questo però non era nelle possibilità dei G.91 e alla fine il Northrop NF-156, poi F-5, in allestimento ai tempi della gara NATO, finì per diventare il vincitore di quella generazione di aerei. Nel frattempo il francese Taòn divenne, dopo una lunga evoluzione (comparabile a quella che portò il monoreattre F3 Demon all'F4 Phantom) il più potente Jaguar, divenuto bireattore come del resto il coevo G.91Y. Ma il Jaguar aveva prestazioni supersoniche e una capacità di carico doppia, ed era una macchina dalle potenzialità maggiori rispetto al piccolo Fiat (circa 12 m per 9 t), tra le pochissime macchine bireattori (con postbruciatori) e al contempo, subsoniche.
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Mentre il G.91Y rimase senza mercato eccetto che l'AMI, si tentarono altre vie, tra cui quella della collaborazione con la Svezia per un caccia d'attacco leggero. Questa collaborazione non durò molto (come del resto quella tra Agusta e MBB, oramai dimenticata, all'esordio del programma Mangusta). la Fiat-Aeritalia, la Aermacchi e la Embraer si ritrovarono così a fondare un consorzio comune. I brasiliani potevano sembrare un partner stravagante per un Paese europeo, ma esisteva un precedente. Quello degli EMB-326 Xavante, ovvero gli MB-326 costruiti su licenza in un programma che vide circa 182 velivoli realizzati di cui 167 per la sola FAB brasiliana e gli altri per altre aviazioni della regione. Così, con questo precedente, si cercò di mettere insieme le idee per realizzare un caccia d'attacco leggero, che fosse un successore dei G.91R e Y, ma anche degli addestratori G.91T e degli EMB-326. In seguito le cose vennero anche più difficili perché si sarebbe trattato anche di rimpiazzare gli F-104G (per gli S erano previsti i Tornado). Con il consorzio in cui l'Embrarer ebbe circa il 23% del lavoro di fatto furono gli italiani e i loro fornitori ad avere il maggior peso. Cosa confermata dai numeri: se la FAB voleva 79 aerei, l'AMI ne richiedeva ben 187, più 52 addestratori AMX-T biposto. La FAB peraltro voleva macchine qualitativamente migliori e le ebbe. Questo significò ottenere un piccolo radar 'Scipio', pur sempre di tipo multimodale, e due cannoni DEFA con 250 colpi, assai più potenti del Vulcan (con cadenza ulteriormente limitata a 4.000 c.min) con 400 cartucce, l'armamento scelto dagli Italiani (peso del proiettile da 30 mm 265 gr contro circa 102). In ogni caso il primo dei prototipi dell'AMX volò nel maggio del 1984. Andò perso già al quinto volo, ma il programma continuò spedito. Nel 1985 uscì anche il primo AMX brasiliano (localmente noto come A-1). L'Ing da Silva sostenne per l'occasione che 'Italia e Brasile si divideranno il mondo'<ref>RID, dicembre 1985: ''Aeritalia, Aermacchi e Embraer si divideranno il mondo ha detto scherzando-ma non troppo- l'ing Ozilio Carlos da Silva''. Il breve articolo è anche più interessante se si considera che porta la firma di G.Lazzari, all'epoca direttore della testata</ref>. Le prospettive di export, insomma, sembravano rosee, almeno a dire dei responsabili del programma: Perù, Egitto e anche un 'interesse cinese', che in realtà sarebbe stato concretizzato con il programma A-5M (l'avionica dell'AMX 'trapiantata' sul locale, più vecchio ma supersonico A-5 Fantan). L'entrata in servizio cominciò già nei tardi anni '80 rimpiazzando G.91R e poi, più lentamente, gli F-104G che erano pur sempre macchine dalle prestazioni esuberanti (anche se in missione a bassa quota, non necessariamente più veloci degli AMX).
 
La carriera dell'aereo mancò di poco l'esordio-vetrina della Guerra del Golfo, nel '91. Non era ancora operativamente pronto, come non lo erano del resto i vari Mangusta e Centauro, proprio all'epoca in collaudo o in introduzione in servizio. Questo in seguito non sarebbe stato indolore per le prospettive d'export, perché dopo Desert Storm inevitabilmente vendettero bene sopratuttosoprattutto i mezzi che ne erano stati i protagonisti. L'AMX debuttò all'estero, e certo non casualmente, proprio nel Golfo, con la missione 'Arabian Stallion' dell'inizio del 1993. La missione iniziò il 3 gennaio e durò circa 2 mesi, con i Gruppi 14, 103 e 132, con un totale di 10 aerei portati dagli stormi 51° (4), 3° (3), 2° (altri 2). I voli iniziarono con il trasferimento da Istrana con 8 piloti del 103° e 2 del 14°, con scalo a Luxor e arrivo ad Al Dhafra, non casualmente visto che era la base dell'Operazione Locusta. Nonostante la più volte riportata scarsità di munizioni dei depositi AMI, per l'epoca fu possibile sganciare oltre 400 bombe in missioni d'attacco, un totale di 431 sortite per 750 ore volate, spesso con formazioni fino a 8 aerei, agenti in genere con la scorta di due PD-808 GE; nel mentre i Mirage 2000, affidati ai non molto preparati piloti locali, erano di volta in volta aerei di scorta o oppositori (trovati superiori alle alte quote e inferiori alle basse quote, non sorprendentemente date le caratteristiche dei due tipi di aerei). Il contingente era di 200 uomini. Il supporto era dato da G.222, B 707TT e C-130H, ma la mimetizzazione è rimasta quella 'grigio topo' solita.<ref>Tra gli altri: ''Arabian Stallion'', A&D Mar 1993</ref>.
 
Ma già all'epoca era evidente che l'AMX presentava qualcosa che non andava. Il sensore radar, anzitutto. Esso era la versione prodotta dalla Fiar dell'EL-2001 israeliano (quello dei Kfir), un sistema solo telemetrico che stonava con la sofisticata avionica di un aereo anni '80. Come il radar, anche il motore era vecchio, anche se in questo caso compatto e parco nei consumi, ovvero il R.R. Spey britannico. All'epoca era comune avere macchine italiane con motori britannici, un espediente per aggirare eventuali embarghi sulle esportazioni militari da parte degli USA. Era stato così con i G.91, gli MB.326, 339 e poi gli A.129. Ma il mercato aveva relegato nel frattempo ad un ruolo minore i motori britannici, visti come meno prestanti e standardizzati rispetto a quelli americani. Lo Spey poteva essere sostituito agevolmente con un più moderno F404 senza postbruciatore, come era stato ventilato. Del resto questo venne fatto per i vecchi A-4 Skyhawk di Singapore. Anche il muso dell'AMX offriva spazio per un radar più potente. È curioso che mentre gli aerei brasiliani hanno avuto da subito un 'quasi radar multifunzione' quelli italiani siano rimasti a tutt'oggi con un'unità telemetrica tecnologicamente degli anni '60. Questo mentre la stessa Fiar vendeva il suo radar leggero (in realtà una famiglia intera, sviluppata dagli anni '80) a numerosi clienti, per aerei come gli F-5 o gli F-7 Pakistani. Si tratta di un'unità multifunzione leggera, raffreddata ad aria, ancora più piccola dell'APG-66 dell'F-16. Tuttavia l'AMI, poi AM, non ha posto tale richiesta né allora né dopo.
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Nel 1998 ancora si pensava a rilanciare l'aereo a tal punto che secondo l'Alenia la sua evoluzione ('super AMX') avrebbe potuto incamerare fino al 20% degli ordini di caccia tattici entro il 2015, ovvero 360 aerei su 1.800<ref>Nativi, Andrea: ''AMX: i fatti dopo le polemiche'', RID maggio 1998</ref>. Questa previsione non si è mai realizzata. L'AMX era simile come profilo di missione ai vecchi G91Y, ma senza avionica ognitempo come aereo era decisamente limitato. A parte questo, le sue prestazioni erano improponibili come caccia leggero: 5 minuti per salire a 9.000 m, uno in meno dell'Hawk britannico e 2 in meno dell'MB.339, ma quasi 4 in più di un Mirage 2000, F-16 o del vecchio F-104S, che in 5 minuti (nel modello G) saliva a 10.600 m e accelerava a mach 2 (il Mirage 2000 ne richiede 4). La velocità come striker poteva essere valida, perché l'AMX è molto agile e quindi non troppo limitato nel volo a bassa quota con le necessarie manovre (che possono essere fatte in maniera rapida). Tuttavia, come salita e velocità non è minimamente all'altezza di un caccia vero e proprio, come quello che divenne poi il Gripen svedese, l'altra evoluzione di quel programma originariamente studiato con la Svezia. L'autonomia è ottimale con consumi dell'ordine della t per ora di volo. I dati sul raggio d'azione sono piuttosto 'ballerini', per esempio a bassa quota erano dichiarati 370 km con 3 bombe Mk 84, ma nel '93 vennero pubblicati altri dati che parlavano di 440 km con 4 Mk 84, ovvero con 3.600 kg avrebbe potuto andare più lontano che con 1,5 t di carico (6 Mk 82) dichiarati in precedenza<ref>Vedi in A&D set 1992 e RID ago 1993)</ref>. Queste differenze non sono di poco conto perché il 'rivale' F-16 era dato con un raggio di 400 km con 4 Mk 84, il che significava che anziché un po' meno, si dichiarava un po' di più rispetto al rivale. In ogni caso questo non ha fatto differenza in termini commerciali, che hanno visto gli aerei d'attacco (non solo l'AMX) stracciati dai caccia multiruolo. Poche le eccezioni, come il Su-25 e l'AV-8. Nel primo caso è un aereo molto economico (anche se meno nel caso dei costi d'esercizio), il secondo è simile in prestazioni all'AMX, ma ha la capacità V/STOL, che gli consente un rapporto potenza peso molto alto (mentre nel caso dell'AMX è molto basso, tanto che perde molta energia dopo una virata stretta), agilità enfatizzata dalla vettorazione della spinta e la capacità di operare da piccole portaerei, cosa che non è possibile per un AMX. Velocità e raggio d'azione sono simili, i costi presumibilmente maggiori per il più complesso Harrier, ma quest'ultimo ha anche una crescita notevolissima in termini di capacità. Ha ottenuto infatti, nonostante la cellula angusta, un radar APG-65 modificato (quello dell'Hornet) più il FLIR, che è stato integrato ma non sostituito dal radar, il tutto collegato ad armi come gli AMRAAM. Tutto questo lo ha reso straordinariamente efficiente per la sua taglia. L'AMX avrebbe potuto certamente ottenere un radar moderno, e magari anche un FLIR. Era successo con l'Hawk 200 britannico, con un APG-66 nel muso. Ma né l'l'APG-66 né il Grifo sono mai stati installati nell'aereo italo-brasiliano, limitandone parecchio le capacità. Inoltre, nella cellula era previsto il sistema di ricognizione, da scegliersi su ben tre set avionici. Il costoso vano climatizzato interno però non ha nessuna funzione se non di portabagagli: l'AMX per operare come ricognitore ha dovuto adattarsi al grosso pod Orpheus ereditato dagli F-104G. A questo si aggiunsero vari contratti falliti, come quello Thailandese dove sembrava che l'AMX, dopo essere stato scelto, venisse ordinato addirittura in 40 esemplari attorno al 1992. Né questo né il piccolo numero di AMX-T ordinati dal Venezuela hanno avuto esito e così il programma è finito senza esito. La mancanza di aggiornamenti ai motori e all'avionica decisivi è stata una ragione, l'altra è che la cellula ha avuto dei problemi tali che ad un certo punto si parlava di appena 1.000 ore di funzionamento (era il 1998). Poi c'erano i problemi legati agli incidenti di volo, ad un certo punto numerosi e che coinvolsero anche strutture civili. Anche se si fece notare che la 'colpa' era dei motori Rolls-Royce Spey, senza peraltro insistere molto sul fatto che questi erano pur sempre prodotti dalla Fiat-Avio. Nel 1996 gli aerei vennero messi a terra a seguito di un incidente avvenuto il 19 gennaio vicino ad Ascoli Piceno. Era l'ultimo di una serie di aerei quali il MM.X-594 (1 giugno 1984), MM.7108 (7 settembre 1990), che inaugurò le perdite in servizio; l'MM.7113 il 4 febbraio 1992, un altro il 27 agosto 1993 (sul Mare del Nord, l'unica al di fuori del territorio nazionale), poi altri 3 il 7 settembre 1993, 6 aprile 1994 e 19 gennaio 1996, che mise a terra gli aerei fino al 25 marzo per correggere i difetti strutturali del motore. La cosa notevole è che, sebbene gli 'Spey' fossero responsabili di quasi tutti questi incidenti, si tratta di un motore molto ben sperimentato (tra il vantaggio di essere un motore alquanto obsoleto) su vari aerei. Solo la versione Mk.807 ha visto questi gravi problemi strutturali, il che non ha certo contribuito alla fama dell'aereo<ref>A&D Giu 1996, settore news</ref>. La sua adozione aveva consentito compattezza, bassi consumi e indipendenza dalla volontà americana, ma ha poi causato degli effetti indesiderati in affidabilità e potenzialità di crescita.
 
Gli AMX, pur se limitati, costavano quasi quanto un F-16 dato che avevano una cellula moderna, specie come comandi di volo e un'ala piuttosto sofisticata. La commessa iniziale venne decurtata e solo i ritardi burocratici impedirono di annullare l'ultimo lotto, e anche così i monoposto erano solo 110 e sopratuttosoprattutto, i biposto 26, troppo pochi per sostituire i circa 70 G-91T rimasti. La cosa è diventata peggiore quando i 19 monoposto (MM.7089-7107) e due biposto del primo lotto vennero dichiarati attorno al 1998 come macchine di preserie e praticamente decurtate dalla componente di volo.
 
Alla fine, solo il 3° lotto, che aveva rimediato a circa 200 di 240 difetti (incluso il rumore assordante della cabina in volo) originari, e una parte degli aerei del 2° lotto ammodernati a tale standard ebbero una continuazione di servizio, mentre gli altri, che pure erano stati usati ampiamente nei primi anni con apparente soddisfazione, erano considerati troppo diversi per valere la pena di ammodernarli agli ultimi standard. Così vennero buttati via cacciabombardieri di pochi anni per un ammontare di circa 300-400 mld di valore riducendo la linea di volo che, da ordini persino eccessivi, si sono ritrovati ad una realtà molto modesta. Fortunatamente per i reparti, l'ultimo standard, quello a cui poi sono stati prodotti e aggiornati gli aerei superstiti, non fu annullato in tempo utile per ragioni di burocrazia. Alla fine, nonostante una durata di cellula e motori (necessitanti di revisioni molto più frequenti di quanto accade nei tipi americani) dalla durata limitata (persino inferiore rispetto ai vituperati modelli sovietici), l'aggiornamento è stato sufficiente per permettere agli AMX di continuare ad operare, anche con munizioni laser (ma solo se illuminate da altri operatori). L'ultimo aggiornamento ha avuto luogo per 43 monoposto e 12 biposto (AMX-T ACOL), più 11 in opzione, con sistema di navigazione con INS-GPS e MFD a colori. Questi 55 aerei sono stati consegnati dalla seconda metà del 2006 per servire in attesa degli JSF.
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===MB.326: il 'Macchino'===
[[Immagine:Tradate bazzocchi.jpg|360px|right|thumb]]
Aereo tra i più famosi della produzione aeronautica italiana, l'MB.326 è un tipico aereo degli anni '50-60 che tuttavia, come altri della sua generazione, si è confermato solido e durevole a sufficienza per sopravvivere fino ai nostri giorni in qualche aviazione minore. I rivali della Fiat-Aeritalia ebbero modo di rispondere in una fascia più alta dei 'jet', con il G.91R, altrettanto riuscito nella sua categoria. Anche i numeri prodotti furono simili e queste due creazioni rilanciarono la realtà dell'industria italiana nel mondo, dopo oltre 10 anni di oblio. Tuttavia, malgrado tante similitudini, ebbero destini diversi: l'MB.326 non venne accettato da nazioni della NATO eccetto l'Italia, mentre il G.91, nato proprio per vincere il concorso del '56 per un caccia leggero dell'Alleanza atlantica, al contrario non mise quasi il naso al di fuori dell'Europa. Ma il destino, in realtà, fu più soddisfacente per il 'Macchino', sopratuttosoprattutto per le sue capacità di carico bellico, di fatto assai superiori rispetto a quelle del G.91R; quest'ultimo, invece, avrebbe dovuto conoscere un notevole successo all'export, ma al dunque, soltanto la Germania rimase fedele ai suoi propositi, coronando il vecchio sogno (vedi G.55) di Gabrielli di venderle un caccia tattico. Per cui, nonostante la similitudine in numeri prodotti, i risultati furono ben diversi rispetto alle prospettive: il Macchino, al contrario del Fiat, di cui poteva ben essere il complemento per molti aspetti (meno veloce ma meglio armato) si diffuse in quattro continenti .. e mezzo, in pratica con l'esclusione dell'America centro-settentrionale; ma non del mondo anglosassone, come dimostrarono i successi in Australia e sopratuttosoprattutto, in Sudafrica. Sia il G.91 che l'MB-326 hanno anche avuto un altro punto in comune: in entrambi i casi il successo è stato assicurato da un turbogetto inglese piccolo e affidabile, sufficientemente potente, che si è sposato ad una cellula strutturalmente e aerodinamicamente valida. Senza l'uno o l'altra non è pensabile di realizzare un progetto valido.
 
Storicamente, si tratta dell'aviogetto italiano più venduto della Storia, con dodici operatori diffusi in tutti e cinque i continenti, con non meno di 12 nazioni e 13 forze aeree interessate. Purtruppo, dopo una lunga e tranquilla carriera, qui da noi è rimasto indelebilmente collegato ad una delle peggiori tragedie aeronautiche del dopoguerra.
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Cominciarono i francesi con i Magister, ma nemmeno questi erano i primi a pensarci, l'esigenza di avere addestratori veri e propri a reazione cominciava a prendere piede. Tra i primissimi esempi il G.80 della Fiat; gli italiani non avevano, malgrado i tentativi, la forza di imporre soluzioni autarchiche (ma con il motore, al solito, straniero) per la propria prima linea, per questo si dedicarono molto a macchine 'di contorno'. Ma il G.80 e successivi, pur essendo una macchina solida e dalle prestazioni adatte, non poteva certo scalzare i T-33, con i quali gli USA avevano inondato le aviazioni alleate, e che erano di loro eccellenti macchine, di prestazioni relativamente alte.
 
Nel frattempo la NATO cercava di standardizzare le procedure di addestramento basiche e intermedie, con un concorso, quello del '54, per un nuovo aereo. Tuttavia, esso fallì miseramente a causa dei disaccordi tra gli alleati. Magari fu per questo, che l'MB-326 non ebbe modo di diffondersi nelle altre nazioni NATO, data la sua validità intrinseca. Nel frattempo erano nati aerei come il T-37, Jet Provost, Magister e L-29 (per il Patto di Varsavia); il concetto dell'addestratore 'ad initio' su motori a reazione non era peregrino, a differenza del 'caccia leggero' che di fatto divenne un vicolo cieco (con la sola, luminosa eccezione dell'F-5). Così, mentre il G.91R vinse ma 'non convinse' (e così anche il successivo Harrier, del resto, dato che ha trovato successo sopratuttosoprattutto per le sue doti V/STOL), l'MB.326 ebbe modo di farsi valere.
 
Ermanno Bazzocchi, successore di Mario Castoldi nell'Aermacchi, studiò per il nuovo aereo diverse configurazioni e alla fine scelse un monomotore (con tutti i rischi del caso, data l'affidabilità piuttosto scarsa dei motori dell'epoca), che aveva il vantaggio di essere più semplice e costare meno; e con una struttura robusta e al contempo, leggera, totalmente metallica e di concezione semplice, ma -a differenza di molti altri progetti- senza soluzioni 'squadrate' e troppo semplificate. L'MB-326, per sviluppare al meglio le sue qualità era al contrario ben curato nei dettagli, con ampio uso di strutture curve per ridurre la resistenza aerodinamica, anche se ovviamente così la costruzione era più complessa e costosa.
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Così Bazzocchi ebbe modo di combinare una struttura robusta e leggera, e un motore affidabile e ragionevolmente potente. Nel 1953 venne già approntato così il progetto dell'MB-326.
 
L'AMI era interessata a questo nuovo velivolo, sebbene esso avesse ancora anni prima di decollare davvero; e stabilì un concorso per un nuovo addestratore, mirato sopratuttosoprattutto a sostituire i T-33.
 
Le richieste erano queste:
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L'Argentina ordinò, per la sua aviazione navale un primo lotto di questi aerei, precisamente otto '''MB-326GB''', ma inizialmente erano noti come MB-326K. Il Brasile fece molto di più: nel 1970 ordinò due prototipi e ben 166 MB-326GC, localmente noti come AT-26 Xavante. Altri 17 MB-326GC vennero costruiti in Italia per lo Zaire (Force Arienne Zairoise) e 23 andarono ad un'altra aviazione afriacana, la Zambian Air Force. Quanto al Brasile, che produsse gran parte degli aerei su licenza dalla EMBRAER, ottenne anche dei successi commerciali propri con sei macchine per il Togo e 10 per il Paraguay.
 
Il Sud Africa venne a sua volta convinto da questo nuovo MB-326 potenziato, e lo ordinò come Impala Mk.I. Un ordine fondamentale per almeno due ragioni: la prima è che esso rappresentò il primo passo da parte di quello che poi diverrà il maggior acquirente dell'MB-326, e poi perché questi lo avrebbe largamente usato in guerra. In tutto, almeno 150 Impala vennero prodotti sia in configurazioni disarmate (addestrativi), che armati; ma sopratuttosoprattutto in quest'ultimo caso vennero impiegati gli Impala Mk II. Questi erano il tipo monoposto, con il secondo abitacolo soppresso (e non il primo, come nell'MB-339K e nell'Hawk Mk-200, entrambi con un muso un po' sgraziatamente allungato rispetto alla fusoliera), maggiore quantità di carburante, e sopratuttosoprattutto, due cannoni DEFA sistemati direttamente al suo interno, e non in gunpod alari, meno efficienti e assai pesanti per quest'aereo. Dell'MB-326K vennero comprati sette esemplari, altri 15 assemblati con i 'kit' appositi, e infine la Atlas sudafricana ne costruì attorno a 78 su licenza, tanto che questa macchina si potrebbe definire a tutti gli effetti 'tipicamente sudafricana'. La SAAF cercava un cacciabombardiere leggero d'appoggio tattico, e una fonte meno 'disturbabile' dall'embargo per la politica razzista all'epoca perseguita, e purtroppo, non ebbe molte difficoltà a 'bucare' l'embargo in certi settori, grazie a fornitori compiacenti (essenzialmente Francia e Italia, spesso 'triangolando' con Israele, che non era Paese sotto embargo). Gli Impala Mk 1 ebbero vari impieghi, a parte che servire nella scuola di Langebaanweg con il No.83 Sqn. Advanced Flying Schoole; tra questi c'era anche quello con i 'Silver Falcons', la pattuglia acrobatica sudafricana. Curiosamente le pattuglie che usarono i 'macchini' non erano italiane, perché l'AMI all'epoca preferiva i più veloci e 'nervosi' G-91R. Successivamente, però, come si sa, anche l'aeronautica dovette adattarsi ai tempi, ma passando all'epoca agli MB-339, 'figli' del '326 ma pur sempre un tipo ufficialmente diverso.
 
L'MB-326K era noto in origine anche come MB-336, ed era dotato di motore Viper Mk 600, con una potenza di ben 1.814 kgs, più che doppia rispetto a quella del prototipo originale; esso era capace di portare altrettanti kg di carichi esterni e due cannoni, ma perdeva la capacità di operare quale biposto. Il primo di questi aerei volò il 22 agosto 1970, e in tutto vennero realizzati due prototipi civili, I-AMKK e I-KMAK. Questi aerei non erano nient'altro che MB-326G convertiti in questo standard, e benché appaiano con le insegne dell'AMI, in realtà non entrarono mai in servizio in Italia. Così come del resto, malgrado la conclamata compatibilità con i missili R.550 Magic (importante aggiunta per le capacità dell'aereo), essi non pare siano mai stati usati operativamente, pur avendo il Macchi, con ben sei punti d'aggancio, spazio più che sufficiente per trasportarli (vedi anche l'episodio della 'caccia all'elicottero', che venne eseguita solo con i cannoni). Questo benché in teoria poteva operare con i due cannoni interni, due missili, due serbatoi ausiliari (a parte quelli d'estremità alari) e ancora, avere spazio per due altri carichi, per esempio razzi o bombe (le foto spesso lo ritraggono con quattro bombe e due missili, ma è, per l'appunto, solo pubblicità, vedi Armi da guerra n.3).
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In altri Paesi il Macchino fece di peggio, partecipando a diverse guerre regionali. Quelle più note sono senz'altro collegate al sagace uso fattone dalla SAAF, nelle sue missioni COIN in Namibia e d'attacco leggero contro l'Angola e i suoi consiglieri militari cubani, sovietici ecc. In un decennio la SAAF riportò qualcosa come 225 lanci di SA-7 (in realtà potevano anche essere armi di tipo più moderno, chi può distinguerle in volo?), con appena cinque centri e una sola perdita, proprio un Impala. Il segreto del successo dei sudafricani era nella perfetta capacità di volare radenti al terreno, e sfuggire così all'avvistamento dei radar e anche degli osservatori umani. Tipicamente gli MB-326 volavano a circa 550-650 kmh, quindi molto meno delle loro possibilità teoriche, ma in cambio trasportavano carichi bellici di un certo livello, e sopratuttosoprattutto, volavano a circa 15 metri da terra. Alle scuole di volo SAAF ci si aspettava questa quota di volo sia con l'Impala a 556 kmh (300 nodi) che con il Mirage, anche se quest'ultimo era lanciato a circa 1.016&nbsp;km/h (attorno a 550 nodi); quanto ai rischi del mestiere, sebbene gli aerei fossero teoricamente vulnerabili al tiro di ogni arma da fuoco, e ovviamente, agli errori di manovra, l'esperienza dimostrava che era quello il modo migliore per sfuggire alla localizzazione dei radar, al lancio di missili, e per dare anche poco tempo ai difensori di mirare con i cannoni e i fucili (del resto, in Angola le pianure non offrono punti d'osservazione sopra-elevati); anche se non è chiaro in che consisteva, pare che gli MB-326 avessero anche un minimo di ECM, forse semplici ricevitori RWR e-o lanciatori di chaff e flare. Il tipico armamento degli Impala Mk.2, il modello più usato, era di sei bombe da 120&nbsp;kg, o in via eccezionale, quattro da 250&nbsp;kg, in entrambi i casi sia di tipo HE che, più spesso, anti-personale (riempite di circa 20.000 sferette d'acciaio). Ma l'armamento più importante erano forse i razzi, quattro lanciatori da 68 mm settupli, oppure due soli da 18 colpi l'uno. A tutto questo s'aggiungevano 300 proiettili da 30x113&nbsp;mm DEFA, e sopratuttosoprattutto, la capacità dell'aereo di operare da piste di volo primitive, non asfaltate, con poche attrezzature e spazi ridotti. Tutte cose che non potevano essere eguagliate dai Mirage, costretti a stare in poche e ben localizzate basi principali. Questi potevano operare da distanze maggiori, ma un conto erano le missioni d'attacco e interdizione, e un conto erano quelle di supporto aerotattico e 'on call', per le quali era essenziale che gli aerei fossero già disponibili e pronti all'intervento in pochi minuti. Per questo gli aerei da supporto tattico devono essere presenti in basi avanzate, per decollare subito o essere già di pattuglia in aria.
 
Tuttavia, se l'MB-326K era valido come capacità d'attacco, la sua qualità principe in fondo si riduceva a un paio di cannoni interni, in cambio dell'impossibilità dell'impiego come addestratore-aereo FAC, almeno non con l'efficienza dei biposto. La cosa non è stata particolarmente apprezzata, visto che i due DEFA potevano essere trasportati agevolmente anche esternamente, in gunpod nei piloni interni. Così il grosso delle vendite, eccezion fatta per i sudafricani, venne fatta quale biposto. Anche il successivo MB-339 venne proposto in versione K, nota anche come 'Veltro II' (il primo era l'MC.205V); ma non ebbe alcun successo, e anche il più prestante Hawk 200 non è andato molto in là con le vendite, certo meno dei corrispettivi serie 100, biposto. I Sudafricani, data la loro linea di volo, erano più interessati al 'K'/Impala II, e così a metà anni '80 ne avevano ben sei squadroni, da ridursi a quattro più consistenti successivamente.
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Gli Impala Mk II ebbero i loro momenti migliori nel primo lustro degli anni '80, quando la guerra di confine si accese particolarmente, ma la minaccia non era ancora così grave. Nella guerra del 1987-88, invece, la minaccia era valutata così pressante, che gli Impala non vennero impiegati, lasciando tutto il lavoro a Mirage e Buccaneer.
 
Il momento di gloria per gli Impala fu un'operazione, poco nota fino ad alcuni anni addietro, nella quale vennero usati con il ruolo che oggi si direbbe di 'slow mover interceptors'. Nel 1985 i governativi angolani, dopo una forte offensiva conclusasi al solito con una ritirata di fronte agli attacchi ben congegnati dell'UNITA di Savimbi, prima ancora dell'appoggio aperto da parte sudafricana. I governativi e cubani sparavano di continuo nella savana per prevenire attacchi e imboscate, ma così erano lenti, prevedibili, e sopratuttosoprattutto, alla fine terminarono le munizioni malamente sprecate, fino a dover tornare sui loro passi, incalzati dai guerriglieri. La roccaforte nemica era sopratuttosoprattutto Cuito Carnavale, e lì, accerchiati da un numero di guerriglieri consistente, ma pur sempre inferiore, i governativi resistevano, appoggiati da elicotteri. Questi erano essenzialmente Mi-8 scortati direttamente da Mi-24 e, a quote maggiori, da MiG-21 (i cui piloti erano tutt'altro che contenti di scendere di quota, dato che dovevano stare attenti al fuoco a.a. dei guerriglieri, nelle cui mani non avevano intenzione di cadere quand'anche si salvassero dall'abbattimento). Sembrava facile, ma non lo era: gli Impala dovevano volare bassi per non farsi vedere dai radar e dai caccia, mentre gli elicotteri nemici, piuttosto veloci, volavano anche in alto, perché convinti che non avessero altro da temere che non il tiro a.a. da terra, con armi leggere. Invece si trovarono in tal modo ad essere perfetti bersagli per gli Impala. Questi dovevano volare per circa mezz'ora a bassa quota, percorrendo buoni 250 km dalla loro base, e per fare questo, usare serbatoi ausiliari. Poi dovevano salire ad intercettarli, ma con un'arrampicata così veloce, che in realtà scadevano di posizione dietro ai Mil. Gli Impala, guidati da 'manici', abbatterono in un primo agguato in quel settembre, due Mi-24, senza nemmeno che il nemico si accorgesse di loro. Nel secondo attacco abbatterono due Mi-24 che facevano i 'guardiaspalle' ad altrettanti Mi-8, poi intercettati e distrutti, in tutti i casi con i cannoni DEFA, e non con i Magic, che apparentemente, non erano mai stati usati con questi aerei dalla SAAF.
 
Durante gli anni '60 e parte degli anni '70, in definitiva, il concetto dell'addestramento su aerei a reazione per tutto l'iter prese piede e sembrava un buon risultato, sopratuttosoprattutto se l'aereo, come nel caso dell'MB-326, era capace persino di impieghi come cacciabombardiere leggero. Ma presto si capì anche che i costi, dopo la crisi petrolifera, non erano così vantaggiosi per la soluzione ad initio sui 'jet' e così cominciarono a proliferare i turbo-prop quali il PC-7 e il Tucano. Così molti operatori preferirono aggiungere agli addestratori a reazione anche tipi a turboelica, che nel caso dei modelli più prestanti, entrarono in diretta competizione con i jet-trainers più modesti, quali i T-37 e i nuovi S.211, vanamente proposti come alternativa (del tutto razionale) ai turboelica, dato che questi ultimi hanno comunque dei limiti in prestazioni e capacità di simulare i 'jet'.
 
Sta di fatto che l'AMI continuò imperterrita nella linea del 'tutto-getto', nonostante i costi, anche se si concesse se non altro la selezione iniziale con i Piaggio P-148, disponibili in quanto radiati come aerei di collegamento per via dell'arrivo degli S.208M. Forse per il semplice fatto che l'industria nazionale non aveva un 'turboprop' potente da offrire.. e così dall'MB-326L si fece presto a passare al nuovo nato della dinastia, il grazioso MB-339, ma questa è un'altra storia. Il moderno andazzo delle aviazioni militari è stato molto meglio esemplificato dalla RAF, che dal 1990 circa aveva rimpiazzato il Jet Provost con il Tucano, con il quale si volavano le prime missioni addestrative, per poi passare ad un jet avanzato come 'Hawk'. Non è andata così cone l'Italia, dove COSTARMAEREO (Direzione generale armaemnti aeronautici) emanò nel '72 una specifica per un nuovo addestratore, che poi iniziò il servizio nei primi mesi del 1981, con il 212° Gruppo di Lecce-Galatina; in un tempo davvero molto ridotto, l'estate del 1984, venne completato il rimpiazzo del '326 come addestratore. Il suo successore era l'MB-339A, che in pratica era nato dall'MB.326N portando all'MB.339V e poi al 'Macchino' così come lo si conosce attualmente.
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* '''MB-326G''' : era l'evoluzione di seconda generazione, apparsa attorno all'inizio del '67 con ala rinforzata e Viper 20 Mk.540 da 1.524 kgs che permetteva di raddoppiare il carico utile (da qui il rinforzo dell'ala); avionica migliore con radio VHF, UHF, ADF, IFF, TACAN e VOR/ILS; due prototipi (NC.6402/171 e NC.6403/172) con le cellule MM.54289 e 54290, trasformate in dimostratori I-BACJ e I-FAZE; in seguito esse divennero anche i prototipi dell'MB-326K; successivamente gli aerei di serie vennero portati all'Armada naval dell'Argentina, in sei esemplari, poi diventati otto con un ordine aggiuntivo, e infine prodotti dalla EMBRAER come MB.326GC o AT-26 Xavante (alcuni convertiti in RT-26 Xavant, ovvero macchine da ricognizione). In tutto vennero prodotti due prototipi (modificando degli MB-326 normali), 166 aerei di serie per la FAB brasiliana, sei per la Force Aérienne Togolaise (Togo), 9 o 10 per l'aviazione del Paraguay e 11 per l'Armada argentina (ex-FAB), per un totale di macchine prodotte pari a 182; nel contempo l'Aermacchi ha prodotto 17 aerei per la Force Aérienne Zairoise (Zaire), e 23 per la Zambian Air Force.
* '''MB-326H''' : biposto per l'Australia; si trattò di 97 aerei che vennero forniti direttamente per i soli primi 12, poi seguirono 18 sotto forma di parti da assemblare e poi la produzione locale dalla Commonwealth Aircraft, come CA-30; essi erano stati dirottati sia alla RAAF, che ne ebbe 87 designati A7, che alla RAN, che li usava per via della presenza della portaerei e dei suoi aerei da combattimento, il che comportò un lotto di 10 aerei noti come N14, in servizio con il No. 724 Squadron RAN.
* '''MB-326K''' : pare che il primo destinatario di questa sigla fosse il lotto di aerei GB ordinati dagli argentini, ma poi il K ha finito per indicare il monoposto, basato su cellula dell'MB-326G, inizialmente noto come MB-336, di fatto la modifica maggiore era il secondo posto carenato e la preseza di due cannoni e più carburante dato lo spazio liberatosi; i due MB326G ricostruiti erano diventati gli I-AMKK e I-KMAK; il primo aveva ancora il motore Viper 20 e volò il 22 agosto 1970; il secondo ebbe modifiche minori e il Viper 632 Mk-43 (da 4.000 lbs/1.814 kgs), e volò nel 1971; divennero aerei militari MM.54390 e MM.54391, (NC-6577/218 e 6478/219), ma hanno anche portato le marche civili I-IVAD e I-IVAP; ne sono stati costruiti un buon numero, sopratuttosoprattutto in Africa dalla Atlas Aircraft Corporation.
* '''Impala II''' : L'Aermacchi fornì sette esemplari, 15 kit e poi la Atlas ne assemblò almeno 78 altri con i propri mezzi. Circa 70 erano ancora in servizio attorno a metà degli anni '80.
*'''MB-326M''' Impala I: la versione biposto per la Suid-Afrikaanse Lugmag, grosso modo su base 'H', l'ultima prodotta con il Viper 11 da 1,135 t/spinta, e prodotta dalla Atlas su di un totale previsto di circa 165, dei quali i primi 40 vennero prodotti in Italia, disarmati (forse per aggirare l'embargo), ma a cui sarebbero seguiti fino a 125 Impala Mk-1 armati, almeno 150 Impala/MB-326M vennero costruiti realmente (in Transvaal) e, a metà anni '80, circa 130 di questi biposto erano ancora in servizio.
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Quanto alla protezione dei cargo, fino al 1992 le forze aeree NATO non avevano fatto molto. Gli aerei dovevano volare a bassa quota e fare affidamento solo sulla copertura dell'ambiente, oppure sulla scorta dei caccia, o anche non andare a cercare guai in prima linea. I sovietici in Afghanistan avevano imparato che certe cose non bastavano e cominciarono a dotare i loro aerei di 'flare'; i migliori, anche se con la segnatura più alta, erano gli Il-76, capaci di salire in quota molto rapidamente, e quindi uscire dal raggio d'azione dei sempre più diffusi MANPADS. I lenti C-130, G.222, Transall e altri tipi ad elica non erano altrettanto validi (malgrado la minore traccia IR) e così dovevano svicolare a volo radente, d'altro canto l'unico modo per salvaguardarsi dalla minaccia dei caccia e dei sistemi a.a. più pericolosi (vale la pena dire che gli Il-76 avevano anche sistemi RWR e spesso anche ECM, che sommato ai due cannoni da 23 mm e agli agganci per le bombe ne facevano quasi dei bombardieri strategici). Gli equipaggi italiani erano preparati al volo a basse quote negl USA, alla scuola AATC (centro per le tattiche avanzate del trasporto aereo), con corsi teorici e voli pratici sul deserto dell'Arizona, dove non c'erano limiti alle quote minime. I voli della 46ima sul territorio nazionale, a tali basse quote, erano invece possibili e praticati nelle missioni antincendio; il primo corso per gli equipaggi della 46ima, anche qui, venne tenuto negli USA, nel 1978, con le tecniche di lancio di acqua e sistemi anti-incendio (operazioni chiamate MAFFS). Purtroppo le occasioni non sono mancate per farsi successivamente molta esperienza di volo tattico a bassa quota, con sganci a circa 45 metri come standard per la migliore esecuzione. Due aerei con i loro equipaggi sono andati perduti negli anni, in queste attività di protezione civile.
 
Settembre 1992. Un G.222, Lyra 22, stava volando vicino Sarajevo con un carico di aiuti per la popolazione (tra cui coperte e indumenti); venne tirato giù da almeno un paio di missili tirati da ignoti guerriglieri o soldati, molto probabilmente cetnici o serbi. La NATO, a questo tipo di problemi non era ancora abituata, tanto che quasi tutti i 'cargo' non avevano alcuna protezione; tra le poche eccezioni la RAF, dal 1987 con alcuni C-130K muniti di RWR AN/ALR-56, disturbatori IR e lancia-chaff e flare; così un C-130K decollava per primo, come 'apripista' per gli altri che seguivano nel ponte aereo di Zagabria, fidandosi della sua azione di avanscoperta. Dopo circa un mese dallo scioccante attacco, l'AM riuscì con i materiali presenti nei magazzini e con l'aiuto dell'Elettronica Spa. Vi furono diversi problemi di integrazione dei sistemi e di copertura delle antenne dei sensori, ma alla fine si riuscì ad approntare una configurazione soddisfacente. Del resto non è che lo spazio dentro i C-130 e G-222 mancasse. Inizialmente, le configurazioni vennero allestite per sette C-130H e alcuni G-222 con RWR e lanciatori di decoy, ma non c'era il sistema più importante, il MAWS, tutto sommato il sistema più importante (non ci sono certo MANPADS a guida radar, per cui l'RWR non serve quasi a niente in tal contesto); e nonostante aerei come l'F-111 lo avesse da una trentina d'anni, non era ancora una tecnologia 'rilasciata' ad altre nazioni, in ogni modo né i sensori radar attivi né i sistemi ottici (forieri di numerosi falsi segnali) erano del tutto soddisfacenti. Dopo circa 5 anni l'autorizzazione venne data l'autorizzazione per l'esportazione, con il sistema l'AN/AAR-47; gli aerei vennero modificati negli USA, direttamente dall'USN che per qualche ragione, era interessata a questo sistema di protezione; nel mentre gli equipaggi erano addestrati al suo utilizzo all'NTC (National Training Center), sempre negli USA. Un ulteriore passo fu l'adozione di piastre di corazzatura composita fatta in kevlar e ceramica lemainati, per un totale di 14,5 mm di spessore e 26,4 kg per metro quadrato; il kit poteva essere adattato da tutti i tipi di aerei e con vari modelli di piastre; nel caso dei C-130 italiani, erano 83 pannelli per 490 kg, essenzialmente sul pavimento del cockpit; i britannici avevano fatto una scelta leggermente più potente, con 100 pannelli esatti per 585 kgm anche per la zona della cambusa e i portelli di accesso. Alcuni, ma non tutti, i G-222 ebbero RWR e lancia-chaff e flare, che però avevano meno lanciatori e quindi un'efficacia nell'insieme minore (né v'era alcun tipo di MAWS, rendendo l'uso molto aleatorio su allarme, oppure molto poco efficiente se si trattava di lanciare flare in maniera regolare, rischiando o di non lanciarne abbastanza, oppure di finirli troppo presto). Detto questo, ai tempi del sistema di protezione per i cargo non c'era ancora il centro di Guerra elettronica di Pratica di Mare: curiosamente, dove non poté la Guerra fredda, ha potuto l'esigenza delle missioni di peace-keeping e così, dato l'impegno internazionale, l'Italia ha presto dovuto far fronte a questo tipo di problemi, dedicati sopratuttosoprattutto ai cargo.
 
Con i C-130J è stato comprato già un sistema ECM completo, integrato dalla Lockheed-Martin e disponibile, al contrario di altri utenti dell'aereo, da subito; vi è un RWR, MAWS, lanciatori e un LWS (sistema d'allarme laser), che era di concezione italiana in quanto gli americani non avevano dato il benestare all'esportazione di questa tecnologia, all'epoca, almeno nella NATO, di loro esclusiva (anche se questo vale per i sistemi avionici, dopo tutto l'LWR era già diffuso in diversi tipi di mezzi corazzati, anche orientali). I sistemi di difesa elettronica sono capaci, con i loro sistemi di comunicazione, anche di 'dialogare' tra di loro oltre che di presentare i dati al pilota, e di agire in automatico per ridurre i tempi di reazione, cosa cruciale sopratuttosoprattutto per aerei così lenti.
 
Nel caso dei più recenti C-27J vi è un sistema di protezione con un RWR di Elettronica Spa e MAWS e LWS di Marconi-Selenia. Tuttavia così facendo la famosa continuità logistica tra C-27J e C-130J viene meno, e per sistemi molto costosi e sofisticati. È ben vero che i sistemi del C-27J, essendo di anni successivi, sono anche più moderni, come l'RWR del tipo AR-3C; ma non è casuale che i sistemi siano tutti di produzione nazionale. Il sistema RWR, come altri tipi moderni, è sofisticato a sufficienza per sentire con alte probabilità di successo, i segnali radar, e di essere utilizzabile come apparato ESM. I sistemi di protezione sono, tra l'altro, presenti sotto l'abitacolo anteriore, su ciascun lato, con un'antenna RWR e un sistema ottico del MAWS. Per il resto gli equipaggi dei cargo sono ovviamente addestrati al meglio per gestire i problemi con le minacce in corso durante le missioni, studiate con un sofisticato simulatore all'NTC di Pisa. Per vedere meglio le minacce, comunque, è meglio usare una cupoletta di osservazione dorsale, e sebbene i C-130J siano volabili con soli due uomini, è possibile piuttosto con tre piloti in cabina e un loadmaster addestrato; naturalmente l'HUD aiuta a vedere all'esterno durante il volo, guardando al di fuori del cruscotto.