La filosofia greca/«Che cos’è» (ti esti): differenze tra le versioni

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Il dilemma platonico, dimostrare o indicare, è il dilemma di tutto il pensiero occidentale. La domanda è: '''la verità è afferrabile logicamente, o è un’idea innata che possiamo ritrovare solo dentro di noi?''' O ancora: è visibile o puramente pensabile? Non deve stupire il fatto che ancora oggi alcune discipline, attinenti al [[w:Linguistica|linguaggio]] e allo studio del comportamento umano, si schierino per l’una o l’altra ipotesi, portando in tutti e due i casi argomenti assai solidi e convincenti. Di fronte a questo dilemma il metodo storico-critico più corretto sarebbe quello di valutare il contesto nel quale Platone operò, confrontandolo con quello dei suoi successori, a cominciare da Aristotele. Questi era figlio del medico di corte del re di [[w:Regno_di_Macedonia|Macedonia]], cresciuto ed educato in un ambiente raffinato e colto; all’età di diciassette anni arriva ad [[w:Atene_(città_antica)|Atene]] per frequentare l’[[w:Accademia_di_Atene|Accademia platonica]]. Quella che trova è un’istituzione di assoluto rilievo, frequentata dai più noti intellettuali greci di tutte le provenienze: filosofi, matematici e medici. Uscendo dalla prospettiva puramente soggettiva dell’insegnamento di Platone, occorre precisare che quello che avveniva all’interno dell’Accademia era quanto di più vario si possa immaginare: essa era paragonabile a una grande università, nel senso originale del termine latino ([[w:Università_nel_Medioevo|universitas]]), inteso cioè come “universalità degli studi”. In poche parole, Aristotele non parte, come il suo maestro, da una crisi della filosofia ([[La filosofia greca/La notte della democrazia|la morte di Socrate]]), ma da una posizione di forza assai privilegiata che si configura come la strada maestra della cultura greca. Che cosa significa tutto ciò? Semplificando si potrebbe rispondere che, mentre Platone dovette sobbarcarsi il compito di ricostruire ciò che era stato demolito, Aristotele ebbe tutto l’agio di poter contemplare un intero sistema culturale con il distacco del puro studioso libero e disinteressato. Il cantiere platonico rivelava dei punti deboli nella sua stessa struttura: indagarli e perfezionarli fu lo scopo del giovane discepolo. A cominciare dalla dialettica stessa.
 
Mentre Platone scrive ''Fedro'' e ''Parmenide'', i due dialoghi nei quali il metodo dialettico comincia a manifestare i propri limiti, Aristotele comincia a stendere quello che diventerà il suo edificio logico, l’''[[w:OrganonOrga|Organon]]''. '''Per entrambi i filosofi il problema è la DEFINIZIONE, cioè la risposta alla domanda “che cos’è?”'''. Qual è la risposta giusta alla domanda “che cos’è la mela?”: a) la mela è un frutto, o b) la mela è rossa? Nel suo procedere dialettico Platone non affronta il problema, non curandosi dell’ordine [[w:Sintassi|sintattico]] del linguaggio. Lungo la via della deduzione egli non distingue tra i diversi ordini delle parole, mettendo sullo stesso piano sostantivi e aggettivi e scegliendo di volta in volta ciò che è più utile a raggiungere quella CONDIVISIONE che è lo scopo del processo dialogico. Sostanzialmente, '''a Platone non interessa lo studio del linguaggio''' e lo dimostra il fatto che alle obiezioni di Aristotele egli non diede mai risposta.
 
In effetti, ciò che Aristotele riteneva determinante ai fini del ragionamento rientrava in una visione della scienza divergente rispetto a quella del Maestro. Figlio di un medico, e quindi di un intellettuale naturalista, egli assunse un metodo di ricerca molto simile a quello utilizzato per l’osservazione dei fenomeni di natura: la classificazione in base a [[w:Genere_(filosofia)|generi]] e [[w:Classificazione_scientifica|specie]] di appartenenza. Anche Platone ammette, nel processo deduttivo dall’Uno ai molti, l’esistenza di generi e specie, ma in un modo rivelatosi insufficiente allo scopo. '''Se la deduzione implica il passaggio da un termine generale a uno particolare, entrambi i termini devono appartenere allo stesso ordine di cose, che Aristotele definisce CATEGORIE''', come vedremo più avanti. Per chiarire: UOMO (sostantivo) è un caso particolare di BIPEDE (sostantivo), e non di “biondo”. Dire “l’uomo è un bipede” equivale a dare di esso una definizione; al contrario, la frase “l’uomo è biondo” è un errore logico (sintattico). '''Secondo Aristotele la definizione richiede che ciò che dev’essere definito sia già compreso nella sua stessa definizione lungo la catena sintattica del linguaggio''' (''Logos''): “uomo”, “bipede”, “animale”, “essere vivente” (l’uomo è un bipede, i bipedi sono animali, gli animali sono esseri viventi).