Caccia tattici in azione/Monoplani della Regia: differenze tra le versioni

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Differentemente dalle successive Ho-103 giapponesi, che erano anch'esse di disegno Browning (ma più direttamente ispirate) con proiettili tipo Vickers, le Breda erano pesanti e lente. Le Ho-103 erano pesanti appena 24 kg e con 900 cp./min di cadenza. Le Breda avevano proiettili molto meno potenti delle Browning, eppure pesavano più o meno lo stesso: 28,9 o 30 kg (non è chiaro), per cui erano già al limite di quello che i velivoli italiani potessero permettersi (quindi figurarsi, se già una coppia di armi pesava 60 kg, con i tipi Fiat si sarebbe arrivati a 70). Le dimensioni erano importanti: ben 138,5 cm di lunghezza. Eppure la cadenza di tiro era di 700 o forse 750 c.min, la velocità iniziale di 760 m.sec per proiettili pesanti circa 35-36 gr, e oltretutto, molto più tozzi dei tipi americani, tant'è che avevano anche una punta piatta. Tutto questo non aiutava a conservare efficacemente l'energia cinetica di un corpo già leggero e tozzo per il suo calibro, con conseguente scadimento delle prestazioni a distanza. Non casualmente, le Vickers in versione contraerei avevano un raggio di tiro utile di circa 800 m contro i 1.500 delle Browning. In ambito aereo, si dava ottimisticamente un raggio di tiro efficace di 600-700 m alle Breda, ma era decisamente un valore teorico, le distanze pratiche si riducevano a molto meno.
 
Naturalmente, con così poca energia cinetica, e un proiettile corto e dal naso 'piatto' (che alle volte può anche essere una buona idea, ma in genere non è raccomandato), le capacità perforanti erano modeste (la densità di energia per superficie è appena migliore di una normale 7,7 mm), la perdita di velocità era rilevante (e quindi con la distanza, aumentava la differenza rispetto alle Browning). I proiettili HE erano molto pubblicizzati, ma anche costosi: la carica interna, di ben 0,8 grammi (sia pure di pentrite), era poco più che simbolica e pari ad un decimo di quella di un colpo calibro 20. Ai piloti italiani era concesso di usare i proiettili che volevano, ma i preferiti erano quelli incendiari, perché potevano spesso causare l'esplosione dei serbatoi, e anche se questi erano protetti, potevano 'trovare' nel loro percorso delle sacche di vapori di benzina formatisi per qualche perdita dentro la struttura dell'aereo. Incidentalmente, i britannici, che erano fissati con le Browning di piccolo calibro, trovarono 'ridicolous' i colpi proposti da 7,7 esplosivi e arrivarono alla conclusione che il calibro minimo per tale scopo era il 20 mm<ref>Trevisan, il cannone HS-404, RID 1995</ref>. Gli americani avevano provato i proiettili HE, ma nonostante che il loro 12,7 mm pesasse 46-48 gr e potesse contenere oltre 2 gr di esplosivo, ne produssero poche, preferendo i colpi API (perforante-incendiario), sopratuttosoprattutto dopo la metà della guerra. Con risultati, contro gli aerei giapponesi (pieni di carburante e senza protezione) tragicamente spettacolari. I Sovietici, Tedeschi e Giapponesi decisero invece che le mitragliatrici con colpi HE andavano bene, anche se gli ultimi due avevano armi per lo più con munizioni simili a quelle delle Breda, quindi leggere. Ma in quasi tutti i casi, le abbinavano ai cannoni da 20 mm. Le MG131 devono essere state un bello shock per gli italiani: più potenti (sia pure con proiettili marginalmente inferiori, malgrado il calibro superiore) delle Breda (900 c.min, 730 m.sec), pesavano appena 19 kg e avevano dimensioni eccezionalmente compatte. Con queste o con le Ho-103 si sarebbe potuto magari armare con tre armi anziché due i caccia italiani, o dotarli di mitragliatrici pesanti alari. Le Breda, invece, pesavano quanto le Browning ed erano persino più grosse, ma erogavano un output energetico (proiettili e cadenza di tiro) pari a poco più della metà. Considerando tutto, fino al '42 erano passabili, ma quando si cominciò a giocare 'duro', le due Breda non bastarono più.
 
Le armi potevano essere settate per incrociarsi a una certa distanza, o per altre configurazioni di dispersione, ma con due sole armi non c'era certo da scegliere molto, e tanto meno da sperare in tiri 'al volo' contro bersagli che venissero ingaggiati mentre volavano al traverso della rotta: anche per questo era richiesta tanta acrobazia ai piloti italiani, oltre che per un certo modo di intendere il volo (rimasto persino nell'era dell'F-104, che acrobatico non era proprio), c'era da mettersi in coda ad un avversario per riuscire a colpirlo con abbastanza proiettili. Le Breda da 12,7 mm, sincronizzate con l'elica, arrivavano a circa 600 c.min quando c'era la bipala, a poco più di 500 con la tripala, così il Macchi 202 aveva un volume di fuoco inferiore a quello del CR.32. La cadenza di tiro non era costante: variava tra 380 e 750 c.min, con una media di circa 540-550. Questo significava non 12- 12,5, ma appena 9 colpi al secondo per arma. Non c'è da stupirsi che i piloti che videro il Macchi 202 mossero come rilievo fondamentale, che le mitragliatrici 'erano rimaste sempre due' mentre loro se ne sarebbero aspettate sei. Ma era troppo per la potenza installata (o forse no, se si accettava una sorta di P-40E).
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Il concorso dei monoplani poi noti come 'Serie 0' fu decisamente combattuto: allorché venne tenuto a Guidonia nel '39 c'erano infatti parecchi competitori. Di questi solo alcuni ebbero seguito in quantità apprezzabile, ma l'ultima parola venne data dalla relazione di Torre e Tondi, del 3 settembre 1939. Stranamente, si faceva una relazione su aerei che in molti casi erano già in servizio come il G.50 e il C.200 (questo non ancora, ma era questione di settimane).
 
Tra i contendenti, la sezione biplani aveva il CR.42 e anche il Ca.165, un veloce biplano con motore a cilindri in linea (465 kmh), che fu l'ennesimo progetto interessante, ma scartato, del gruppo Caproni. Per qualche strana ragione, la Caproni ebbe commesse per centinaia di aerei mezzi inutili e mezzi dannosi, come i bimotori serie 300, mentre i suoi interessanti caccia (forse il primissimo aereo da caccia, attorno al '14, si può pure rivendicare alla Caproni, ma questa è un'altra storia) ebbero vita difficile o non ne ebbero affatto. Il Ca.165 si dimostrò superiore al CR.42 in combattimento (sopratuttosoprattutto per la maggiore velocità), ma a causa del motore, giudicato non molto affidabile per un caccia, si finì per ribaltare il giudizio finale e scartarlo nonostante i risultati. Così non sapremo mai come avrebbe reso in combattimento contro i Gladiator e gli Hurricane sopra il deserto africano.
 
Mentre i monoplani erano ben 5: l'AUT.18, il Ro.51, l'F.5, il Reggiane 2000, nonché i G.50 e C.200.
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===Il primo dei monoplani: il G.50 Freccia===
I monoplani italiani iniziarono la loro carriera in Spagna, dove pochi esemplari si impegnarono in una sorta di risposta ai Bf-109 e agli I-16, ma senza successi particolari, almeno a quanto se ne sa. I G.50 nascevano dal concorso per un nuovo caccia che venne esposto nel luglio 1936 dal Ministero: prima si pensava addirittura di chiedere due mitragliatrici da 12,7 e un cannone da 20 mm più una spezzoniera interna, ma all'inizio di quell'anno ci si ridusse ad appena una 12,7 mm e circa un'ora di autonomia; in seguito si ritornò a chiedere due 12,7 ma a scapito della spezzoniera. In effetti si volevano più tipi di caccia, tra cui intercettori, scorta e combattimento. Quest'ultimo ruolo lo avrebbe fatto sopratuttosoprattutto il Breda Ba.65, decisamente troppo pesante per essere impiegato come caccia, ma ben armato e robusto (seppure non altrettanto affidabile). Vi furono molte proposte, tra cui alcune furono totalmente fallimentari, come l'AUT.18 e il Ro.51, ma sopratuttosoprattutto i vari G.50, MC.200, Re.2000 e il Caproni F.5, un caccia che se prodotto avrebbe senz'altro rappresentato un notevole vantaggio per varie ragioni, che poi si elencheranno. Il G.50 era all'epoca inteso come un velivolo con una 12,7 mm nel muso e un 20 mm Oerlikon nell'ala destra, ma per diventare poi l'intercettore definitivo, quest'aereo, la cui progettazione iniziò nel settembre del '35, subirà altre variazioni. La costruzione iniziò nell'estate del '36 e il primo volo avvenne il 26 febbraio 1937. Strano a dirsi, divenne il Freccia, senza nemmeno un 'II' davanti, nonostante che questo fosse anche il nome del CR.32, all'epoca ancora in produzione, e disegnato dal predecessore del nuovo progettista Fiat, Celestino Rosatelli, che forse non fu tanto entusiasta dell'idea. Nato un anno dopo lo Spitfire e due dopo Hurricane e Bf-109, il G.50 era un velivolo pesante per quello che offriva, robusto, abbastanza veloce per la ridotta potenza motrice, ma nell'insieme mediocre 'Un aereo strano, che ha ammazzato un sacco di piloti' come lo ricordava Gorrini, e inferiore al MC.200 Saetta, nonché surclassato in combattimento aereo manovrato dall'F.5. Quest'ultimo era un velivolo pregevole, con struttura mista e costo decisamente inferiore agli altri, e nondimeno, velocità di salita e in generale superiori, seppure con una visibilità e autonomia scarse. Era un velivolo privo dei problemi di autorotazione degli altri monoplani italiani grazie alle ali a profilo variabile. Ma alla fine, vinsero i progetti Fiat e Macchi; il primo ebbe 45 aerei di preserie e poi 200 macchine di serie. Il vano portabombe originale venne chiuso senza riprogettare la fusoliera, che sarebbe stato un compito notevolmente gravoso. L'abitacolo chiuso venne abolito e sostituito con una 'gobba'. Vagamente simile al successivo G.55 in pianta alare, dalla superficie notevole (18,25 m2) esso, come prototipo N.2 era un aereo da 1.900 kg a vuoto, 2.330 kg carico; il motore A.74, affidabile ma non molto potente, dava 740 hp al decollo e 840 a 3.800 m, massimo 870 hp in superpotenza (con 100 giri in più per il motore, forse arrivava in tal caso a 2.500 al minuto). Arrivava a 400 kmh s.l.m, 483 a 4.500 m, 451 a 6.000 m, la velocità di crociera era indicata in 474 kmh a 5.400 m (ma questa valutazione sembra riportata in maniera erronea, a quella quota caso mai questa era la velocità massima, visti gli altri valori), velocità minima di 120 kmh, decollo in appena 200 metri e atterraggio in 323 m. L'autonomia a massima potenza di crociera era di 560 km, con 241 kg di carburante (in due serbatoi alari e uno dietro il motore), la salita a 4.500 m in 6,9 minuti e a 6.000 in 11,7 minuti, fino a arrivare a 10.700 m. Le due da 12,7 mm avevano 600 cp totali.
 
I primi 45 aerei di serie ebbero l'abitacolo chiuso, così come i due prototipi, ma poi venne scelto l'abitacolo aperto, che pure causava dei problemi aerodinamici, esteso anche ai primi caccia. Il primo impiego in guerra, come si è detto, fu quello in Spagna, dove alcuni arrivarono a gennaio del '39, ma non sono riportati dei successi in azione. Basati a Escalona, l'unica esperienza bellica che accumularono fu il registrare di parecchi guasti. Eppure, all'epoca nacque la leggenda di un duello aereo tra un G.50 pilotato da Bruno Mussolini e un I-16 di un volontario canadese, addirittura avvenuto nel settembre del '38, quando invece l'aereo era usato solo a Guidonia.
 
Il G.50, con 200 altri aerei, era previsto che equipaggiasse uno stormo e un gruppo, mentre il meglio valutato C.200 ebbe commesse per 3 stormi interi. Il primo reparto che l'ebbe fu il 51° Stormo. Fino ad allora gli S.79 si erano dimostrati, come altri bombardieri degli anni '30, pressoché inintercettabili; ma nelle manovre aeree del '39 i più veloci G.50 riusciranno dove i CR.32 avevano fallito, e così arrivò lo stemma del reparto: quello di un gatto che azzanna i 'sorci verdi' (gli S.79 del 12° Stormo, usati come 'polli' in quell'occasione). Al 10 giugno del '40 c'erano 118 aerei in servizio di cui appena 97 operativi e il resto in riparazione o in consegna, pochi rispetto ai 1.160 caccia ufficialmente in carico (inclusi gli assaltatori), che peraltro erano solo per poco della metà di pronto impiego. Il loro primo impiego bellico fu la breve campagna di Francia, ma senza risultati (a farsi fare a pezzi dai D.520 saranno i CR.42), poi verranno usati contro i Gladiator sulla Grecia e Albania, parteciperanno alle intercettazioni dei Blenheim e infine si scontreranno con gli Hurricane. Nella spedizione di circa 200 aerei contro la Gran Bretagna, parteciparono anche 98 G.50 degli stormi 51 e 56, iniziando a dimostrare come i velivoli italiani fossero miseramente equipaggiati e pilotati in condizioni di tempo oramai non più ideali: avessero fatto la loro comparsa ad agosto, sarebbe stato diverso, ma a ottobre la Battaglia d'Inghilterra era diventata solo una guerra d'attrito, con la RAF sempre più forte. Del resto, i G.50 dimostrarono di possedere un'autonomia insufficiente (a cui si sarebbe ovviato solo con il G.50bis) lasciando ai soli CR.42 l'onere delle missioni di scorta ai bombardieri. In pratica i G.50 non riuscirono a ottenere nessun contatto e così non poterono dimostrare quel poco che valevano contro gli aerei nemici, operando troppo lontano (dal Belgio), mentre in compenso nacque l'accordo di addestrare i piloti italiani sul Bf-109, da farsi per il 20° Gruppo, cosa che vide i primi piloti addestrati dall'ottobre di quell'anno con il JG-51. In seguito, però, ad aprile tale programma venne annullato. I G.50 ritornarono con un bel po' di esperienza, senza successi e con diverse centinaia di ore di volo sulle ali, ma tra le numerose perdite del CAI vi erano stati anche sei Freccia, tutti per incidenti, in due casi almeno con i piloti. Insomma, almeno il migliore degli sviluppi, il programma per cedere all'Italia i Bf-109, magari un centinaio in tutto secondo le trattative più ottimistiche, non andò avanti e così il risultato fu solo una grossa delusione. SopratuttoSoprattutto pesava la frase di Churchill: siccome la maggiore e peggiore battaglia aerea gli italiani la subirono l'11 novembre, quando la flotta a Taranto venne attaccata dagli Swordifish, il premier britannico disse che gli italiani avrebbero fatto molto meglio a trattenere gli aerei in patria per difendere la loro flotta. E non certo senza ragione, perché la R.A. mandò in azione, in un teatro del tutto inutile e secondario, circa un ottavo dei suoi aerei migliori<ref>Galbiati F, G.50 sull'Inghilterra, Storia Militare n.180</ref>.
 
Nel frattempo venne costruito un 'novissimo' G.50, il bis, che nonostante la sigla, non aveva un nuovo motore ma solo modifiche di dettaglio, come coda ingrandita e protezioni migliori di quelle -pressoché inesistenti- per il pilota, più carburante con l'uso (finalmente) dell'originaria stiva bombe, e una radio come standard; volò il 9 settembre 1940, e verrà usato sopratuttosoprattutto come caccia bombardiere tropicalizzato. Dall'ottobre del '41 la sua carriera venne superata da quella dei C.200 e 202, e le sue ultime azioni furono quelle del contrasto agli sbarchi alleati, dove diversi G.50 'bombe alari' (da 100 kg) vennero usati dal 158 e 159 imo Gr.Assalto sulla Sicilia, nel luglio 1943.
 
Anche se qualche successo venne colto anche dai G.50, la loro carriera nel deserto subì una sgradita svolta il 18 novembre 1941. Iniziò l'Operazione Crusader, e con essa i bombardamenti sugli aeroporti, che all'epoca erano per lo più presidiati dai G.50. A sera, ad Ain el Gazala, vennero distrutti non meno di 13 aerei, dei quali 10 erano Freccia. Ma non era finita. A Sidi Rezegh, il 19 novembre, atterrò il 20° Gruppo caccia con 22 G.50 bis. Era un campo avanzato, e questo esponeva a vari rischi i suoi occupanti. Sul lato sud dell'aeroporto cominciarono ad apparire delle blindo inglesi. Poi anche carri armati. Caricarono contro le difese del campo, pressoché inesistenti, e distrussero o catturarono ben 19 G.50, mentre tre riuscirono a decollare tra le pallottole. Circa 80 persone vennero fatte prigioniere. La Regia Aeronautica perse 34 aerei in due giorni, e peggio che mai, ben 29 di essi erano G.50, sì da ridurre di molto la possibilità di contrastare l'aviazione nemica. Anche per questo fu necessario mandare in tutta fretta i C.202 Folgore. In quella che fu senza dubbio la loro più nera giornata, il disastro dei G.50 fu persino peggiore di quello che subirono poco tempo prima i C.200, quando 15 di essi decollarono per scortare 8 Ju-87. Era il 27 settembre e questi velivoli, del prestigioso 10° Gruppo, si persero durante il viaggio di ritorno sul mare. 5 ritornarono, ma 10 -tra cui anche l'aereo di Lucchini- finirono in mare, con la perdita di due piloti.
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All'estero il caccia venne usato in Spagna, e gli aerei italiani, una decina, vennero lasciati in dote a Franco e usati assieme ad altri caccia, ancora più sfortunati, gli He.112. I Finlandesi ne ebbero una quarantina, perché nel '39 il G.50 era l'unico caccia italiano disponibile, tra quelli monoplani. La consegna ebbe dei ritardi, anche perché i Tedeschi non volevano aiutare chi in quel momento combatteva contro i Sovietici; nel febbraio 1940 vennero consegnati i primi 14 caccia per la squadriglia 26 di Utti. Alcuni volontari italiani si trovarono a combattere contro la V-VS e tra questi morì Diego Manzocchi, a suo tempo espatriato dall'Italia. Modificati in vario modo, alle volte persino con carrello fisso, i Fiju (Freccia) combatterono sopratuttosoprattutto contro la V-VS durante il 1941, ottenendo quasi 90 vittorie aeree, anche contro aerei come gli Hurricane e Spitfire. I piloti finlandesi erano quello che faceva la differenza, del resto uno di loro, durante i collaudi, arrivò ad una velocità indicata di 780 kmh, cavandosela solo con qualche danno al parabrezza (il valore di tale prestazione peraltro era molto collegato all'affidabilità degli anemometri dell'epoca).
 
===Re.2000===
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Detto questo, vi sono anche delle differenze tra questi due caccia, entrambi destinati a restare prodotti 'di nicchia'. Gli aerei americani erano nati anni prima, ed era naturale che fossero meno avanzati in termini aerodinamici e di efficienza generale: dopotutto, il modello da cui discendevano era un idrovolante triposto. I Re.2000 volarono nel '39 ed erano quindi più avanzati, dopo tutto si trattava di macchine coeve dei FW-190, tanto per dirne uno. Gli aerei americani avevano un R-1830, quelli italiani, dal tettuccio più basso e dall'aspetto generale più compatto, il Piaggio P.XI RC.40, derivato dal GR.14N francese e riprogettato da Spolti e Mancini, con una potenza di 1.000 hp. Del resto attorno al '34 già la Seversky aveva offerto la licenza di produzione del SEV-3, l'antenato del P-35, e verso il '38 la Curtiss si sarebbe fatta avanti con il P-36/H-75. In effetti, l'autarchia italica proclamata da Mussolini, era più che altro propaganda: i motori erano quasi tutti produzioni estere rielaborate. Non importa se l'AS.6 del famoso Macchi MC.72 poteva erogare 2.600 hp, quello era un motore da record, sarebbe come se un'auto berlinetta ospitasse un motore da F.1. Di tipi realmente adatti ad impieghi operativi e continuativi c'erano molti modelli, ma tutti derivati da licenze francesi, inglesi e americane (spesso ulteriormente intrecciate tra di loro), mentre i tentativi di costruire (specie dalla I.F.) un motore valido per i caccia moderni finì in una serie di fallimenti imbarazzante. La soluzione, come sappiamo, fu la licenza dei DB-601 e 605. Quanto all'ufficio Reggiane, per partecipare alla gara del nuovo caccia venne costituito un ufficio che si appoggiò al progetto base del P-35 e lo rielaborò a partire dal '37. Alla fine ne venne fuori un velivolo dall'aspetto 'sgrassato' e più snello, ma la velatura, inclusa la coda, era ancora pressoché uguale, e a differenza dell'evoluzione della Republic (con il P-47), resterà in stile 'Seversky' anche dopo anni, con il Sagittario, sempre provvisto della classica coda romboidale. Dentro la struttura, per ottenere una grossa quantità di carburante, vennero invece usati i serbatoi integrali, scelta decisamente d'avanguardia (e forse troppo, visto che i problemi e le perplessità non mancarono).
 
Come primo aereo realizzato vi fu il prototipo MM.408. Era il solito dilemma: da un lato l'aereo era arrivato tardi rispetto agli altri competitori G.50 e C.200, dall'altro proprio per questo, era più avanzato. Il secondo prototipo MM.409 diverrà invece direttamente il Re.2001. Qui venne fuori una discussa gara per stabilire il caccia 'Serie 0' utile per la Regia in cui il caccia si dimostrava superiore nella maggior parte delle prestazioni, ma alla fine non venne adottato. Sul perché vi sono state molte discussioni nella nicchia di storici che si occupano della dinastia Reggiane: ufficialmente non piacevano i serbatoi integrali, troppo vulnerabili. Ma in realtà era il motore che veniva considerato poco adatto per un caccia, e in generale il costo dev'essere stato alto. Ma sopratuttosoprattutto, e questo vale anche per l'economico F.5 (sempre del gruppo Caproni), con già ben 3 tipi di caccia (G.50, CR.42 e C.200) in produzione, non tanto inferiori come capacità complessive, non si vede come l'aereo potesse, nel '39, essere interessante per la Regia Aeronautica, quale posto avrebbe potuto ottenere. Inoltre, presto sarebbe venuta l'era del motore DB-601: appena nell'anno successivo venne fuori il Re.2001. Inoltre, se il Re.2000 fosse entrato in servizio, questo avrebbe potuto accadere non prima del '41, quando sarebbe stato decisamente sorpassato: fino ad allora con cosa la R.A. avrebbe potuto affrontare il problema del riequipaggiamento della sua linea? Avrebbero costruito centinaia di aerei nel '39-40 e poi li avrebbero rottamati nel '41, solo per passare ad un velivolo ancora da mettere a punto e con capacità appena maggiori? In toto, riesce difficile criticare la scelta fatta (eccetto per i caccia Fiat, il cui unico pregio fu di dare il là al successivo G.55, mentre si sarebbe fatto meglio ad accettare la costruzione su licenza del Macchi 200). Il Re.2000 dimostrò, in combattimenti aerei simulati durante il '40, di essere più agile del Bf-109E (cosa non difficile, in verità) e dicono alcune fonti, del CR.42 (molto difficile da credere, forse volevano dire che si dimostrò superiore in combattimento, ma non è la stessa cosa). Tuttavia l'armamento era sempre di due armi da 12,7, e la velocità non superava i 515 o 530 kmh. Quindi la sua vocazione 'export' e il suo aspetto, erano analoghi alla storia del coevo P-43 Lancer della Republic.
 
I Reggiane RE.2000 erano i primi caccia metallici del gruppo Caproni, ma volarono solo il 24 maggio 1939, quando gli ordini per i Macchi e i G.50 erano già in essere. Questi primi caccia erano afflitti da problemi di autorotazione dati da profili alari troppo semplici. Nel caso dei Macchi almeno, vennero risolti, ma di fatto non venne trovato lo spazio per i successivi RE.2000 e F.5, che invece nascevano con ali semiellittiche. La velocità massima del prototipo del RE.2000 Falco era di 515 kmh a 5.000, e mostrò di essere un aereo molto agile, ma il motore Piaggio, per quanto più potente, non piaceva per la scarsa affidabilità, e i serbatoi integrali alari, per quanto molto validi in termini di capacità di carburante, non erano graditi in quanto ritenuti vulnerabili: la RA all'epoca era una delle poche aviazioni che si preoccupava di costruire dei serbatoi autostagnanti, o meglio 'semapizzati'.
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Servirono con l'F10 di Bulltofta (Malmo), ed ebbero molto da fare per mantenere la neutralità svedese dalle incursioni aeree di entrambe le parti. Un J20 venne abbattuto il 3 aprile 1945 dalla Luftwaffe, che del resto abbatté anche altri aerei italiani in servizio con i colori svedesi, i Ca.313. Il Reggiane era discretamente considerato, ma bisognoso di troppa manutenzione e non molto affidabile, francamente la messa a punto lasciava parecchio a desiderare. Alla fine della guerra i 37 J20 rimasti, oramai logori, vennero tolti rapidamente dal servizio, già nel luglio 1945. Uno è sopravvissuto, praticamente l'unico Re.2000 di cui si abbia notizia, almeno tra quelli in condizioni discrete di conservazione.
 
Gli Ungheresi ebbero una vita più breve e movimentata. Vennero ordinati già il 27 dicembre 1939 e sopratuttosoprattutto, oltre a ben 70 aerei, l'Ungheria avrà altri 191 apparecchi prodotti su licenza (il numero è controverso, a dire il vero). Noti come Falcone, o meglio, Héja, erano in due lotti, il I e il II con motore e mitragliatrici ungheresi. I motori di entrambi i tipi (nel caso di quelli ungheresi, i Manfred-Weiss K.14B da 986 hp) erano in entrambi i casi derivati dallo stesso tipo francese, ma la mitragliatrice ungherese era un'arma da 12,7 mm bicanna, un tipo davvero raro all'epoca. Forse per il cambiamento dei pesi, forse per l'aggiunta di corazzature protettive, il Falco ungherese era sì efficiente come macchina da combattimento, ma anche molto prone allo stallo e alla vite, con incidenti anche mortali assai frequenti. La squadriglia dislocata sul fronte orientale ebbe tutti i suoi 24 aerei incidentati almeno una volta ed entro il primo mese di guerra. Gli Ungheresi erano abituati ai CR.32, molto meno critici in termini di agilità, e molto più solidi quanto a carrello d'atterraggio. Uno dei peggiori episodi fu quello che vide Istvan Horthy, pilota di lustro (figlio del reggente d'Ungheria) precipitare con il suo apparecchio, nel 1942.
 
===Il RE.2002 Ariete II===
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Uno sviluppo diretto fu il RE.2002 Ariete II, originariamente nato come un'alternativa autarchica al RE.2001 con il DB-601. IN pratica si sostituiva il P.XI con il P.XIX RC.40 da 1.160 hp, teoricamente nazionale ma in pratica derivato da precedente. Entrambi gli sviluppi del RE.2000 erano chiamati Ariete, e il RE.2002, che volò secondo una richiesta dell'aprile del '40 da parte della RA. Del resto anche Longhi preferiva un motore radiale. Il prototipo volò sempre a Reggio Emilia con De Bernardi, come già gli altri Reggiane, nell'ottobre 1940. Ma il motore causò molti problemi e così venne afflitto da notevoli ritardi. Nel novembre 1941 vennero chiesti 100 aerei e il primo di serie volò il 18 maggio 1942, stavolta con Tullio de Prato. L'ultimo di questi aerei, consegnati in circa 8 mesi, fu consegnato solo il 29 luglio 1943, quando oramai molti di essi erano andati distrutti già in un tentativo disperato di fermare gli Alleati in Sicilia. La Serie II venne ordinata contemporaneamente, ma i collaudi iniziarono solo il 28 giugno 1943. Solo 40 vennero completati all'Armistizio, altri 25 venero prodotti tra ottobre e gennaio del '44, sotto controllo tedesco. La LW era interessata al RE.2002, come piccolo FW-190. Dopotutto, per quanto inefficiente per molti aspetti, e tutto sommato obsoleto nel '43, era pur sempre il più potente dei cacciabombardieri italiani. Almeno 40 finirono con insegne tedesche. In tutto si arrivò secondo alcune fonti, ad altri 100 aerei Serie II. Ma non è chiaro affatto come le cose andarono. La LW era interessata ad un altro lotto di 30 aerei e a un RE.2002 con ala a cinque longheroni, serbatoi integrali (aboliti dopo il RE.2000) e motore BMW 801, quello del '190. Ne voleva ben 300, ma dopo i bombardamenti del 7-8 gennaio 1944, le cose cambiarono in peggio. Non è affatto chiaro quanti RE.2002 venissero costruiti: dopo i bombardamenti di Reggio Emilia, la produzione sarebbe stata spostata alla Caproni di Biella (2) e Milano (forse 60, 27 dei quali però subito demoliti). In tutto si potrebbe anche arrivare ad un totale di 250 aerei di serie e il RE.2000 modificato. Tuttavia, solo 140 di essi vennero realizzati prima dell'armistizio. 18 aerei vennero adattati al bombardamento in picchiata (prodotti nell'agosto del '43, forse con freni di picchiata), e altre versioni studiate rimasero sulla carta. Il Reggiane 2002 entrò in servizio solo il 18 dicembre 1942 e non ebbe mai un motore pienamente soddisfacente. Nondimeno venne usato dal 5° Stormo e uscì in azione, dopo un addestramento intenso, dal 10 luglio 1943 con i gruppi 101 e 102 a Crotone. Fu un impiego disperato. Vi furono attacchi al suolo con mitragliamenti di mezzi da sbarco e di azioni antinave con bombe da 100 e 250 kg, le prime sotto le ali e le altre sotto la fusoliera. Il risultato netto fu la perdita di 14 aerei in aria e di altrettanti al suolo entro pochi giorni dall’inizio dell’attività, durante la quale pare che colpissero diverse navi e in qualche caso potrebbero essere stati gli artefici di qualche affondamento (ma data la presenza dei ‘Jabo’ tedeschi con i FW-190, non è facile stabilire chi avesse colpito cosa). I RE.2002 continuarono a combattere anche in seguito, e a bordo di uno di questi cadde anche il grande Giuseppe Cenni; gli Ariete superstiti rientrarono in azione poco dopo l'armistizio, dal 18 settembre, per supportare le truppe del Dodecanneso, talvolta intercettando gli Ju-87 tedeschi. Al 2 giugno i logori Reggiane erano rimasti solo 11, usati dalla Scuola Addestramento Caccia di Lecce-Leverano. Attorno al maggio '45 vennero radiati, per cui fecero appena in tempo a vedere la fine della guerra. Dal canto loro, i Re.2002 tedeschi vennero invece usati in azione contro la resistenza francese (i 'maquisards'), ottenendo discreti risultati, con almeno un aereo abbattuto dal fuoco contraerei. La carriera del RE.2002, tutto sommato, fu piuttosto intensa per una macchina apparsa palesemente tardi e che venne prodotta solo in poche centinaia di esemplari. In pratica, esso fu il 'vero' RE.2000 della Regia Aeronautica, di cui era a tutti gli effetti una versione cacciabombardiere, con 160 hp e due mitragliatrici da 7,7 in più.
 
La battaglia di Sicilia merita senz'altro un approfondimento. Giuseppe Pesce, ''La Guerra in Mediterraneo al giro di boa'', RID Ott 1992. Gli Alleati assaltarono la Sicilia iniziando alle 2,45 del 10 luglio. Mentre la flotta italiana restava alla fonda, lanciando solo una parte della loro flotta in azione, giusto 'per fare qualcosa per tenere buoni i Tedeschi'. La Regia Aeronautica invece ebbe una parte tale da consumarsi pressoché totalmente in quella fornace. Alla mattina del 10, alle 7.30, arrivarono a Crotone i RE.2002 del 5° Stormo, seguiti da altri 10 un'ora dopo. Già il pomeriggio i RE.2002 ebbero a bordo due bombe sotto le ali (in realtà circa 69 kg) e una sotto la fusoliera da 250 kg. Vennero mandati su Augusta, a colpire le navi da sbarco. Erano solo 9 aerei comandati dal T.Col. Guido Nobili, e si buttarono in picchiata dichiarando due navi colpite; poi alcuni Ariete si lanciarono in alcuni mitragliamenti al suolo, specie contro degli alianti arrivati a Pachino sul locale campo d'aviazione. La RAF, però, non fece finta di nulla: circa 12 Spitfire Mk V del No.229 Sqn con un totale di 3 vittorie aeree, più un quarto cacciabombardiere costretto ad un atterraggio d'emergenza a R.Calabria. Nobili rimase ucciso nell'azione. L'11 vi fu un'altra azione da parte di 9 aerei, che stavolta omisero di restare a mitragliare obiettivi al suolo, e così si salvarono. Almeno per ora. Il pomeriggio tornarono all'attacco sia i RE.2002 che i G.50bis. Questi ultimi erano stati mandati anch'essi a Crotone, con il compito di attacco al suolo e antinave. Il G.50 era oramai radiato come caccia di prima linea, ma in mancanza di meglio venne assegnato ai gruppi d'assalto, in particolare il 158° di Osoppo e il 159° di Pistoia, che nell'insieme costituivano il 50° Stormo d'assalto. Questi gruppi erano arrivati il 10 luglio a Crotone, con circa 30 apparecchi. Quel pomeriggio salirono in quota 10 G.50 bis, mandati su Siracusa con 12 RE.2002 del 101° Gruppo. Alle 18.40, dopo circa 30 minuti, arrivarono sui mezzi da sbarco. Attaccarono con decisione, dopo tutto erano molto numerosi per gli standard italiani e causarono qualche danno. Tuttavia, pagarono pegno allorché, usciti dalla picchiata, si trovarono di fronte alcuni Spitfire V e IX del No.72 Sqn, che erano passati attraverso la protezione data dai potenti, ma pochi, Reggiane 2005 della 362ima sq. In tutto vennero abbattuti ben sei aerei italiani, 3 Re.2002 e altrettanti G.50 bis. Non solo, ma gli ultimi 7 G.50 vennero costretti ad atterrare a Reggio Calabria. Poco dopo, quasi non si aspettasse altro, vennero distrutti da un violento bombardamento aereo. Dopo la perdita dei 6 piloti (su 50 dello Stormo) e di altrettanti Ariete (nuovi di fabbrica, e ancora da mettere a punto), il 5° Stormo era stato pesantemente colpito. Però l'11 luglio si parla di una LST affondata per la mattina, il pomeriggio toccò ad una nave da trasporto munizioni (Baarn), e un trasporto venne danneggiato gravemente. Non è chiarissimo se fossero stati i RE.2002, ma sopratuttosoprattutto il pomeriggio è probabile che così fosse accaduto. Nel frattempo i Savoia S.79 bis dei gruppi 130 e 132imi, che rivendicarono tre navi affondate già tra il 9 e il 10 luglio, nella notte successiva dichiararono altre tre navi, e in quella dopo ancora ne avrebbero silurate altre due, per poi finire il 12-13 per colpire altre tre navi. A dire il vero non risultano perdite di navi alleate (malgrado ne siano state dichiarate 11), mentre in contro sette S.89 andarono perduti. Solo il 16 luglio vi sarà un successo verificabile, danneggiando una portaerei classe ‘Illustrious’.
 
Gli Ju-87R e D andarono all'attacco, sempre operando da Crotone, così accadde anche con gli S.84 da bombardamento e con gli Z.1007. Gli S.84 ebbero danni elevati e dimostrarono prestazioni risibili, pur essendo del tipo bis (leggermente migliorato), tanto che operarono solo a velocità di circa 280 kmh, a 4.000-4.500 m, con un raggio d'azione di circa 400 km, ottenuto solo con un consumo di circa 2.000 kg di carburante; le mitragliatrici non erano affidabili (non una novità per le Scotti-IF). Un fallimento fino all'ultimo, insomma, del potente S.84. Gli Ju-87 erano con il 103° Gr. Tuffatori, e con il 121° Gruppo appena formato il 3 luglio. L'11 luglio 15 Ju-87B del 121° Gruppo e 5 Ju-87D del 103imo arrivarono a Crotone. Il 12 luglio, a mattina, sette Ju-87 attaccarono le navi e rivendicarono due unità colpite, nonché alcuni mezzi da sbarco. Poi vennero affrontati dai caccia P-38 e Spitfire, che distrussero due aerei e danneggiarono tutti gli altri. Il 12 tornarono anche i RE.2002, e stavolta ne vennero mandati in azione ben 22 esemplari con bombe sotto le ali. La mattina ne vennero inviati 10, e nonostante la mancanza dei caccia di scorta, riuscirono a sorprendere le navi senza scorta caccia -forse per l'ora- e riuscirono anche a mitragliare dei bersagli al suolo, dopo le 20 bombe da 100 kg scaricate. Nel frattempo, le navi erano entrate ad Augusta, dove le difese costiere erano già sparite, tanto che i cannoni da 381 mm saltarono in aria il pomeriggio del 10 luglio, autodistrutti dal personale. Il pomeriggio vennero mandati in azione altri 12 RE.2002, stavolta attaccarono mezzi corazzati per appoggiare la 1a Divisione paracadutisti tedesca, poi aiutarono a difendere gli Ju-52 per il lancio di parà. Un Re.2002 atterrò in emergenza poco dopo.
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===Re.2001 e prototipi vari===
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Anche i caccia Reggiane ebbero presto il promettente DB-601; prima ancora si pensava, da parte di Longhi, ad un HS 12Y RC.12, ma al posto del vecchio motore francese la R.A. chiese che l'MM.409, il prototipo del nuovo aereo, avesse il DB-601A-1. Questo nuovo sviluppo era dato dal fatto che, tramite la cosidettacosiddetta 'Relazione Tondi', del 3 settembre 1939, si chiedevano caccia con motori in linea. Il Caccia I (I per Intercettore) della R.A., nella sua terza forma, ebbe tra l'altro concorrenti come il Caproni-Vizzola F.5, e persino il Piaggio P.119 proposto nel marzo 1939, un avanzato aereo con motore centrale; non mancarono i progetti Fiat come il G.50 rimotorizzato e persino il CR.42DB, forse il più veloce tra i biplani, grazie al motore tedesco raggiungeva i 520 kmh; sarebbe stato divertente vederlo in azione (specie contro gli Hurricane, parimenti veloci), ma l'MM.469 rimase senza esito. Il C.200/201 venne riprogettato come C.202 con motore A.38, ma solo a causa dell'indisponibilità di tale motore nazionale si arrivò ad adattarlo al DB-601, producendo il Folgore così come lo conosciamo. Già il 20 luglio la RA chiese che il prototipo MM.409 del RE.2000, venisse modificato con il motore tedesco. Questo, nella nuova forma, volò il 24 giugno 1940, seguito dal primo 'vero' Re.2001, l'MM.408, il 18 dicembre. Stavolta la R.A. non ebbe dubbi su chi fosse da considerarsi il vincitore della gara e il C.202 ebbe la parte del leone; tuttavia come secondo, molto distanziato dal primo, venne anche considerato il Re.2001, tanto che ebbe 200 macchine ordinate, poi ridotte a 100. Da notare che il primo volo, sia pure con un prototipo adattato, avvenne prima del Folgore; ma la messa a punto fu ben più difficile. Anche perché il secondo prototipo ebbe un grave incidente: il 14 marzo 1941 precipitò uccidendo il pilota.
 
Longhi dirà poi che il suo Reggiane 2001 venne 'rovinato' dalle continue richieste fatte dalla R.A. per fargli fare praticamente tutto. Con i prototipi inclusi, la produzione fu di circa 239 aerei, più altri 16 quasi approntati e infine 160 ordinati nel 1942-43, ma che con ogni probabilità mai vennero nemmeno iniziati (mentre continuarono di sicuro le produzioni del Re.2002, poi apparso anche con la LW). Il Re.2001 Ariete I o anche Falco II aveva il nuovo motore DB-601A-1 o meglio l'A.R. R.A. 1000 RC.41I Monsone, da 1.175 hp al decollo e 1.050 a 4.100 m, con elica A.R. da 3,1 metri di diametro e carburante adesso sistemato in 4 serbatoi autostagnanti alari e uno dietro l'abitacolo, da 544 litri complessivi, circa 104 in più del C.202. L'ala era semiellittica e trilongherone, anziché a 5 longheroni come nel RE.2000, che avevano serbatoi alari integrali, che per varie ragioni -tra cui la mancanza di protezione- non piacevano affatto, ma che assicuravano -con un aereo dal motore più potente- circa 86 litri in meno. Eppure, il Re.2001 era capace di un'autonomia apparentemente superiore a quella dei Falco. L'ala era dotata di alettoni rivestiti in tela, quello di sinistra con aletta di compensazione regolabile, ma solo a terra; gli ipersostentatori erano 4 e la loro caratteristica era di estendersi fin sotto la fusoliera, quasi a mò di freno aerodinamico. Ciò era possibile grazie ai due radiatori sotto le ali, a mò di Bf-109, anziché uno solo sotto la fusoliera. I piani di coda avevano ancora la forma tipica di Seversky P-35, 'romboidale', con un aspetto a triangolo scaleno, e dalla generosa superficie, tutti dotati di compensatori e trim. Le ali contenevano anche i due carrelli con retrazione verso l'esterno e rotazione di 45°. Il prototipo aveva un ruotino retrattile in coda, ma i tipi di serie l'ebbero fisso. A bordo c'erano un minimo di corazzature per il pilota, radio rice-trasmittente e -raramente- un radiogoniometro- L'armamento era di due MC.12,7 con 700 colpi complessivi, e due MC.7,7 con altri 1.200 nelle ali. C'erano, come sistemi 'dedicati', il collimatore S.Giorgio a riflessione, più -sul bordo d'attacco, contenitori per una cinepresa FM.62 opzionale. Normalmente non erano trasportate bombe, che venivano destinate ai tipi specializzati. La velocità dei prototipi, circa 551 kmh, venne leggermente persa con i tipi di serie (attorno ai 545 kmh)
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Insomma, da tutto ciò si deduce che il Reggiane sia stato messo un po' in secondo piano rispetto al Macchi: era capace di fare quasi tutte le missioni possibili, ma di fatto non venne apprezzato per quel che valeva e la sua produzione ammontò solo al 20% del rivale. La Caproni sembrava, malgrado la sua potenza industriale, decisamente in difficoltà con la concorrenza: anche il caccia F.6 non ebbe successo. Questo, con l'ala in legno, arrivava pur sempre a 550 kmh e manteneva le sue doti di agilità di prim'ordine, più 4 armi da 12,7 mm. Con l'ala metallica arrivava a 570 kmh e l'unica ragione di inferiorità rispetto al C.202 erano 30 kmh di velocità massima in meno. In contraccambio aveva altre doti, tra cui il doppio della potenza di fuoco. Come dimostrato dai Ki-61 giapponesi, più che puntare tutto sulla velocità era necessario trovare un compromesso, e questo avrebbe potuto esserlo. Ma per la R.A. non lo fu. È vero che il Re.2001 venne messo a punto troppo in ritardo, anche per problemi di fornitura di materie prime, e anche questo causò dei problemi alla reputazione del caccia. Forse il velivolo ebbe soprattutto il problema di non poter staccare nettamente nessuno dei caccia nemici. La sua velocità massima era inferiore a quella del Bf-109E e pari a quella dell'Hurricane Mk.II. Il C.202 (e il Bf-109F) erano invece circa 50 kmh più rapidi, più veloci anche dei P-40. Forse questo faceva la differenza nei combattimenti aerei contro nemici nettamente più numerosi. Ma il Reggiane era capace di rivestire moltissimi altri ruoli che il Macchi poteva a stento emulare, o addirittura era del tutto incapace di eseguire.
 
Forse la più azzeccata definizione del Reggiane 2001 la dà Florenzo Macchi<ref>Ali tricolori, supplemento ad Aerei nella Storia n.27; idem per il Re.2001GV</ref>. Ironia della sorte, questo pilota di caccia (ne volò di tutti i tipi) non era un pilota del Folgore, ma del rivale Reggiane. Lui trova quest'aereo 'discreto', una definizione molto ben calibrata (evidentemente le 'eccellenze' andavano cercate altrove). Con questo velivolo ottenne due vittorie, contro avversari all'altezza: un Hurricane e un Beaufighter. Nel ricordare gli aerei provati ha parole di elogio per il Bf-109. Ma sopratuttosoprattutto, ricorda ancora con grande ammirazione gli Spitfire, e con timore reverenziale parla della loro tattica preferita: scendere giù da alta quota, sparare raffiche spesso micidiali e poi andare giù in picchiate vertiginose, sperando di scappare dagli aerei dell'Asse. Il motore Merlin era vulnerabile ai 'g-negativi', ovvero alla mancanza di alimentazione durante le picchiate, ma questo solo fino a quando la velocità non si stabilizzava un po', e l'accelerazione calava. Detto in altri termini, se era lo Spit a cogliere l'iniziativa, poteva presentarsi ad alta velocità e senza problemi di motore. I caccia con i DB-601-605 potevano provare ad inseguirlo (certo il Macchi non era il migliore per tale compito, essendo piuttosto lento), ma lo Spit, motore a parte, poteva vantare un'aerodinamica sufficiente per staccare in picchiata qualunque caccia eccetto aerei come il Re.2005 e il P-47: una volta accelerato al massimo, era imprendibile anche per il Bf-109.
 
Il Reggiane 2001 era un caccia senz'altro dotato di possibilità. Il modello RE.2001bis era in particolare privo di radiatori subalari, ma con due strette fessure che permettevano all'aria di entrare nel dorso alare e poi uscire (riscaldata e quindi 'energizzata') dai radiatori interni. Come velocità, era all'altezza dello stesso Macchi 202. Anche se doveva rinunciare alle 7,7 alari, non si capisce perché non sia stato scelto per la produzione, forse l'unica spiegazione è che i radiatori intra-alari erano poco efficienti, specie nel caldo del Mediterraneo.
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IL Macchi debuttò scortando gli S.79 su Malta, ma poi ebbe una sospensione delle attività, dovute alle necessità di rimodellare i profili alari e forse altre questioni ancora, così il ritorno all'attività operativa è del tardo '40, forse inizio del '41. Non dimentichiamo che furono i G.50 ad andare in Belgio, così come furono i primi ad essere spediti in Africa.
 
Alla fine, i Macchi 200 entrarono in servizio pienamente operativo non molto prima che i C.202 cominciassero (giugno-luglio 1941) ad entrare in servizio. Combatterono sopratuttosoprattutto su Malta e sul Mediterraneo, ebbero poi le esperienze in Grecia, Yugoslavia e Russia. Qui, grazie sopratuttosoprattutto alla pochezza tattica del nemico, riuscì ad ottenere circa 88 vittorie (almeno, stando alle dichiarazioni fatte) contro una quindicina di perdite (stranamente, i pochi Folgore che vennero mandati in Russia non ebbero invece alcuna vittoria nota). In Nord Africa vennero usati dalla primavera del '41, prima come caccia, poi sempre di più come cacciabombardiere e aereo di scorta ai bombardieri e trasporti. Tra le sue imprese importanti vi fu il bombardamento del caccia HMS Zulu, nel settembre del '42, che era una grossa e ben armata nave, ma pur sempre vulnerabile alle bombe da 70 o 130 kg, dato che non aveva corazzature di sorta. Impiegato sempre più disperatamente come intercettore in patria, all'Armistizio ne restavano, pare, appena 33 in efficienza bellica, su di un totale di circa 1.300 prodotti in varie serie. Le prime avevano tettuccio chiuso, poi sostituito da una sorta di 'gobba' aperta. In seguito venne aggiunto un sedile corazzato, i filtri antisabbia, agganci per le bombe, in qualche caso le attrezzature per la ricognizione (dal tardo '41 su alcuni aerei), la radio rice-trasmittente (con molta, molta calma, ancora nel '41 era una rarità) mentre il peso era leggermente aumentato senza per questo un corrispettivo di potenza extra. Ma non di molto, a dire il vero (peso max. 2,5 t circa).
 
Quanto all'impressione dell'aereo<ref>Cockpit N.19</ref>, l'accesso all'abitacolo era agevole, senza problemi i gas di scarico, il sedile era comodo e regolabile (ma solo dal personale specialista di terra), comandi comodi e razionalmente disposti, incluso quello della potenza extra (+100 giri.min), l'elica Fiat a passo variabile e a giri costanti era 'ottimo' e costante nel funzionamento alle varie velocità; gli ipersostentatori necessitavano di 46 pompate a manom piuttosto scomodo (sarebbe preferibile un comando come nel G.50), bene anche i freni (meno il sistema di funzionamento a leva), il carrello era piuttosto lento e azionabile con comandi meno razionali che con il mediocre Ro.51.
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Dato che si sperava che Romagnoli fosse ancora vivo, si ritornò in forze, quello stesso giorno, a cercarlo, visto che c'era la speranza che si fosse salvato. Non lo ritroveranno, ma i trenta C.200 (di cui 20 da parte del mediocre 54° Gruppo e solo 10 del 10°) che ritornarono su Malta in scorta ad uno Z.506 rivendicarono ben 16 Hurricane, contro un'altra perdita. Il fatto è che
''davano l’abbattimento sicuro di ben 16 (sic!) Hurricanes, praticamente il doppio di quanto in effetti non erano presenti nel cielo della battaglia gli aerei della RAF(N.Malizia)''. Che in effetti erano solo 8 del No.249 Sqn. Due di questi vennero stavolta abbattuti (Kimberly e Smith), troppo grande la differenza numerica per riuscire a depredare i caccia italiani anche stavolta; ma danneggiavano lo Z.506 e abbatterono l'MM.5883 del 10° Gruppo, che ebbe anche ben sette aerei danneggiati (ovvero 8 aerei colpiti su 10), più diversi altri del 54° (non è chiaro quanti), tra cui quello del futuro asso Omiccioli. Evidentemente gli Hurricane erano interessati sopratuttosoprattutto a colpire con raffiche 'al volo' i Macchi, non potendo permettersi il lusso di affrontarli uno dopo l'altro mettendoglisi in coda (sia per numero, che per agilità, che per il rischio che si corre a mettersi a piroettare in cielo) e così li danneggiavano, anche se spesso non li abbattevano.
 
Insomma, a sentire loro, il 4 settembre i piloti dei Macchi avrebbero sterminato metà caccia britannica dell'isola. Il solo, già citato Omiccioli rivendicò due Hurricane, ma è ovviamente improbabile -seppure possibile- che dei 16 dichiarati, gli unici due 'buoni' fossero proprio i suoi. Anche se i 'Macchi-boys' subirono solo poche perdite (3 più almeno tre aerei danneggiati gravemente e tanti in maniera più leggera), è chiaro che si trattava del solito 'overclaiming'<ref>[http://www.nicolamalizia.it/Documenti.htm#4.%20Carlo%20ROMAGNOLI:%20luminosa%20figura sito di Nicola Malizia, storico aeronautico]</ref>.
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Quando arrivò la LW con i Bf-109E, in poche settimane i Britannici ebbero perdite pesanti, ma stavolta erano 'vere', non dichiarate e basta. Tanto che i loro reparti da caccia, prima addirittura capaci di volare sopra la Sicilia per attaccare gli aeroporti, si ridussero ad una realtà marginale per la difesa della stessa isola, ad un certo punto passata soprattutto ai cannoni da 40 mm Bofors. In Nord Africa non fu diverso. Ovunque comparvero i Bf-109 i caccia inglesi vennero decimati: Malta, Grecia e Africa. Questo, nonostante che fossero pochi, certamente di meno dei monoplani italiani, che invece erano risultati pressoché irrilevanti.
 
Come caccia, il Macchi 200 era senz'altro un problema per l'Hurricane, ma bisogna vedere anche quale tipo di Hurricane. L'Mk.I era appena più veloce, sopratuttosoprattutto dopo che ebbe (fin dal '39) l'elica tripala metallica, specie la Rotol a giri costanti: circa 520-530 kmh nelle migliori condizioni, circa 450 slm. Ma tra i 4 e i 5.000 m, se non anche più in basso, il Macchi 200 era sufficientemente veloce per dare problemi all'Hurricane. In quota, però, a 6.000 m, il Macchi alle prove non andava che a 493 kmh, -30 kmh sull'avversario. L'Hurricane a sua volta era handicappato dal filtro Vockes, troppo ingombrante e tale da causare una perdita di circa 30 kmh di velocità massima.. Ad alta quota, sopra i 6.000 m, però, il Macchi era spacciato. La sua quota massima era di appena 8.900 m, meno dei G.50 e persino dei CR.42 (sebbene a 6.000 m il G.50 facesse solo 451 kmh), che potevano quasi teoricamente competere con gli oltre 10.000 m dell'Hurricane (il quale però a 6.000 m era già 70-80 kmh più veloce del G.50). A circa 7.000 m, il Macchi cadeva a meno di 400 kmh, forse un centinaio in meno dell'Hurricane. Quello che aveva di buono era la velocità ascensionale, ma presumibilmente non sopra i 6.000 m.
 
L'Hurricane Mk.II prototipico arrivava ad essere veloce come il Bf.109E, ben 560 kmh, poi ridotti a 551 per l'Mk.IIA. Calarono a 545 per l'Mk.IIB con 12 mitragliatrici anziché 8, e a 538 con l'Mk.IIC con 4 cannoni da 20 mm, forse un po' appesantito (mentre sicuramente lo era l'Mk.IID con due armi da 40 mm, che erano intese come anti-bombardiere ma poi divennero controcarri). L'Mk.II era molto più veloce anche in salita anche se ancora, a quote medio-basse, non efficace quanto il piccolo Macchi in tal senso, ma ora la differenza di velocità, diciamo sui 10 kmh, era quadruplicata e si facesa sentire anche a quote medio basse; per gli Mk.II trop le prestazioni erano grossomodo quelle di un Mk.I 'puro'. In altre parole: sotto i 5.000 m, per un Macchi 200 ben pilotato battere l’Hurricane Mk.I trop era possibile e probabile; all’estremo opposto, a 8.000 m (appena 800 meno della tangenza pratica) affrontare un Hurricane Mk.II (magari non tropicalizzato, ma in Mediterraneo lo erano praticamente tutti) era ancora possibile, ma decisamente poco probabile (a meno di non trascinare il combattimento alle quote più basse; ma se vi fosse stato da affrontare una formazione di bombardieri ad alta quota, questo avrebbe impedito di colpirla, visto che i bombardieri non avrebbero certo seguito i caccia scendendo a loro volta). Inoltre l’Hurricane poteva restare a quote tali da non essere affrontabile dal Macchi (paradossalmente, il CR.42 e il G.50 avevano in tal caso più possibilità, arrivando a circa 10.000 m di tangenza).
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Il Macchi, come si è visto, era pericoloso, ma non superiore all'Hurricane I (specie se questo era ad alta quota e-o senza filtro antisabbia), per non dire dell'Mk.II; come intercettore, era più rapido in salita, ma saliva meno in alto, il pilota non aveva ausili decenti, inizialmente nemmeno la radio ricetrasmittente (o anche la sola ricevente), né corazze protettive (applicate successivamente, ma non di elevato livello); l'Hurricane poteva accumulare un certo ritardo durante la salita, ma poi in orizzontale recuperava la distanza, e quando era a contatto del nemico, poteva 'spennarlo' a 10.000 colpi al minuto. Inoltre aveva una maggiore autonomia, specie con serbatoi ausiliari, per cui poteva anche semplicemente aspettare già in quota (ai tempi della B.o.B. ci si andava anche 4 volte al giorno, parlo di oltre 9.000 metri), senza bisogno di partire ogni volta da 'zero' per carenza di benzina.
 
Come intercettore, l'Hurricane Mk.I poteva contare su di un output di circa 1,7 kg/s, contro circa 0,65 kg/s di un Macchi. Anche se le mitragliatrici di grosso calibro avevano una portata pratica maggiore e una superiore distruttività contro strutture robuste, era una differenza troppo grande. I successivi Hurricane Mk.II ebbero 12 (spesso ridotte a 10 per velocizzare il riarmo) Browning, e poi 4 cannoni da 20 mm (6 kg/s). L'autonomia di fuoco del Macchi era maggiore (circa 40 secondi), ma come sempre c'è un compromesso ideale. L'Hurricane, sia pure con un'autonomia di fuoco di meno di 20 secondi, era meglio armato. Del resto il Bf-109E aveva un output di 2,5 kg ma solo per sette secondi (così come lo Zero) dopo di che perdeva i 20 mm e doveva arrangiarsi con le sole due mitragliatrici, che avevano sì un'autonomia di 60 secondi, ma un output di appena 0,4 kg/s a far tanto: i loro 2.000 colpi, sparabili in non meno di 60 secondi, erano tirabili dall'Hurricane in appena 12-13 secondi, e questo faceva la differenze, sopratuttosoprattutto ora che i combattimenti erano sempre più rapidi e il tempo utile per sparare sempre minore. Così anche il Bf-109 o lo Zero, nonostante la ridotta autonomia di fuoco, erano pur sempre ben rispettati quanto ad armamento cannoniero, anche se era un 'jolly' da giocare con attenzione e prudenza. L'ideale fu poi il cannone da 20 mm con alimentazione a nastro anziché a tamburo, con 120-250 cp per arma. Benché il Macchi 200 e gli altri caccia analoghi avessero una buona dotazione di proiettili (e un contacolpi elettrico), armi affidabili e capaci di erogare costantemente un certo volume di fuoco, e con proiettili tutti dotati della stessa balistica, il loro armamento era insufficiente. Spesso bombardieri leggeri come i Blenheim riuscivano a sfuggirgli anche se ripetutamente colpiti, mentre gli Hurricane potevano inchiodare i bombardieri medi come gli S.79 e BR.20 con un singolo passaggio. Non c'era partita, insomma.
 
C’è poi un altro discorso, quello della flessibilità d’impiego delle armi. L’Hurricane aveva una forte capacità di eseguire un ‘tiro al traverso’, in altre parole di sparare contro avversari che si presentavano con ogni angolazione. Se per esempio capitava un bersaglio in movimento trasversale, l’Hurricane poteva impallinarlo al volo. Aveva un volume di fuoco di 9.000 o 12-13.000 c.min, il che significa circa 150 o 220 c.sec. Erano proiettili leggeri, ma qualcosa colpivano, e non senza effetto. Contro un bersaglio lungo 8 metri, in movimento tra 100 e 200 m.sec, già l’Hurricane Mk.I poteva sperare di mettere statisticamente a segno tra 9 e 18 colpi (colpi al secondo divisi per la velocità del bersaglio fratto la lunghezza dello stesso, per esempio 150 diviso 12, che sono le lunghezze del caccia che si trovano in 100 metri di percorso, nel secondo in cui vengono sparati i 150 colpi). Nel caso dei caccia italiani, la cadenza di tiro delle due Breda era di circa 18 c.sec: a 100 m.sec un bersaglio di 8 metri era teoricamente colpito da 1,5 proiettili. Se il bersaglio superava i 150 m.sec (oltre 18 lunghezze) diventava aleatoria la speranza di colpirlo anche con un solo proiettile. Benché provviste anche di proiettili esplosivi, le 12,7 erano armi troppo piccole per farne buon uso (carica delle Breda, appena 0,8 gr di pentrite) e spesso erano preferiti i proiettili incendiari (l’esplosione eventualmente la procuravano incontrando i vapori di benzina, spesso presenti anche fuori dei serbatoi degli aerei, per qualche piccola perdita). Uno o due colpi erano poco significativi. Ma una dozzina, sparsi per l’asse dell’aereo, significavano circa uno ogni 70 cm, e questo rendeva probabile colpire qualcosa di importante, per esempio il pilota. Alle velocità più alte quest’armamento ad alta cadenza di tiro era l’unico che consentiva di colpire qualcosa in maniera affidabile. Con i 4 cannoni da 20 mm il volume di fuoco calava in termini numerici (e infatti i piloti della Marina americana spesso silamentavano della riduzione di cadenza rispetto alle sei M2 dei primi caccia navali), ma ogni colpo pesava 120 gr (circa), di cui una decina erano di HE, sufficiente per danneggiare gravemente anche parti robuste come il motore e i longheroni: due colpi da 12,7 o una decina da 7,7 non erano una minaccia comparabile a un paio da 20 mm (peso rispettivamente di 70, 120 e 240 gr) e ai danni che potevano causare ad ogni struttura aeronautica, anche blindata. Una volta che il caccia fosse stato colpito e danneggiato, sarebbe stato facile convincerlo a disimpegnarsi, oppure inseguirlo per dargli il colpo di grazia. Con poche armi era tutto più difficile, e ai piloti italiani veniva insegnato proprio per questo a manovrare al meglio, per mettersi alle spalle dell’avversario e impallinarlo da breve distanza, standogli in coda e con il minimo di deflessione. Non era una scelta obbligata, del resto quando apparve il Macchi 202 i piloti rimasero piuttosto delusi dal vedere che aveva ancora solo due Breda, quando ne avrebbero volute possibilmente sei. Per colmo di beffa, in seguito i ‘202 ne avranno un altro paio, ma da 7,7 mm, solo nel ’42 (quando oramai erano armi superate) e capaci nondimeno di appesantire con 100 kg in più il Folgore, tanto che spesso non venivano installate. Lo furono invece con i C.205, ma questi non avevano problemi di potenza. Quando però le cambiarono con i cannoni Mauser da 20 mm, malgrado una leggera perdita di velocità, nessuno ne ebbe nostalgia.
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Di fronte a tutto questo il Macchi può esibire la sua famosa virata stretta, sempre che non vada in autorotazione (non è chiaro se il problema venne risolto al 100% da Stefanutti), Per esempio, Marcon nota che il primo combattimento con i nuovi P-40 Kittyhawk si concluse sì con 2 Macchi abbattuti contro un solo P-40, ma i primi ‘dimostrarono di superare in virata il nuovo avversario’, Una consolazione modesta per quella che era stata una dura giornata (precisamente l'8 o il 9 gennaio 1942, 21 CR.42, 11 C.200 e 8 C.202 affrontati da 10 P-40 del 3° RAAF Sqn). Notare che, nonostante la presenza dei C.202, la battaglia si concluse con una sostanziale sconfitta italiana, almeno in termini meramente numerici (benché i soli C.200 dichiarino due vittorie). Qui si vede anche come le cose si erano allora evolute: i protagonisti prebellici, i CR.32, non c'erano già più; quelli del 1940, i CR.42, erano ridotti all'avioassalto con bombe, mentre i C.200, protagonisti ben più attivi nel 1941, erano adesso limitati alla scorta ravvicinata, perché a quella esterna provvedevano i C.202. All'epoca, ogni anno portava con sé una generazione di aerei, una cosa inimmaginabile oggigiorno. Altra battaglia il 22 gennaio, in scorta agli Ju-87: altro C.200, stavolta con la perdita del pilota. Anche stavolta viene rivendicata la parità contro il nemico e vari mitragliati.
 
Ma virare ‘più stretto’, come già per i vari Ki-27 e 43, non è automaticamente una indicazione di netta superiorità come caccia (vedi all'opposto i vari Bf-109, FW-190, P-38, 47 e 51), e tanto meno come macchina bellica in generale, come già detto sopra. Questo, fermo restando che P-40 ed Hurricane erano piuttosto mediocri e che a differenza dell'MC.200 non consentivano margini di crescita apprezzabili; questo sarà la base diretta dei Macchi 202 e 205, mentre alla Hawker dovettero affrontare il problema radicalmente, con nuovi aerei dalla tribolata (sopratuttosoprattutto causa motore) messa a punto. Ma questa, al solito, è un'altra storia, che ci porterebbe fino all’eccellente Fury.
 
Tra le missioni si può ben ricordare anche quelle che i C.200 eseguirono come aerei di seconda linea e di scorta. Tra le altre cose, vi fu persino lo sporadico uso pure dei C.200 nel compito di caccia notturni, ma evidentemente, con risultati del tutto insoddisfacenti, sebbene in mancanza di meglio anche aerei ben poco adatti, persino i Me.262, vennero impiegati occasionalmente per lo scopo. Del resto, quando il 12 giugno giunsero su Torino i bombardieri della RAF, dei tre stormi disseminati in Piemonte non un solo aereo era abilitato a tale impiego. La mancanza di aerei adatti e di piloti addestrati per tali missioni, nonché delle apparecchiature idonee, sarà uno dei più gravi punti deboli della difesa aerea italiana, nonostante l'abbondanza di cannoni (anche se inizialmente per lo più obsoleti) basati a terra e su navi, tanto che le vittorie della C.N. sono stimate in tutto circa una decina nell'arco di tre e passa anni di guerra (e nessuna da parte dei pochissimi C.200 saltuariamente usati in tale modalità).
 
L'aereo venne sempre di più usato per l'attacco al suolo, per non lasciare 'solo' il CR.42, lo Ju-87 e i pochi Reggiane 2001 attrezzati per l'attacco. Lo stesso 150imo Gruppo si impegnò allo spasimo, anche con buoni risultati, come il 28 febbraio su El Adem, dove avrebbero distrutto molto materiale, rivendicando anche una decina di aerei nemici. Le bombe erano pure sganciate con facilità, vista la visuale del pilota al di sopra del motore (per via della 'gobba' e delle piccole dimensioni del motore, al contrario di quel che succedeva con il Re.2000), massimizzandone l'efficacia, così come del ridotto armamento. Eppure, nei primi tre mesi il gruppo perse 15 piloti, di cui due soli caduti prigionieri. Lo stesso Vizzotto viene abbattuto con l'aereo il 4 aprile, e viene dato per disperso, salvo poi ritornare a piedi. Era normale tornare con gli aerei sforacchiati, ma raramente con esiti fatali dato il piccolo calibro delle armi campali, anche perché queste non hanno proiettili esplosivi: c'è una bella differenza tra raffiche calibro 0.30 e quelle calibro 20 (mm). A settembre del '42, i C.200 si accaniranno anche contro i caccia che tentarono l'audace e sfortunata incursione su Tobruk occupata, il settembre 1942. Sikh e Zulu, nell'occasione, vennero affondati dal tiro delle artiglierie costiere e poi dagli attacchi aerei. I reparti speciali inglesi distrussero tra l'altro sette Z.1007 su Barce (14 settembre), e così furono sopratuttosoprattutto i C.200, almeno da parte italiana, che intervennero. Anche se solo con bombe da 50 o 100 kg (al massimo, erano possibili quelle da 160 kg antinave), gli effetti contro un cacciatorpediniere non molto armato come armi a.a., e ancora relativamente lento e immobile, furono micidiali (anche perché il vero peso delle bombe italiane era di circa 69 e 129 kg). Contro una nave senza protezione, anche queste armi erano sufficienti e l'azione britannica, fallita la sorpresa, si ritrovò davvero nel classico 'nido di vespe'.
 
Le missioni dei Macchi 200 continuarono con i gruppi incaricati della difesa nazionale e dei convogli navali, e non meno importante, dei famosi aeroconvogli tunisini (primavera 1943). Un pilota racconta di come all'improvviso, guardando alle sue spalle, notasse una formazione immensa di caccia bimotori P-38, che si era avvicinata in sezioni di quattro. Il suo compagno venne sorpreso e abbattuto, lui combatté con la massima rapidità possibile. Alla fine della battaglia, quasi tutti gli S.82 erano stati abbattuti in fiamme o costretti ad ammarare, i piloti dei C.200 ritennero di avere abbattuto tre P-38 (cosa non confermabile), ma sopratuttosoprattutto, 'in alto, velocissimi, dei Bf-109 stavano correndo nella direzione dove erano spariti i P-38'<ref>'Aviatori italiani', supplemento ad Aerei gen 2009</ref>. Quasi a dire che quella era una battaglia tra 'Titani', in cui i piccoli C.200 non avevano parte in capitolo, restando poco più che spettatori. Non stupì certo che quando i gruppi di Saetta passarono a macchine più moderne, non rimpiansero i C.200. Per esempio, il 150° Gruppo andò sui Bf-109F e poi G. Il caccia tedesco venne trovato meno docile nell'acrobazia, ma grandemente superiore come macchina bellica in generale, armamento e stabilità di tiro inclusi.
 
Tra le esperienze, quella di un pilota, tale Ten De Giorgi<ref>Sgarlato, Nico, articolo su 'Cockpit' ago-set 2001</ref>. Il 25 luglio 1941, 2 anni esatti prima della caduta di Mussolini, la guerra stava ancora andando piuttosto bene. Lui era decollato assieme a circa 30 compagni per scortare un unico Z.1007, un ricognitore a lungo raggio di notevole valore per la velocità e la quota maggiori di quelle degli altri bombardieri italiani, mandato in azione per la preparazione all'incursione su Malta di Tesei. Il Saetta aveva ancora all'epoca spesso carenze tecniche notevoli, ovvero la mancanza di una radio ricetrasmittente. Mentre stava volando assieme al ricognitore, all'improvviso vide delle sagome alle sue spalle. Pensava che fossero i caccia della scorta indiretta, ma questi in realtà avevano perso il contatto con il CANT, nonostante che il quell'assolato giorno di sole non vi fossero nuvole. Così restavano solo i caccia della scorta diretta, circa 15 aerei. Mentre De Giorgi pensava che fossero gli altri cacciatori che stavano ricongiungendosi, sotto i suoi occhi vide il suo bombardiere investito da un fiume di traccianti e incendiato. Erano gli Hurricane! Anche il suo aereo venne colpito da alcune pallottole e lui ferito. Vide ad un certo punto di essere solo, tranne un paio di compari che alle loro spalle avevano un incomodo, la sagoma minacciosa di un Hurricane. Avrebbe voluto avvisarli, perché non si rendevano conto di essere sotto attacco, ma non poteva farlo; allora cercò di avvisarli sparando con le mitragliatrici grazie alle traccianti. La cosa però attirò anche l'attenzione dell'inglese, che annullò l'attacco ai due 'polli', per cambiare bersaglio: il Saetta di De Giorgi, che venne colpito più duramente di prima e prese fuoco. De Giorgi saltò giù a tale velocità da fratturarsi 4 costole per lo strattone con l'imbracatura del paracadute, e quando si aprì il paracadute, la decelerazione fu sufficiente ad accecarlo temporaneamente, perché si erano rotti alcuni vasi sanguigni degli occhi. Era una situazione terribile, e per giunta, il liquido repellente antisqualo era andato perduto nel lancio. Venne recuperato da un idrovolante inglese e operato a Malta, per cercare di salvargli la gamba ferita dalle pallottole. Ci riuscirono. In seguito ebbe la visita del pilota che l'aveva abbattuto e notò che la gente di Malta non sembrava rancorosa contro di lui, malgrado i continui bombardamenti subiti dall'Asse. Venne trasferito in vari campi di prigionia e finirà addirittura in India, a Bhopal (oggi tristemente nota). Tornò nel maggio 1945, con la gamba riabilitata da un successivo intervento chirurgico per togliere le stampelle; in seguito alla fine della guerra tornò nella Regia Aeronautica già a luglio, e avrà poi una carriera arrivata al grado di Generale di Squadra aerea.
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*da 5 a 6 km, 75 sec e 96 sec
 
La cosa bizzarra è che l'unica ragione per la quale il C.202 di serie poteva superare in velocità il prototipo, era la potenza maggiore del motore (certo non per l'aerodinamica, di fatto peggiorata dal ruotino fisso, così come il peso era aumentato); Ma il prototipo aveva un DB-601 originale, e così anche molti C.202 prodotti fino al '42: questo motore era più potente di quelli dei Monsone italiani, che pesavano anche qualche decina di kg in più. Forse per i Macchi di serie vennero adottati dei motori potenziati (almeno nel caso dei DB-601 'originali') sì da passare da 1.075 hp a, per il C.202 sr. IV uno da 1.175 hp, il che spiegherebbe la leggera superiorità registrata in pratica. Ma cosa succedeva con i motori di tipo italiano, che appesantivano e depotenziavano il Folgore? Tutto quello che si sa è che era meno potente, ma quanto ciò incidesse sulle prestazioni non è chiaro. In teoria, però, combinando sia la minore potenza che il maggiore peso, si può ipotizzare un calo di velocità di circa 4-5 kmh e un inferiore rateo di salita, diciamo di circa 1 m.sec. Anche questo aiuta a spiegare come mai i C.202 delle serie avanzate, anche quando ne ebbero le predisposizioni, preferissero non installare le mitragliatrici da 7,7. Indubbiamente, un armamento poderoso nel 1935 (con i CR.32bis) non era altrettanto rispettabile nel 1942, ma sopratuttosoprattutto, nel frattempo si era passati ai più pesanti e meno potenti motori italiani.
 
La differenza di velocità a bassa quota con il Macchi 205V, così come la salita (in pratica solo sopra i 5.000 m c'è una superiorità) sono piuttosto bizzarre, visto che sono pressoché uguali, tanto che a 1.000 il Macchi 202 è più lento di appena 9 kmh, e di 6 a 2.000 m. Da notare che è anche più veloce del Reggiane Re.2001, che slm arrivava solo a 440 kmh (410 il Re.2000). Il P-40N, nelle sue prime 'edizioni' era invece capace di fare la barba a tutti, con una punta di 608 kmh a 3.050 m, 8 più del Bf-109G-6 e ben 42 più del C.202.
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Durante la battaglia del 9 ottobre, 18 Macchi e vari Bf-109 si opposero a una grossa formazione di bombardieri e caccia, non ebbero perdite ma sette risultarono danneggiati. In tutto rivendicarono 12 successi, i tedeschi altri 10 (contro tre perdite). Ma in tutto risultano solo 5 aerei persi dagli Alleati, che dichiararono a loro volta 9 vittorie aeree. Durante il resto della giornata vi furono altre battaglie e alla fine il 4° Stormo dichiarò 19 vittorie (su 20, l'altra da parte del 3° Stormo). Più 28 vittorie preteste dalla LW. Ma le perdite subite in tutto dalla WDAF furono solo sedici, non poche (però non è certo se queste furono le perdite complessive oppure solo quelle della RAF, mentre al contempo c'erano anche quelle sudafricane, per esempio due P-40 Tomahawk), né si sa quante vennero causate da incidenti e flak. Gli Alleati, però, erano interessanti più che altro a distruggere le forze aeree dell'Asse e ci riuscirono in larga misura. In questo giorno, che segnò uno dei più massicci 'overclaiming' della storia aeronautica, gli Alleati dichiararono solo 10 vittorie aeree, ma almeno 50 al suolo. E in effetti la sola LW aveva già subito 4 perdite in aria, altri 10 +20 danneggiati, al suolo. Era un logoramento che non si poteva reggere a lungo.
 
Il 20 ottobre fu anche peggio, e benché già in una battaglia aerea 14 Macchi del 4° dichiarassero ben 9 P-40 (su 30 incontrati) e uno dei 20 (ben più elusivi) Spitfire, arrivando alla fine della giornata a rivendicare 24 successi aerei (probabilmente il maggior numero mai dichiarato dalla R.A.), in effetti era stato un disastro totale. Lo stesso Lucchini fece un atterraggio d'emergenza a causa dei danni subiti in combattimento. All'inizio della giornata, malgrado le perdite precedenti, c'erano ancora (per il 4° Stormo) ben 57 C.202 di cui 43 efficienti; al tramonto erano ridotti ad appena 11 aerei ancora efficienti, probabilmente sopratuttosoprattutto per le bombe e i mitragliamenti al suolo.
 
Vi furono combattimenti anche in seguito, malgrado tutto, ma per quando iniziò El Alamein la situazione era bell'e compromessa. Malgrado tutto, combatterono, ma oramai si trattava solo di arginare una potenza aerea del tutto inarrestabile.
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I Macchi continuarono a battersi anche in seguito e si ritirarono onorevolmente, scortando i CR.42 e C.200, gli S.79, 82, 84 e difendendo le zone sempre più ristrette fino all'estrema difesa della Tunisia, in cui l'Asse si trincerò e resistette in maniera inaspettatamente tenace agli Alleati. Troppo lunga sarebbe anche qui la disamina dell'attività dei Macchi. Alla fine, però, tutto venne perduto. I Macchi erano ancora in zona quando Tunisi, il 7 maggio, venne occupata dagli Alleati. Radunatisi a Korba, i Folgore del 7° e del 16° Gruppo (che formavano il 54° Stormo), erano ancora una realtà rispettabile, tanto che il primo dei due aveva 19 aerei efficienti<ref>G.Massimello, 'Via da Korba, con ogni mezzo', SM apr 1996</ref>. Ma già il giorno dopo, la ricognizione aerea aveva saputo dov'erano i Macchi e ne approfittò per annientarli in massa, con un'antiaerea pressoché inesistente: cinque incursioni aeree mitragliarono un aeroporto con circa 40 aerei (presumibilmente) da caccia, distruggendo o danneggiando la gran parte. Solo 4 dei 19 Macchi del 7° erano ancora efficienti dopo l'azione, e in seguito un altro venne 'rattoppato' alla meno peggio. Dato che l'SM.81 del campo venne distrutto a sua volta, scappare per i tecnici diverrà del tutto impossibile, così come resistere. Così all'indomani i Macchi 202 decollarono e si allontanarono verso il continente. I 5 aerei del 7° Gruppo avevano ciascuno due persone, rinunciando a paracadute e battellino di salvataggio. Uno degli aerei era pilotato da Visconti (che in seguito farà.. anche di peggio, quando con appena 4 C.205 porterà dalla Sardegna un totale di 11 persone, di cui la terza per ciascun aereo era sistemata nella parte posteriore della fusoliera, al posto della radio). Dei Macchi del 7°, uno finì la benzina e nel tentare un atterraggio in una spiaggia siciliana si fracassò perdendo le ali e ferendo i suoi occupanti. Non è chiaro se i sei aerei del 16° riuscirono a fare lo stesso tipo di 'taxi-service', ma in tutto del 7° Gruppo vennero persi non meno di 15 Macchi 202 in un paio di giorni. Probabilmente c'erano circa 40 Macchi a Korba, e di questi solo 10 riusciranno a scappare in Italia. I relitti ammucchiati di Macchi 202 e 200 (in una foto si vedono ben 10 Folgore) resteranno in Africa, con le loro code biancocrociate e caratteristiciamente alte, quasi un vessillo alla memoria di una grande epoca della caccia italiana.
 
I Macchi continuarono a battersi anche dopo, a Pantelleria (dove debuttarono anche i C.205), in Sardegna, in Sicilia, in Italia. Stranamente, i pochi mandati in URSS non pare ottennero alcuna vittoria aerea. I C.202, che in passato (Africa) erano stati anche usati per mitragliamenti d'aeroporti, ora erano solo intercettori, ma progressivamente sostituiti dai vari Bf-109, C.205V e Re.2005, sopratuttosoprattutto perché poco armati contro i quadrimotori alleati, tanto che l'unico modo per abbatterli era spesso quello di un temerario attacco frontale. Tra i migliori piloti di C.202 vanno ricordati senz'altro Lucchini e Ferrulli, ma entrambi caddero il 5 luglio 1943, a 5 giorni dall'invasione della Sicilia e in contemporanea con l'inizio di Kursk. Dopo l'Armistizio il Folgore continuò l'attività, ma in via sempre più ridotta. Alcuni ebbero compiti di ricognizione, ma sopratuttosoprattutto vari vennero modificati con il motore del Veltro (ma conservando lo stesso armamento) e diventando Folgeltro.
 
Nel dopoguerra i C.202 rimasero ben poco tempo in servizio, così come i C.205. Ma è anche vero che alcune cellule vennero ricostruite e vendute come C.205 all'Egitto, che le usò per combattere contro Israele. All'estero va ricordato che il C.202 sarebbe stato adottato anche dalla Svizzera, se solo ve ne fosse stata la disponibilità; lo fu forse dalla Croazia (esemplari italiani requisiti), e pare che la LW ne ebbe almeno 60, specie dell'ultima serie (la XII) che pare avesse anche predisposizione per un cannone da 20 alare, predisposizione già sperimentata da qualche aereo MC.202EC (Esperimento Cannoni), ma si trattava senz'altro di una macchina troppo appesantita per tali armi. Così il Folgore si sarebbe poi perpetuato nel Veltro, ma anche senza questi, contende il titolo di caccia italiano di maggior successo al CR.32, del quale, per sua sfortuna, condivideva anche l'armamento oramai obsoleto.