Identità e letteratura nell'ebraismo del XX secolo/L'esperienza migratoria in America: differenze tra le versioni

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Il tema di questa fase della narrativa ebraica americana è quindi, nella parole di un critico, "il processo di assimilazione e della risultante crisi di identità".<ref name="Guttmann">Allen Guttmann, ''Jewish Writer in America: Assimilation and the Crisis of Identity'', Oxford University Press, 1972, pp. 21-34, 47-66, 117-133 e segg., ''passim''.</ref> Un ebreo americano, consapevole di trovarsi in entrambi i mondi o inconsapevole di trovarsi nell'ambiguità, doveva porsi la domanda che '''Meyer Levin''' (1905-1981) riflettendo in seguito si pose: "Ero americano o ebreo? Si poteva essere entrambi?"<ref>Meyer Levin, ''In Search'', Horizon Press, 1950.</ref> Infatti Levin stesso, nella sua lunga carriera, ha proposto molte delle frasi nella dialettica dell'epoca, muovendosi da un realismo alla John Dos Passos, al proletarianismo (del tipo esemplificato da Michael Gold), al chassidismo (pietismo ebraico) e al sionismo. Lo scrittore ebreo non solo descriveva il mondo ebraico, l'America, cose in generale, ma spesso proponeva anche una soluzione o quantomeno una direzione. Questa preoccupazione per il passato che modellava il presente, un'autodefinizione nell'ambito di un mondo altrimenti alieno non è una caratteristica esclusiva degli ebrei. Se l'America fosse stata unicamente neutrale e assorbitrice di tutte le sue componenti nel famoso crogiolo delle genti, non ci sarebbe problema alcuno. Ma nel caso ebraico, la componente non si è felicemente associata nell'annullarsi, né il crogiolo è stato così benignamente disinteressato. L'etnia continua a saltar fuori.<ref name="Guttmann"/>
[[File:Portrait of Abraham Cahan.jpg|thumb|Abraham Cahan|150px|Abraham Cahan ai primi del '900]]
Sono questi interessi centrali nella vita americana e la narrativa che ne scaturisce costituisce una grande letteratura? Certamente la narrativa ebraica del periodo non catturò l'immaginazione pubblica come successe per Faulkner, Hemingway, Fitzgerald, o anche Jack London o Sinclair Lewis. Persino le maggiori opere del "genere", come ''Call It Sleep'' (''Chiamalo sonno'')<ref>Henry Roth, ''Call ir Sleep'', Penguin Classics, 2006, trad. it. ''Chiamalo sonno'', Lerici, Milano, 1964; Garzanti, Milano 1986.</ref> furono presto dimenticate. Ciò potrebbe essere una valutazione sia della qualità di tali opere, sia della marginalità del loro interesse. Questa letteratura ebraica, afferma il critico Leslie Fiedler, "in retrospettiva appare non solo carente di un'eccellenza finale, ma rimane in un certo modo irrilevante per il percorso di sviluppo della narrativa negli Stati Uniti."<ref name="Fiedler">Leslie A. Fiedler, ''The Jew in the American Novel'', New York: Herzl Press, 1966, p. 42.</ref> Se il tema della marginalità è qui così dominante, allora l'opera per definizione deve essere marginale. Il romanzo ebraico americano mostra l'ebreo all'esterno che cerca di entrare (in vari modi), o forse che viene a patti con la sua condizione di ''outsider''. E forse le preoccupazioni di un gruppo di minoranza è necessariamente di limitato interesse per la maggioranza. Fiedler sostiene che il filo ossessivo del romanzo ebraico americano degli anni 1920 è "il tema del matrimonio misto, con la sua ambigua fusione di speranza di assimilazione e pericolo di miscegenazione".<ref name="Fiedler"/> Se è così, allora non c'è da stupirsi se la corrente principale della narrativa americana l'ha ignorato e che sia stato relegato ad un ruolo minore in un più vasto panorama dove le "stelle brillano altrove".<ref name="Guttmann"/>