Storia della letteratura italiana/La crisi del XIV secolo: differenze tra le versioni

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== La letteratura in prosa e in versi ==
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Anche nella seconda metà del XIV secolo Firenze rimane un centro di viva cultura dove fiorisce una letteratura in prosa e in versi più che altro di genere confessionale, fatta di riflessioni, di aneddoti e di ammonimenti. Tra gli autori degni di essere menzionati c'è il campano Antonio Pucci che ci ha lasciato, in una metrica popolare e dal lessico brioso, una vasta e varia opera che comprende sonetti, [[w:Serventese|serventesi quaternari]], capitoli e cantari che possiedono «una vena ingenua e fresca di poesia e una certa attitudine a risentire e riprodurre i semplici affetti del popolo in mezzo al quale e per il quale scriveva».<ref>{{cita libro | Natalino | Sapegno | Compendio di storia della letteratura italiana. Dalle origini alla fine del Quattrocento | 1956 | La Nuova Italia | Firenze | p=260 }}</ref> In Pucci si ravvisa l'influenza di Dante, il cui culto è ormai molto vivo in Toscana e non solo, come dimostrano i numerosi commentari alla ''Commedia'' che fioriscono in questo periodo.
|titolo = Cantare, serventése, capitolo
|contenuto = * Il '''cantàre''' è un genere di poema diffuso nella cultura popolare del XVI e del XV secolo. Composto per essere declamato in piazza, riprendeva romanzi e leggende medievali, attingendo in particolare alla materia epica e cavalleresca. Da non confondere con i ''cantares de gesta'', poemi epici della tradizione castigliana che riprendono le ''chanson de geste''.<ref>{{cita web|http://www.treccani.it/enciclopedia/cantare/|cantare|16 giugno 2018}}</ref>
* Il '''serventése''' (o '''sirventése''') è un componimento di argomento generalmente morale o politico. Il nome deriva dall'aggettivo "servente", nel senso di "poesia scritta da un trovatore che è servo di un signore". La forma non è fissa, anche se nel corso del Trecento si diffonde il tipo detto "caudato", composto da tre versi monorimi, detti ''copula'', seguiti da una ''coda'', cioè un verso la cui rima viene ripresa nella copula successiva. Lo schema è quindi AAAb BBBc CCCd... Non si deve confondere con il ''sirventes'' provenzale, di cui comunque riprende il nome: questo era infatti un componimento in forma di canzone che trattava argomenti politici.<ref>{{cita libro | titolo=Serventése | opera=Dizionario di retorica e stilistica | anno=1995 | editore=Utet | città=Torino }}</ref>
* Per '''capitolo''' si intende una forma metrica che conosce grande fortuna nella letteratura italiana tra XIV e XV secolo. Il capitolo ternario (o '''terza rima''') nasce come parodia della ''Commedia'' dantesca ed è composto da serie di terzine che si chiudono con un verso finale. Il capitolo quaternario deriva invece dal serventése caudato e ha per schema: ABbC CDdE EFfG...
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Anche nella seconda metà del XIV secolo Firenze rimane un centro di viva cultura dove fiorisce una letteratura in prosa e in versi più che altro di genere confessionale, fatta di riflessioni, di aneddoti e di ammonimenti. Tra gli autori degni di essere menzionati c'è il campano Antonio Pucci che ci ha lasciato, in una metrica popolare e dal lessico brioso, una vasta e varia opera che comprende sonetti, [[w:Serventese|serventesi quaternari]]serventési, capitoli e cantari che possiedono «una vena ingenua e fresca di poesia e una certa attitudine a risentire e riprodurre i semplici affetti del popolo in mezzo al quale e per il quale scriveva».<ref>{{cita libro | Natalino | Sapegno | Compendio di storia della letteratura italiana. Dalle origini alla fine del Quattrocento | 1956 | La Nuova Italia | Firenze | p=260 }}</ref> In Pucci si ravvisa l'influenza di Dante, il cui culto è ormai molto vivo in Toscana e non solo, come dimostrano i numerosi commentari alla ''Commedia'' che fioriscono in questo periodo.
 
Sempre a Firenze prende piede anche un nuovo genere di poesia per musica che si esprime nella forma della ballata, del madrigale e della caccia. A questa si accosta l'opera di Ser Giovanni Fiorentino, che è stato identificato da Pasquale Stoppelli in un giullare, Giovanni di Firenze, con il nome di "Malizia Barattone".<ref>{{cita pubblicazione | nome=Pasquale | cognome=Stoppelli | titolo=Malizia Barattone (Giovanni di Firenze) autore dell'opera Il Pecorone | rivista=Filologia e critica | volume=II |anno=1977 |mese= |pp=1-34 }}</ref> Le sue ballate rappresentano la parte più riuscita della sua opera intitolata ''Il Pecorone'', una raccolta di novelle di ispirazione boccaccesca.