Agape: la nozione di "amore" nel cristianesimo: differenze tra le versioni

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Sono diversi i termini che in lingua greca antica afferiscono a quello che noi intendiamo come "amore" nelle sue variegate sfumature: innanzitutto ''eros'' (ἔρως) inteso come "desiderio", con i suoi sinonimi o le sue sovrapposizioni, ad esempio ''himeros'' (ῖμερος) o anche ''pothos'' (πόθος) o ''philotes'' (Φιλότης)<ref>Cfr. ad esempio ''Iliade'' 23,14; 14, 494; 3, 441; ''Odissea'' 14,144; Esiodo ''Scudo'', 35 e sgg., Esiodo ''Teogonia'' 910 e sgg,; Euripide, ''Ippolito'', 525 e sgg., ''etc.''</ref> tutti lemmi che, a partire da Omero e dai lirici in poi, intendono indicare nella letteratura greca quel "desiderio" che, come una potenza esterna, agisce su quella parte del corpo fisico in cui risiedono le emozioni: il petto (στῆθος, ''stèthos''), il diaframma (φρένες, ''phrénes''), il cuore (θυμός ''thūmós''), per conquistarne le funzioni, finendo per occupare anche l'intelletto (il νοῦς, ''nous'') e potendo quindi condurre alla vera e propria ''manìa'' (μανία), all'invasamento, colui che viene da questa potenza sottomesso.
 
In ambito filosofico il tema dell' Amore è citato in Parmenide (V sec. a.C.)<ref>Fr. 13</ref> ma in Empedocle (V sec. a.C.) acquisisce un ampio impianto teologico quando il filosofo siceliota pone accanto alle quattro "radici" (ριζώματα), poste a fondamento del cosmo, e motore del loro divenire nei molteplici oggetti della realtà, due ulteriori principi: Φιλότης<ref>Φιλότης non va confuso con φιλία indicando il primo un vissuto più forte (cfr. Ivan Gobry ''Vocabolario greco della filosofia'', p.168.</ref> (Amore) e Νεῖκος (Odio, anche Discordia o Contesa); avente il primo la caratteristica di "legare", "congiungere", "avvincere" (σχεδύνην δὲ Φιλότητα «Amore che avvince»<ref>D-K 31 B 19</ref>), mentre il secondo possiede la qualità di "separare", "dividere" mediante la "contesa". Così Amore nel suo stato di completezza è lo Sfero (Σφαῖρος), immobile (μονίη) uguale a sé stesso e infinito (ἀλλ' ὅ γε πάντοθεν ἶσος 〈ἑοῖ〉 καὶ πάμπαν ἀπείρων<ref>D-K 31 B 28</ref>). Egli è Dio. Significativo è il fatto che Empedocle appelli Amore con il nome di Afrodite (Ἀφροδίτη)<ref>D-K 31 B 17, B 22, B 66, B 71</ref>, o con il suo appellativo di ''Kýpris'' (Κύπρις)<ref>D-K 31 B73, B 75, B 95, B 98.</ref>, indicando qui la «natura divina che tutto unisce e genera la vita»<ref>Werner Jaeger, ''La teologia...'' p. 215.</ref>. Tale accostamento tra Amore e Afrodite ispirò al poeta romano Lucrezio l'inno a Venere, collocato nel proemio del ''De rerum natura''. In questa opera Venere non è la deapotenza divina dell'amplesso, quanto piuttosto «l'onnipotente forza creatrice che pervade la natura e vi anima tutto l'essere», venendo poi, come nel caso di Empedocle, opposta a Marte, dio del conflitto.
 
Con Platone (V-IV sec. a.C.) si compie il fondamentale passo filosofico e teologico inerente a Eros. Nel ''Fedro''<ref>Cfr. 245-249</ref> l'anima (ψυχή, ''psyché'') umana decade dal mondo perfetto e intelligibile nel corpo fisico, durante il suo esilio prova un'irresistibile nostalgia per la condizione perduta. Nel ''Simposio''<ref>203 C-D</ref> Eros è un demone figlio di Indigenza (Πενία, ''Penia'', la madre) e di Espediente, (Πόρος, ''Poros'', il padre, Ricchezza). Povero come la madre, Eros aspira alla ricchezza del padre: Eros è quindi anche una tendenza, una ''mania'' (μανία), uno stato emotivo provocato dalla bellezza terrestre che stimola il ricordo di quella perfetta e intelligibile, celeste, da cui l'anima è caduta<ref>''Fedro'' 250 A.</ref>. Non è tuttavia la "bellezza" l'oggetto del desiderio dell'anima ma la sua fecondità<ref>''Simposio'' 206 B.</ref>. A questo punto il filosofo ateniese individua due tipi di Eros: l'amore sensuale (πάνδημος ἔρως, ''pandemos eros'') attratto dalla bellezza dei corpi provocante la fecondità fisica, e l'amore celeste (ουράνιος ἔρως, ''oruanios eros'') attratto dall'amore spirituale e provocante al fecondità spirituale<ref>''Simposio'' 180 D</ref>: «E malvagio è quell'amante che è volgare e ama il corpo più dell'anima»<ref>''Simposio'' 183 D-E</ref>. Il vero amante si eleva quindi per sei gradi di attrazione che lo conducono dall'attrazione fisica alla realizzazione spirituale<ref>''Simposio'' 210-211</ref>: amore per un corpo bello; amore per la bellezza fisica in sé; amore per la bellezza delle attività, delle condotte; amore per la bellezza del sapere; amore per la Bellezza in sé: «È questo il momento della vita, o caro Socrate -disse la straniera di Mantinea-, che più di ogni altro è degno di essere vissuto da un uomo, ossia il momento in cui un uomo contempla il Bello in sé. E se mai ti sarà possibile vederlo, ti sembrerà ben superiore all'oro, alle vesti, e anche ai bei ragazzi e ai bei fanciulli [...] Che cosa, dunque, noi dovremmo pensare -disse- se ad uno capitasse di vedere il Bello in sé assoluto, puro, non affatto contaminato da carni umane e da colori e da altre piccolezze mortali, ma potesse contemplare come forma unica lo stesso Bello divino?».