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Con il termine '''Geofilosofia''' si indica, negli studi
in "Enciclopedia filosofica", vol. 5 p. 4637. Milano, Bompiani, 2006</ref>, ossia al «tema della pluralità dei luoghi della terra a confronto con la crescente omologazione delle tecniche in un mondo globalizzato»<ref>Cfr. ''Geofilosofia'' in [http://www.treccani.it/enciclopedia/geofilosofia_%28Lessico-del-XXI-Secolo%29/ "Lessico del XXI secolo", Roma, Treccani, 2012].</ref>.
==Origine del termine e della problematica==
Il termine "geofilosofia" (dal francese: ''géophilosophie'') fu coniato dai filosofi francesi
In questa opera, segnatamente nel capitolo 4 significativamente intitolato "Géophilosophie", i due filosofi francesi osservano:
{{q|Il soggetto e l'oggetto forniscono una cattiva approssimazione del pensiero. Pensare non è un filo teso tra un soggetto e un oggetto, né una rivoluzione dell'uno intorno all'altro. Il pensare si realizza piuttosto nel rapporto fra il territorio e la terra.|
Da qui la geografia diviene un contesto impreteribile per una filosofia che ritiene doveroso portare il territorio e la terra al pensiero, in analogo modo con cui altre discipline, come la "
La prima inerisce a una lettura del filosofo tedesco di cultura ebraica
{{q|Perciò la saga delle origini del popolo eterno non comincia, come quelle dei popoli del mondo, con la narrazione della sua autoctonia. [...] il padre progenitore di Israele invece è migrato; la sua storia, com'è narrata nei libri sacri, inizia con il comando divino di uscire dalla terra della sua nascita e di recarsi in una terra che Dio gli mostrerà. E sia agli albori della sua remota antichità, sia anche più tardi, nella chiara luce della storia, il popolo diviene popolo attraverso un esilio, quello egiziano prima e quello babilonese poi. E la patria, in cui la vita di un popolo del mondo prende dimora e scava il suo solco nella terra, fin quasi a dimenticare che essere un popolo vuol dire anche qualcos'altro che non il semplice essere insediati in un paese, per il popolo eterno la patria non diviene mai sua in tal senso; a lui non e concesso incanaglirsi a casa propria, ma mantiene sempre l'indipendenza di un viaggiatore e per la sua terra è un cavaliere più fedele quando si trova fuori di essa per viaggio avventure, sospirando la patria lasciata, che non nel tempo che trascorre a casa. La terra è sua, nel senso più profondo, proprio soltanto come terra della sua nostalgia, come terra santa. E per questo, diversamente, ancora una volta, da quanto accade agli altri popoli della terra, la piena proprietà della sua terra gli viene contestata, egli stesso è soltanto uno straniero ed un meteco sulla sua terra. [...] e la santità della terra sottrae il paese alla sua spregiudicata presa di possesso, finché poteva ancora impossessarsene; essa accresce all'infinito la sua nostalgia della terra perduta e di conseguenza non gli permette di sentirsi mai più totalmente a casa propria in nessun'altra terra. Essa lo costringe a concentrare l'intero peso della sua volontà di essere popolo in un unico punto, che presso gli altri popoli del mondo è solo un punto tra gli altri, nel punto puro e semplice della vita; nella comunanza del sangue. [...] |
La seconda lettura è propria dell'opera ''Der Nomos der Erde im Völkerrecht des Jus Publicum Europaeum'' (1950) del filosofo tedesco
{{q|La terra è legata al diritto in tre modi. Essa lo ripone in sé, come ricompensa del lavoro; lo mostra in sé, come fermo confine; lo sostiene su di sé, quale atto pubblico dell’ordinamento. Il diritto è legato alla terra e riferito alla terra. Questo è ciò che il poeta intende quando, parlando della terra infinitamente giusta, la definisce ‘justissima tellus’. |
Dal che per lo Schmitt la terra è la radice del diritto, mentre lo sradicamento in atto causato dalla delocalizzazione planetaria è causa del nichilismo e della fine di quel ''ius publicum europaeum'' che era in grado di regolare e limitare i conflitti. E, come sintetizza Luisa Bonesio, per Carl Schmitt «La crisi del ''nomos'' è il prodromo dell'era attuale, di quel processo di globalizzazione che ha travolto gli ordinamenti statali e terranei, ma segna anche l'inizio di una più vasta perdita di radicamento che comporta la fine della memoria culturale, delle identità, dei paesaggi tradizionali, rimettendo tutto nel flusso indifferenziato, distruttore e omologante della tecnica, della sua forza delocalizzatrice astraente e nichilistica.»<ref>Luisa Bonesio, p. 4638.</ref>.
==Le radici nietzschiane della geofilosofia==
{{q|Cosí Nietzsche ha fondato la geo-filosofia, cercando di determinare i caratteri nazionali della filosofia francese, inglese, tedesca.|
==Note==
<references/>
==Collegamenti esterni==
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