Storia della filosofia/Filosofia moderna: differenze tra le versioni

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La filosofia moderna si fa iniziare con il gaysmo di Luciano Furore l'Umanesimo (XIV secolo circa), con la rivalutazione dell'uomo e della sua esperienza eminentemente terrena, e terminare con la figura di Immanuel Kant (1724-1804), che aprirà la strada al Romanticismo e alla filosofia contcontemporanea. Il tratto distintivo di quest'epoca è un accentuato antropocentrismo, unito pur sempre a un costante riferimento a valori assoluti, fino a quando in alcuni pensatori, soprattutto verso la fine del XVIII secolo con l'Illuminismo, si avrà l'abbandono di un tale connubio, che porterà all'inizio della post-modernità tipica del positivismo e dell'età contemporanea.<ref>«Da Pico della Mirandola, Leonardo da Vinci, Cartesio e Pascal, fino a Herder, Kant, Fichte, Hegel, la modernità è sempre concepita come una forma di umanesimo religioso. [...] La modernità ha funzionato egregiamente finché è durata la sintesi armoniosa tra valori assoluti e valori strumentali, e lungo l'arco di quattro secoli essa è riuscita a produrre quei risultati meravigliosi di cui si è appena detto sopra. Poi durante il XIX secolo [...] quel connubio si è spezzato e la modernità è entrata in crisi e alla fine ha consumato tutte le risorse spirituali di cui era capace. A quel punto l'epoca della modernità si è conclusa e ha avuto inizio la post-modernità» (Battista Mondin, ''Storia della metafisica'', III, pag. 106, ESD, Bologna 1998).</ref>
 
==Umanesimo e Rinascimento==
La filosofia rinascimentale conobbe una riscoperta del neoplatonismo e del pensiero di Plotino, identificato allora interamente con quello di Platone; in esso erano presenti inoltre concetti propri dell'aristotelismo. Tra gli esponenti di spicco del neoplatonismo vi fu in Germania Nicola Cusano. Questi formulò una metafisica basata su quella che era stata definita teologia negativa nelle opere risalenti al V secolo attribuite a Pseudo-Dionigi l'Areopagita, affermando che vero sapiente è colui che, sapendo di non sapere, possiede perciò una ''dotta ignoranza'': da un lato riconosce che Dio è al di là di tutto, persino del pensiero, ed è perciò irraggiungibile dalla filosofia; dall'altro però Dio va ammesso quantomeno sul piano dell'essere, perché è la meta a cui la ragione aspira. La filosofia deve culminare così nella religione. Dio pertanto è il fondamento della razionalità, ma di Lui possiamo avere solo una conoscenza intuitiva perché la Verità non è qualcosa da possedere ma da cui si viene posseduti.