Piccolo manuale di LibreLogo/Estratti Mindstorm: differenze tra le versioni

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==Estratti da Mindstorm di S.Papert==
===Specificazione===
In realtà il Piccolo Manuale di LibreLogo non è un manuale in senso stretto ma un testo didattico con una sua precisa pedagogia che si fonda essenzialmente sul pensiero di Seymour Papert. Deve essere chiara una cosa: '''invito calorosamente il lettore ad acquistare una copia di Mindstorms<ref>S. Papert, Mindstorms – Children, Computers and Powerful Ideas, Basic Books, 1993 (I edizione 1980). </ref> e a leggerlo, meglio se prima di usare questo manuale'''. Esiste anche una traduzione di questo libro<ref>S. Papert, Mindstorms - Bambini computers e creatività, Emme Edizioni, Milano 1984. </ref> ma è esaurita. La casa editrice - Emme Editore - è confluita da tempo in Edizioni EL, che ho provato a contattare, ma senza esito. Copie di questa versione in italiano sono disponibili in varie biblioteche di università o istituti scolastici: '''invito calorosamente coloro che possono accedere ad una di queste biblioteche di prendere il libro in prestito e leggerlo''''. Ma per tutti gli altri? Per tutti gli altri offro la traduzione di due capitoli essenziali di Mindstorms, affinchè anche coloro che non leggono l'inglese e nono trovano una biblioteca che abbia il volume in italiano possano farsi un'idea del pensiero di Papert, che io ritengo fondamentale. Se qualcuno mi vorrà suggerire una soluzione alternativa sarò ben felice di ascoltarlo.
 
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Mi permetto quindi di offrire una traduzione del capitolo Mathophobia: The Fear for Learning, da Mindstorms di Seymour Papert1. L'intento è quello di chiarire bene che la motivazione fondamentale della genesi di Logo è la questione, annosa e tutt'ora irrisolta, dell'insegnamento della matematica. È stata un'operazione per certi versi penosa, non tanto per i miei evidenti limiti in un lavoro di traduzione, quanto per l'intenso senso di frustrazione montato percorrendo lentamente e con attenzione questo scritto. Le sensazioni sono che non molto sia cambiato, dagli anni '80 ad ora, almeno in media2; che la motivazione iniziale, centrata su una seria e difficile rivisitazione del modo di introdurre i giovani alla matematica, sia finita diluita oggi nel calderone del “coding”, nella forma di una sorta di paese dei balocchi, superficialmente entusiasmante per taluni, oggetto di derisione per altri; che il messaggio di Papert, per certi versi estremo e provocatorio, senz'altro da decodificare rispetto ad un'epoca diversa, venga frainteso; che il tutto sia vanificato in sostanza dal fallimento di Logo, rimasto confinato in una minoranza di circoli sperimentali, senza avere rivoluzionato nulla, contrariamente a quelle che sembravano le legittime aspettative di Papert; che invocare la magia della matematica per introdurre i giovani in un dominio comunemente considerato “freddo”, sia un sogno che alla fin fine può concepire solo un matematico, magari un po' idealista, e quindi che solo un'arida via può svelare quella magia, e solo ai pochi in grado di percorrerla, per un motivo o per un altro, e che non possa essere infine altro che così – una cosa che io non voglio pensare ma la paura che sia un po' vera m'è venuta rileggendo Mindstorms.
Ci sono passaggi che sicuramente alcuni lettori non condivideranno, in particolare sull'inutilità di tanti esercizi ripetitivi, di troppo calcolo mnemonico ecc. Probabilmente è opportuno trovare un equilibrio fra le posizioni, di fatto tutte indimostrabili. Voglio tuttavia citare due fra i tanti episodi di cui ho ricordanza e che mi inducono a collocare il mio pensiero vicino a quello di Papert, tenuto debito conto dell'epoca e del contesto diversi. Il primo riguarda l'identificazione della matematica col far di conto. Mi trovavo, una ventina di anni fa, in una riunione composta quasi esclusivamente da matematici per un progetto di ricerca nazionale, alcuni dei quali personaggi eminenti a livello internazionale. Ad un certo punto fu necessario fare al volo un calcolo molto trito: considerato l'ammontare di finanziamenti disponibile, e verificata la nostra numerosità, quanto veniva a testa? Ebbene, ci fu un momento di panico, la risposta non scaturì pronta come qualsiasi “laico” avrebbe potuto supporre, anzi, fu presa una calcolatrice per risolvere il “problema”. Solo un episodio, ma a chiunque sia occorso di raggiungere una conoscenza abbastanza profonda di un qualche campo della matematica, è perfettamente chiaro che il pensiero matematico non ha quasi niente a che vedere con la capacità di fare operazioni aritmetiche a memoria, giusto per menzionare un aspetto della “matematica scolastica”. E l'intelligenza che occorre per comprendere il senso profondo di un pensiero matematico può, in taluni casi, essere addirittura in contrasto con quella che serve a fare calcoli aritmetici. Il secondo episodio proviene dal racconto di uno studente (geniale) al primo anno di matematica, primo giorno di lezione dell'insegnamento forse principale, analisi matematica I, tipicamente tenuto da un professore di riferimento. La prima cosa che il professore disse agli studenti fu: “Più o meno approfonditamente, chi viene dal classico, chi dallo scientifico, chi dall'istituto tecnico, avete fatto tutti una certa quantità di matematica. Ebbene, ora dimenticate tutto, la matematica è un'altra cosa.” Ed è perfettamente vero. Non sto ad annoiare il lettore con una quantità di ricordi autobiografici in sintonia con questi episodi, ma la dissonanza fra la sensazione appagante e anche estetica che vive chi improvvisamente “vede” un'idea matematica, e l'aridità della stragrande maggioranza della matematica scolastica, fa venire il mal di testa. E mi induce a rifarmi da Papert, e da Logo.
Logo ha fallito dicevamo. Più correttamente, ha fallito negli intendimenti di Papert (che io continuo a condividere), ma non nel senso di non avere lasciato traccia, tutt'altro. Ci sono a giro per il mondo innumerevoli versioni di Logo, alcune delle quali sono divenute anche importanti strumenti di indagine didattica, per esempio nel campo della simulazione dei sistemi biologici complessi. Ed è sempre da Logo che ha preso le mosse il mondo tentacolare dei linguaggi visivi a blocchi, in primo luogo Scratch, questo sì un successo. Lungi da me intavolare qualsiasi sterile diatriba sul confronto fra i due linguaggi. In un certo senso Scratch “contiene” Logo – è anche stato sviluppato dagli allievi di Papert – ma Scratch è molto più ricco di Logo, estremamente più sofisticato dal punto di vista informatico, decisamente cittadino del Web. Quello che si può fare in Logo si può fare anche in Scratch, a parte alcuni aspetti di organizzazione del sistema di cui parleremo in seguito. Il problema però è che tutta questa abbondanza, rovesciata su un mondo il quale, malgrado tutte le possibili buone intenzioni, si ritrova smaccatamente impreparato, ha finito col disperdere i proponimenti didattici che in Logo sono più nitidamente visibili e, infine, più facilmente perseguibili. Torneremo su queste riflessioni, ma alla fine del manuale, non prima di aver lasciato emergere una serie di fatti importanti. Segue quindi la traduzione del capitolo dove Papert affronta proprio il nodo dell'avvio degli studenti alla matematica, chiedendo venia al lettore per la traduzione del sottoscritto, spero non troppo incerta, e per coloro che forse si lasciano prendere un po' troppo la mano da aneliti idealistici. Ma senza utopie si vive male.