La religione greca/La religione greca nel periodo arcaico e classico/Il culto: differenze tra le versioni

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Mentre «Il luogo privilegiato in cui la divinità incontra l'uomo è il santuario.»<ref>Fritz Graf. ''Gli dèi greci e i loro santuari'', in ''Storia Einaudi dei Greci e dei Romani'', vol.3. Torino-Milano, Einaudi/Sole 24 Ore, 2008, p.352.</ref>.
 
===Il luogo sacro (ἱερόν)===
[[File:Tempio E (Selinunte).jpg|800px|center|thumb|I resti del "tempio E", dedicato alla dea Era, a Selinunte; risalente al V secolo a.C. fu in parte ristabilito per anastilòsi a metà del XX secolo.{{quote|Il luogo dove si pratica il culto degli dei è uno ''hierón'' oppure un ''neós'' e là dove erigiamo l'edificio è un ''témenos'' oppure un ''sekós''; i più precisi usano ''sekós'' per il culto degli eroi, ma i poeti parlano anche di ''sekós'' degli dei.|[[Giulio Polluce]]. ''Onomasticon'' (Ονομαστικόν) I, 6. Traduzione di Cinzia Bearzot, in ''I santuari e le loro funzioni'', pubblicato in AA.VV. ''I Greci. Il sacro e il quotidiano''. Milano, Silvana editoriale, 2004, p.57}} [[File:NAMABG-Athena Aphaia-W Pediment colored.JPG|150px|right]] [[File:Tempio di Hera a Paestum (parte terminale del tetto).jpg|250px|left]] I templi greci, come le statue che accoglievano, appaiono ai nostri occhi monocromatici ovvero dell'unico colore della materia con cui venivano innalzati. In origine, invece, templi e statue erano riccamente colorati. A sinistra la parte terminale del tetto del Tempio di Era a Paestum che conserva ancora le sue caratteristiche policrome; risalente al VI secolo a.C. si compone di un gocciolatoio in terracotta decorato con fiori di loto e palmette, accompagnati da finti gocciolatoi a testa di leone, è conservato presso il Museo archeologico nazionale di Paestum. A destra la ricostruzione di statue policrome inserite nel frontone occidentale del tempio di Atena Aphaia (Ἀφαία) a Egina (V secolo a.C.), opera conservata allo Staatliche Antikensammlungen und Glyptothek di Monaco di Baviera.]]
[[File:Sacerdote (Grecia antica)2.jpg|200px|thumb|Ritratto in marmo del volto di un sacerdote risalente al I secolo a.C., rinvenuto ad Atene. La corona di alloro che cinge il capo ne indica la funzione sacrale. Conservato al Museo archeologico nazionale di Atene.]]
[[File:AGMA Kylix femme autel (detail).jpg|200px|thumb|right|Particolare di una ''kylix'' attica a figure rosse che rappresenta una donna inginocchiata di fronte a un altare, opera di [[Chairias]] (VI secolo a.C.), conservata presso il [[Museo dell'Agorà]] di [[Atene]].<br> L'altare, collocato all'interno del santuario (''hierón''), era il luogo unitamente alla statua del dio o della dea (''ágalma''), alla quale accostandosi in qualità di supplice (ἱκέτης ''hikétes'') si poteva ottenere la protezione sacra (ἀσυλία ''asylía''). Questa protezione ineriva allo stesso spazio sacro rappresentato dallo ''hierón''. Tale spazio era immune da qualsiasi atto di violenza che potesse contaminarlo (μίασμα ''míasma'').]]
[[File:Hestia tapestry.jpg|200px|thumb|right|Hestía ''Polyolbos'' (Ἑστία Πολύολβος, Estia "Piena di grazia"). Arazzo del V secolo rinvenuto in Egitto e conservato presso la Dumbarton Oaks Collection (Washington D.C.). Estia è la dea del focolare, quello della casa e quello degli altari sacrificali. Quando improvvisamente il fuoco divampa, esso indica la presenza della divinità invocata nel sacrificio<ref name="Walter Burkert p.156">Walter Burkert. ''La religione greca'' p.156.</ref>. Il fuoco, sia quello della casa che quello degli altari posti all'interno dei templi, non va mai lasciato perire<ref name="Walter Burkert p.156"/>, successivamente la sua presenza sarà sostituita da una lampada perennemente accesa. Ad Argo quando qualcuno muore il focolare domestico viene spento, dopo il periodo di lutto e per mezzo di un sacrificio esso viene riacceso. Gli altari collocati all'esterno dei templi, modalità più diffusa, non possiedono un fuoco perenne, ma la loro accensione è uno dei momenti più importanti del rito sacrificale. Il fuoco è l'"altare odoroso"<ref>Ad es. Esiodo ''Teogonia'', 557.</ref> riservato agli dèi: a partire dall' VIII secolo a.C. sarà costume bruciare incenso o mirra (prodotti importati dalla Fenicia) sugli altari.<ref>Walter Burkert. ''La religione greca'' pp.157-8.</ref>.]]
 
L'area del culto greco, il santuario, consiste in un terreno adibito a luogo sacro indicato con il nome di τέμενος (''témenos'', anche ἱερόν ''hierón''). <br>.
Il ''témenos'' è spesso separato dal circostante terreno considerato non puro (βέβηλον, ''bébelon'') da un muro di cinta (περίβολος ''períbolos'') alto più di un uomo e interrotto da un ingresso (πρόπυλον ''propylon'').
All'interno dell'area sacra del ''témenos'' si colloca il tempio, la casa (οἶκος ''oikos'') del dio indicata con il termine ναός (''naós''), che solitamente ne accoglie l'immagine cultuale (άγαλμα, ''ágalma''). Un ''témenos'' può contenere più templi (ναοί, ''naoí''). Sempre all'interno dell'area del ''témenos'' è collocato l'altare (''bomós'', βωμός; per i sacrifici agli dèi olimpici) o la fossa sacrificale (''bóthros'', βόϑρος; per i sacrifici agli dèi ctoni,agli eroi e ai defunti) situati però all'esterno del tempio. È tuttavia sufficiente la sola presenza dell'altare, piuttosto che quella del tempio, per rendere sacro uno ''hierón''<ref name="Grecia p.784">Jules Labarbe. ''Religioni della Grecia'', in ''Dizionario delle religioni'' (a cura di Paul Poupard), p.784.</ref>.
 
Caratteristica del ''témenos'', quindi dell'area di terreno consacrata che contiene il tempio e l'altare, è la presenza o la vicinanza di acqua pura, quindi di pozzi o di sorgenti, atta dissetare uomini e bestie, nonché a purificare. Altra caratteristica di un ''témenos'' è la presenza al suo interno di un elemento assolutamente naturale, come una o più pietre grezze (''argoí líthoi'' αργοί λίθοι), un albero dedicato (ad esempio una quercia ''phegós'' φηγός, un salice ''lýgos'' λύγος osaliceo, un olivo ''kótinos'' κότινος), o un boschetto sacro (''álsos'' ἄλσος).
All'interno dell'area sacra del ''témenos'' si colloca il tempio, la casa (οἶκος ''oikos'') del dio indicata con il termine ναός (''naós''), che solitamente ne accoglie l'immagine cultuale (άγαλμα, ''ágalma''). Un ''témenos'' può contenere più templi (ναοί, ''naoí''). Sempre all'interno dell'area del ''témenos'' è collocato l'altare (''bomós'', βωμός; per i sacrifici agli dèi olimpici) o la fossa sacrificale (''bóthros'', βόϑρος; per i sacrifici agli dèi ctoni,agli eroi e ai defunti) situati però all'esterno del tempio. È tuttavia sufficiente la sola presenza dell'altare, piuttosto che quella del tempio, per rendere sacro uno ''hierón''<ref name="Grecia p.784">Jules Labarbe. ''Religioni della Grecia'', in ''Dizionario delle religioni'' (a cura di Paul Poupard), p.784.</ref>.
Alcuni santuari erano presenti all'interno di stadi e di teatri «le cui attività specifiche erano inconcepibili al di fuori di cerimonie religiose»<ref name="Grecia p.784"/>.
 
All'ingresso dei santuari erano esposte le "leggi sacre" (a volte anche sui cippi che limitavano i confini degli stessi, ὅρῳ ''hórōi'') che ne regolavano l'ingresso: le condizioni che queste leggi stabilivano inerivano alla pietà religiosa, all'onesta e alla purezza<ref>Paul Veyne. ''L'impero greco-romano'', Milano, Mondadori, 2012, p.382</ref>. La condizione di purezza poteva riguardare, ad esempio, la lontananza per un certo periodo dai rapporti sessuali, dai lutti, dal mestruo, da cibi come il maiale o le fave, il vestire abiti puliti e di colore bianco. La "pietà" riguardava l'atteggiamento interiore, un atteggiamento di vigilanza e di raccoglimento, allontanando le idee empie. La "modestia" da adottare all'interno di un santuario suggeriva di vestire abiti non sontuosi per evitare di offendere gli dèi ostentando superiorità, altrimenti poteva anche accadere che il sacerdote strappasse di dosso tali vesti<ref>Franciszek Sokolowski, ''Lois sacrées des cités grecques'' cit. in Paul Veyne ''Op.cit.'' p.383.</ref>. Anche la sobrietà nello scegliere le vittime del sacrificio era importante: «A un tessalo che portava ad Apollo dei buoi dalla corna d'oro e delle ecatombi, la Pizia dichiarò che il dio aveva preferito un uomo Ermione che, come sacrificio, aveva offerto in tutto tre dita di pasta tolta dalla sua bisaccia»<ref>Porfirio ''. Astinenza dagli animali'', II, 15-17 citato in Paul Veyne ''Op.cit.'' p.383.</ref>.
Caratteristica del ''témenos'', quindi dell'area di terreno consacrata che contiene il tempio e l'altare, è la presenza o la vicinanza di acqua pura, quindi di pozzi o di sorgenti, atta dissetare uomini e bestie, nonché a purificare. Altra caratteristica di un ''témenos'' è la presenza al suo interno di un elemento assolutamente naturale, come una o più pietre grezze (''argoí líthoi'' αργοί λίθοι), un albero dedicato (ad esempio una quercia ''phegós'' φηγός, un salice ''lýgos'' λύγος o un olivo ''kótinos'' κότινος), o un boschetto sacro (''álsos'' ἄλσος).
{{quote|Il personale dei santuari attribuiva evidentemente grande valore alla devozione di un fedele, e non avrebbe rinnegato le parole di un poeta: "Sappilo bene, se è da parte di un cuore pio che si offre agli dèi anche il più modesto sacrificio, si viene esauditi"<ref>Euripide, fr. 946 Nauck.</ref>|Paul Veyne. ''L'impero greco-romano'', Milano, Mondadori, 2012, p.383}}
 
Alcuni santuari erano presenti all'interno di stadi e di teatri «le cui attività specifiche erano inconcepibili al di fuori di cerimonie religiose»<ref name="Grecia p.784"/>.
 
All'ingresso dei santuari erano esposte le "leggi sacre" (a volte anche sui cippi che limitavano i confini degli stessi, ὅρῳ ''hórōi'') che ne regolavano l'ingresso: le condizioni che queste leggi stabilivano inerivano alla pietà religiosa, all'onesta e alla purezza<ref>Paul Veyne. ''L'impero greco-romano'', Milano, Mondadori, 2012, p.382</ref>. La condizione di purezza poteva riguardare, ad esempio, la lontananza per un certo periodo dai rapporti sessuali, dai lutti, dal mestruo, da cibi come il maiale o le fave, il vestire abiti puliti e di colore bianco. La "pietà" riguardava l'atteggiamento interiore, un atteggiamento di vigilanza e di raccoglimento, allontanando le idee empie. La "modestia" da adottare all'interno di un santuario suggeriva di vestire abiti non sontuosi per evitare di offendere gli dèi ostentando superiorità, altrimenti poteva anche accadere che il sacerdote strappasse di dosso tali vesti<ref>Franciszek Sokolowski, ''Lois sacrées des cités grecques'' cit. in Paul Veyne ''Op.cit.'' p.383.</ref>. Anche la sobrietà nello scegliere le vittime del sacrificio era importante: «A un tessalo che portava ad Apollo dei buoi dalla corna d'oro e delle ecatombi, la Pizia dichiarò che il dio aveva preferito un uomo Ermione che, come sacrificio, aveva offerto in tutto tre dita di pasta tolta dalla sua bisaccia»<ref>Porfirio ''. Astinenza dagli animali'', II, 15-17 citato in Paul Veyne ''Op.cit.'' p.383.</ref>.
{{quote|Il personale dei santuari attribuiva evidentemente grande valore alla devozione di un fedele, e non avrebbe rinnegato le parole di un poeta: "Sappilo bene, se è da parte di un cuore pio che si offre agli dèi anche il più modesto sacrificio, si viene esauditi"<ref>Euripide, fr. 946 Nauck.</ref>|Paul Veyne. ''L'impero greco-romano'', Milano, Mondadori, 2012, p.383}}
Infine l'onestà, che riguardava la condotta morale: i santuari erano interdetti ai criminali e agli assassini.