Storia della letteratura italiana/Vittorio Alfieri: differenze tra le versioni
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L'opera di Vittorio Alfieri è segnata dall'idea che la scelta della letteratura sia anche una scelta della libertà, dettata dall'aspirazione di rompere con i vincoli imposti dalla società assolutistica. La libertà è infatti ciò a cui tende l'uomo dal «forte sentire», ma per raggiungerla è necessario impegnarsi in uno scontro tragico con il potere assoluto. La politica e la critica della situazione vigente è quindi uno dei punti chiave di tutta l'opera alfieriana.
== La vita ==
[[File:VAlfieriFabre.jpg|thumb|left|Vittorio Alfieri ritratto da Francois-Xavier Fabre (1794)]]
Vittorio Amedeo Alfieri
Nel 1758
Dopo la morte dello zio, nel 1766
Tra il 1766 e il 1772, Alfieri
Tra il 1769 e il 1772, in compagnia del fidato Elia,
Il ventiquattrenne Alfieri
Nell'aprile dell'anno seguente si
Nell'ottobre del 1777 Alfieri
Dopo qualche tempo Alfieri,
Nel 1783 Alfieri
[[File:Vittorio Alfieri tomb.jpg|thumb|Firenze, Basilica di Santa Croce: il monumento funebre scolpito da Canova, raffigurante l'Italia turrita afflitta per la morte del poeta, le maschere teatrali e il medaglione con il ritratto]]
Nel 1785 portò a termine le tragedie ''Bruto primo'' e ''Bruto secondo''. Nel dicembre del 1786, l'Alfieri e la Stolberg (che sarebbe divenuta vedova due anni dopo) si trasferirono a Parigi. Nel 1789, Alfieri e la sua compagna furono testimoni della rivoluzione francese. Gli avvenimenti in un primo tempo fecero comporre al poeta l'ode ''A Parigi sbastigliato'', che poi però rinnegò: l'entusiasmo si trasformò in odio verso la rivoluzione, esplicitato nelle rime del ''Misogallo''.<ref name="Bonghi" /> Nel 1792 l'arresto di Luigi XVI e le stragi del 10 agosto convinsero la coppia a lasciare definitivamente la città per tornare, passando attraverso Belgio, Germania e Svizzera, in Toscana. Tra il 1792 e il 1796 Alfieri, a Firenze, si immerse totalmente nello studio dei classici greci traducendo Euripide, Sofocle, Eschilo, Aristofane. Proprio da queste ispirazioni nel 1798 nacque l'ultima tragedia alfieriana: l<nowiki>'</nowiki>''Alceste seconda''.▼
▲Nel 1785
Tra il 1799 e il 1801 le vittorie francesi sul suolo d'Italia costrinsero l'Alfieri a fuggire da Firenze per rifugiarsi in una villa presso Montughi. Tra il 1801 e il 1802, compose sei commedie: ''L'uno'', ''I pochi'' e ''I troppi'', tre testi sulla visione satirica dei governi dell'epoca; ''Tre veleni rimesta, avrai l'antidoto'', sulla soluzione ai mali politici (quasi un testamento politico, in cui Alfieri, "repubblicano", pare accettare una monarchia parlamentare in stile inglese), ''La finestrina'', ispirata ad Aristofane e ''Il divorzio'', in cui condanna i matrimoni nobiliari d'interesse, il cicisbeismo e tutti i cattivi costumi dell'Italia dei suoi tempi. Tra le originali iniziative di Alfieri nell'ultimo periodo, il progetto di una collana letteraria denominata "l'ordine di Omero", del quale si autonomina simbolicamente "cavaliere". Vittorio Alfieri si spense a Firenze l'8 ottobre 1803 all'età di 54 anni.▼
▲Tra il 1799 e il 1801 le vittorie francesi sul suolo d'Italia
== Il teatro ==
=== Le tragedie ===
Terminata l'Accademia militare a Torino, e dopo un lungo giovanile vagabondare in vari
La fama delle sue tragedie è legata alla centralità del rapporto tra libertà
Le
Il ''
Negli anni successivi, molti attori ottocenteschi si
Alfieri volle coniugare il melodramma, molto in auge in quel periodo, con i temi più ostici della tragedia. Nacque così l<nowiki>'</nowiki>''Abele'' (1786), un'opera che egli stesso definì
▲Alfieri volle coniugare il melodramma, molto in auge in quel periodo, con i temi più ostici della tragedia. Nacque così l'''Abele'' (1786), un'opera che egli stesso definì ''tramelogedia''.
=== Caratteri della tragedia alfieriana ===
Alfieri concepisce la tragedia come gesto assoluto, collocato nello spazio chiuso di un teatro vuoto dove sono le parole, con la loro energia, a creare le azioni e i conflitti. Il destino tragico non deriva da impedimenti politici, sociali o di altro tipo, ma piuttosto scaturisce dalla volontà degli stessi eroi alfieriani. Questa assoluta concentrazione viene ribadita dal ritmo del tempo, che viene scandito dall'alternanza del giorno e della notte. I riferimenti sul rischiaramento dell'alba e sul discendere delle tenebre non sono mai meramente descrittivi, ma evocano le forme della natura «come segni indeterminati degli impulsi che trascinano i personaggi».<ref>{{cita libro | Giulio | Ferroni | Profilo storico della letteratura italiana | 2001 | Einaudi | Torino | p=534 }}</ref> Alfieri rifiuta la razionalità tipica del classicismo settecentesco; ricorre piuttosto la spezzatura e la difficoltà, alla ricerca di un linguaggio classico assoluto e tutto concentrato in sé.
Lo schema ricorrente nella tragedia alfieriana può essere individuato nella contrapposizione tra eroi positivi ed eroi negativi. Mentre i primi incarnano virtù come giustizia o la dolcezza, gli eroi negativi sono mossi dalla brama di potere e calpestano ogni valore. Nelle tragedie politiche lo scontro è tra l'uomo libero e il tiranno, a cui si aggiungono vari personaggi secondari. Tra questi non mancano i collaboratori dei tiranni, esseri meschini che contribuiscono alla realizzazione di crudeltà. Il tiranno e l'uomo libero, però, si staccano per la loro grandezza sulle altre figure presenti nel dramma. Spesso inoltre i due personaggi principali possono essere legati da vincoli familiari, un rapporto che contribuisce a complicare la vicenda. Si potrebbe vedere in questo un elemento autobiografico: gli eventi sanguinosi che travolgono le famiglie nel finale delle tragedie potrebbero quindi essere interpretati come un segnale di malessere. In questo senso, le tragedie potrebbero essere considerate come frammenti di un'unica grande opera autobiografica, un'ipotesi che viene giustificata con l'attenzione messa dallo stesso Alfieri nell'ordinare i suoi drammi in un corpus unitario.<ref>{{cita libro | Giulio | Ferroni | Profilo storico della letteratura italiana | 2001 | Einaudi | Torino | pp=534-536 }}</ref>
=== Le commedie ===
Alfieri
{{quote|Pigliai anche a tradurre il Terenzio da capo; aggiuntovi lo scopo di tentare su quel purissimo modello di crearmi un verso comico, per poi scrivere (come da gran tempo disegnava) delle commedie di mio; e comparire anche in quelle con uno stile originale e ben mio, come mi pareva di aver fatto nelle tragedie.|da ''Vita''
I giudizi sulle commedie
Lo stesso Novati riporta altri giudizi ancora più severi, come quello di Vincenzo Monti, che giudicava «insopportabili» tutte le opere postume di Alfieri, o di Ugo Foscolo, che
== Scritti politici ==
=== Le prose politiche ===
L'odio per la tirannia e l'amore
* ''Della tirannide'' (1777-1790), di tema interamente politico, scritto durante il suo soggiorno a Siena dove conobbe il suo più grande amico, il mercante Francesco Gori Gandellini. L'Alfieri fa una disamina del dispotismo, considerandolo la rappresentazione più mostruosa di tutti i tipi di governo. La tirannide è basata, per Alfieri, sul sovrano, sull'esercito, sulla Chiesa che costituiscono le basi di questo Stato.
* ''Del principe e delle lettere'' (1778-1786), di tema politico-letterario, dove l'Alfieri giunge alla conclusione che il binomio monarchia e lettere sia dannoso per lo sviluppo di queste ultime. Il poeta prende in esame anche le opere di Virgilio, Orazio, [[
* ''Panegirico di Plinio a Trajano'' (1787), personale rivisitazione dell'omonimo panegirico di Plinio il Giovane (''Panegirico a Traiano'').
* ''La Virtù sconosciuta'' (1789), il poeta in un dialogo immaginario con l'amico defunto Gori Gandellini, lo paragona a fulgido esempio di virtù cittadina ed indipendenza morale.
=== Le odi politiche ===
''L'Etruria vendicata'', poema in quattro canti e in ottave progettato nel maggio 1778, inizialmente con il titolo ''Il Tirannicidio'', narra l'uccisione di Alessandro de' Medici
=== L'odio antirivoluzionario: il ''Misogallo'' ===
[[File:Charles Thévenin - La prise de la Bastille.jpg|thumb|Charles Thévenin, ''La presa della Bastiglia'', 1793. Musée Carnavalet, Parigi]]
Il ''Misogallo'' (dal greco ''miseìn'' che significa odiare, e "gallo" che sta
È una feroce critica
Alfieri è quindi un controrivoluzionario e un aristocratico (anche se la "nobiltà" non è per lui "di nascita", prova ne sia il disprezzo per la sua stessa classe sociale, ma quella dell<nowiki>'
Alfieri fu contrario alla pubblicazione che fu fatta in Francia dei suoi trattati giovanili in cui esprimeva le sue idee anti-tiranniche in maniera decisa, lasciando trasparire anche un certo anticlericalismo, come il trattato ''Della tirannide''; tuttavia anche dopo la pubblicazione del ''Misogallo'' non ci fu in lui un rinnegamento di queste posizioni, quanto la scelta del male minore, ovvero il sostegno verso chiunque si opponesse al governo rivoluzionario, che lo faceva inorridire per lo spargimento di sangue del regime del Terrore - sia contro nobili e antirivoluzionari, che contro rivoluzionari non club dei giacobini (i girondini) - e per aver portato la guerra in Italia; secondo Mario Rapisardi<ref>M. Rapisardi, ''La religione di Vittorio Alfieri''</ref> egli, che non era anti-riformista (purché il rinnovamento venisse dall'alto, dal legislatore, e non dalla pressione e dalla violenza popolare), aveva paura di essere confuso con i "demagoghi francesi", che incitavano la "plebe". Così si espresse nel trattato sopracitato a proposito della religione cattolica, che egli giudica un mezzo di controllo sul popolo meno istruito (anche se, in fondo, dannoso anche per l'attitudine "da schiavo" che induce in esso), poco valido per un letterato o un filosofo<ref>''ibidem''</ref>: "Il Papa, la Inquisizione, il Purgatorio, il sacramento della Confessione, il Matrimonio indissolubile per Sacramento e il Celibato dei preti, sono queste le sei anella della sacra catena" e "un popolo che rimane cattolico deve necessariamente, per via del papa e della Inquisizione, divenire ignorantissimo, servissimo e stupidissimo".<ref>V. Alfieri, ''Della tirannide'', pag. 76 e seguenti</ref>
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In una lettera all'abate di Caluso del 1802, Alfieri ribadisce privatamente le sue tesi giovanili (che quasi rinnegava invece pubblicamente, nel ''Misogallo'' e nelle ''Satire'')<ref>M. Rapisardi, ''ibidem''</ref>: "Il motore di codesti libri fu l'impeto di gioventù, l'odio dell'oppressione, l'amore del vero o di quello che io credeva tale. Lo scopo fu la gloria di dire il vero, di dirlo con forza e novità, di dirlo credendo giovare.(...) Il raziocinio di codesti libri mi pare incatenato e dedotto, e quanto più v'ho pensato dopo, tanto più sempre mi è sembrato verace e fondato; e interrogato su tali punti tornerei sempre a dire lo stesso, ovvero tacerei.(...) In due parole, io ''approvo solennemente tutto quanto quasi è in quei libri''; ma condanno senza misericordia chi li ha fatti e i libri medesimi, perché non c'era bisogno che ci fossero, e il danno può essere maggiore assai dell'utile".<ref>Lettera all'abate di Caluso del gennaio 1802</ref>
===
=== Le satire ===▼
Pensate fin dal 1777 e riprese più volte nell'arco della sua vita, sono componimenti sui "mali" che afflissero l'epoca del poeta. Sono diciassette:
* ''Prologo: Il cavalier servente veterano'',
* ''I re'', sulla monarchia assoluta.
* ''I grandi'', in cui sono presi di mira i grandi di corte.
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* ''La sesquiplebe'', che tratta della ricca borghesia cittadina.
* ''Le leggi'', con una critica sul poco rispetto delle leggi in Italia.
* ''L'educazione'', sull'istruzione.
* ''L'antireligioneria'', ispirata alle idee di Machiavelli, sulla religione come ''instrumentum regni'' (ovvero mezzo politico e non spirituale), è una caustica e durissima condanna di Voltaire e dei suoi epigoni, che nell'aver empiamente dileggiato e superficializzato il cristianesimo e la religione in generale, hanno di fatto gettate le basi per i disastri della rivoluzione francese. Secondo Alfieri è molto pericoloso distruggere un sistema di pensiero religioso, senza prima averlo sostituito con uno nuovo e altrettanto capace di essere compreso dal popolo, verso cui l'autore non nutre alcuna fiducia, e funzionare da garante di ordine.<ref>Mario Rapisardi, ''La religione di Vittorio Alfieri''</ref> In realtà, cosa che Alfieri sembra qua ignorare, è lo stesso Voltaire, bersagliato dalla satira, che ritiene che la religione possa, quando non è dannosa, fare da strumento di ordine per il popolo.<ref>Voltaire, ''Trattato sulla tolleranza'', cap XX, "Se sia utile mantenere il popolo nella superstizione"</ref>
* ''I pedanti'', contro la critica letteraria.
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* ''Le donne'', in cui l'Alfieri considera il "gentil sesso" sostanzialmente migliore degli uomini, ma imitatore dei loro difetti.
{{vedi source|Rime (Alfieri)}}
[[File:Ritratto di Alfieri François-Xavier Fabre.jpg|thumb|Vittorio Alfieri in un altro ritratto di François Xavier Pascal Fabre]]▼
Alfieri
Le Rime di Vittorio Alfieri sono circa 400 e hanno un carattere fortemente autobiografico:
Le ''Rime'' si ispirano soprattutto alla poesia di Francesco Petrarca sia nelle situazioni sentimentali sia nel ricorrere di parole, formule e frasi, spesso tratte dal Canzoniere. Ma Alfieri, diversamente dal petrarchismo settecentesco degli arcadi, trae da Petrarca l'immagine di un io diviso tra forze opposte, portando il dissidio interiore ad una tensione violenta ed esasperata. Alfieri poi si ispira al linguaggio musicale e melodico dell'autore del Canzoniere, ma solo esteriormente: infatti il suo è un linguaggio aspro, antimusicale, caratterizzato da un ritmo spezzato da pause, inversioni ardite, violente inarcature degli enjambements, scontri di consonanti e formule concise e lapidarie. Un linguaggio simile a quello delle tragedie dunque, che deve rendere lo stato d'animo inquieto e lacerato del poeta: infatti la poesia per Alfieri deve puntare all'intensificazione espressiva delle proprie angosce e sofferenze.<ref name="Alfieri e Petrarca"/>
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Alfieri poi delinea un ritratto idealizzato di sé: difatti si presenta come letterato-eroe e negli atteggiamenti titanici e fieri dei protagonisti delle sue tragedie. È l'ideale di un uomo in cui domina più il sentimento (il "Forte sentire") che la ragione.<ref>[https://docs.google.com/document/d/1ONkDOkWdKX2kDiaKK-gxvcL3bKR1nW53hXiVNbT_77M/edit?pli=1 Vittorio Alfieri, ''Il forte sentire e la tragedia'']</ref>
Compare poi nelle Rime la tematica pessimistica che costituisce il limite della tensione eroica di Alfieri. Sempre presenti sono in lui "Ira" e "Malinconia", da una parte il generoso sdegno di un'anima superiore verso una realtà vile, dall'altra un senso di disillusione e di vuoto, di noia, di vanità. La morte diventa dunque un tema ricorrente e viene vista dal poeta come l'unica possibilità di liberazione e anche come l'ultima prova davanti alla quale bisogna confermare la saldezza magnanima dell'io. Questo pessimismo porta quindi all'amore per i paesaggi aspri, selvaggi, tempestosi e orridi, ma anche deserti e silenziosi: l'io del poeta vuole infatti intorno una natura simile a sé, una proiezione del proprio animo e questo è un motivo già tipicamente romantico.<ref name="
=== La ''Vita scritta da esso'' ===
▲[[File:Ritratto di Alfieri François-Xavier Fabre.jpg|thumb|Vittorio Alfieri in un altro ritratto di François Xavier Pascal Fabre]]
Alfieri cominciò a scrivere la propria biografia (la "Vita scritta da esso" ) dopo la pubblicazione delle sue tragedie. La prima parte fu scritta tra il 3 aprile ed il 27 maggio 1790 e giunge fino a quell'anno, la seconda fu scritta tra il 4 maggio ed il 14 maggio 1803 (anno della sua morte).<ref name="ReferenceC">Autori Vari, I classici del pensiero italiano, biblioteca Treccani 2006 Trebaseleghe (Padova)</ref>
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