Dietro il coding/A che serve il coding?: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Nessun oggetto della modifica
Riga 58:
 
Questo passaggio dell’articolo è, a mio avviso, il più interessante. Senza la capacità di programmare, i bambini diventeranno passivi consumatori etc etc. Con la capacità di programmare invece saranno vaccinati e potranno interagire significativamente con il mondo virtuale che li circonda.
 
DaccordoD'accordo. Ma va definito cosa intendiamo per “capacità di programmare”. Un’attitudine? Un’esperienza, anche limitata? Una competenza specifica e verificata da terzi?
 
Stiamo parlando della buona abitudine di leggere il codice sorgente di ogni programma che si utilizza? Della curiosità verso ogni nuova soluzione che viene presentata, curiosità che non si contenta di un’etichetta o di una descrizione ma vuole arrivare a capire come funziona oggi e come funzionerà domani? O della capacità di progettare, sviluppare e manutenere soluzioni alternative?
 
Sono “capacità” completamente diverse. Si raggiungono, e si perdono, in tempi diversi e in modi diversi. Alcune di queste non sono generiche, ma possibili solo in connessione con certi contesti tecnologici e legali, primo fra tutti quello dell’apertura del codice sorgente.
 
La seconda cosa da notare è che la possibilità di interagire pienamente con la realtà (virtuale, nel senso dell’insieme di dispositivi, reti, server, …) non sembra dipendere solo da queste competenze. Anche qui, andrebbe forse ricordato che, oggi molto più di ieri, ognuno di noi ha comprato già preinstallati o consentito a installare sui propri dispositivi digitali – pc, tablet, smartphone, televisori, frigoriferi,… – centinaia di programmi del cui funzionamento effettivo non possiamo sapere quasi nulla, se non quello che esplicitamente ci dicono i produttori.
 
Il codice sorgente di questi programmi (che a volte chiamiamo “applicazioni” o amichevolmente “app” per farceli sembrare meno complessi e e pericolosi) non è disponibile per la lettura o la modifica. Sapere programmare non aiuta minimamente a evitare che raccolgano i nostri dati e ne facciano un uso non previsto (da noi). Sapere programmare non ci permette di evitare di usarli: alzi la mano chi si può permettere di non avere un account gmail o una pagina FB. Senz’altro non ci aiuta a modificarli, a impedire che svolgano azioni se non illecite, almeno non gradite.
 
Interagire significativamente con gli altri tramite app e reti, ricevere e fornire dati – filtrandoli – richiede delle competenze, che oggi fanno sicuramente parte di quelle di base di ogni cittadino. Ma allora non è sufficiente un pomeriggio di manipolazione di Scratch, serve anche qualche informazione in più. Informazione che in effetti né la scuola dell’obbligo, né quella superiore, né l’università consegnano. Occorre parlare anche di altro: di codice aperto e licenze, di privacy, di diritti, di mercato dei dati, di equilibrio tra gratuità e sostenibilità. C’è da affrontare un discorso vasto sul ruolo egemone di Google e di Facebook, sul diritto all’anonimato o all’oblio.
 
Niente che non si possa spiegare ai bambini, con qualche attenzione, ma vorrei almeno vedere qualche passo in questa direzione critica.