Armi avanzate della Seconda Guerra Mondiale/Italia 5: differenze tra le versioni

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===Fanteria e artiglieria===
[[Immagine:Obice-de-75-18-M35-Saumur.0004x08e.jpg|300px|right|thumb|Il pezzo Mod. 34 da montagna]]
Quanto ai materiali di artiglieria e fanteria, c'erano armi di diverse generazioni. Una era quella delle pistole e mitra Beretta, armi molto apprezzate. La mancata distribuzione ai reparti di queste armi è sintomatica delle deficenze organizzative e concettuali del regio esercito, in particolare il Moschetto Automatico Beretta, modello 1938 (Mab '38) fu acquistato sin dal suo apparire dalla PAI (polizia dell'africa italiana) mentre iniziò ad essere diffuso (ed in piccole quantità, partendo dai sottufficiali) tra paracadutisti e marò solo verso l'inizio del 1942, ancora al principio del 1943 pochissimi soldati italiani avevano visto questo, particolarmente ben riuscito, ibrido tra una pistola mitragliatrice calibro 9 para e un moschetto. Il Mab '38 era comunque un'arma costosa e lenta da produrre, solo tra il 1942 e il 1943 iniziarono ad essere disponibili versioni via via semplificate. Un'altra pistola mitragliatrice di ottima qualità era la FNAB '43, che fu utilizzata quasi esclusivamente dopo l'8 settembre, dalla repubblica sociale (X Mas e Paracadutisti), dai partigiani (come preda) e da alcuni reaprti d'elitè tedeschi operanti in Italia; era una pistola mitragliatrice vera, simile alle migliori realizzazioni sovietiche in materia, ma lenta e costosa da produrre poteva portare un complesso sistema di calcio ribaltabile, e risultava notevolmente più precisa e dalla buona gittata di altre armi simili. Sia il Mab '38 che la FNAB 43 sono accreditate di gittate utili attorno ai 200 metri, ma, con precisione nulla, utilizzate anche per distanze superiori, fino a 400 metri, un risultato eclatante per armi di calibro 9 mm. Solo dopo l'8 settembre fu prodotta (ed in quantità ridottissime) un'altra pistola mitragliatrice, con funzione di arma di difesa per carristi ed artiglieri, la TZ '45, era piccola e compatta, facile da produrre, dotata di una sicura d'avanguardia e affidabile, oltre che facilmente occultabile e leggera; era anche molto meno potente ed affidabile delle altre realizzazioni in questo settore di armi, con una gittata utile nel tiro preciso di poche decine di metri ed una fastidiosa tendenza all'inceppamento se surriscaldata o utilizzata per sparare lunghe e reiterate raffiche.
 
Meno validi erano gli oramai vecchiotti fucili Mod. 91, adottati molti anni prima, quando erano un progetto d'avanguardia, ma oramai piuttosto obsoleti, nel 1938 si tentò di sotituirlo con una versione modernizzata con la cartuccia da 7,35 anziché 6,5 mm, per problemi di standardizzazione si tornò rapideamente al 6,5 mm a guerra iniziata (nel '39 per la precisione, quando cioè la guerra era già iniziata ma l'Italia era in non belligeranza). Anche i reparti (sopratutto Alpini)che usarono il 7,35 in azione se lo videro togliere per ritornare al vecchio 6,5, di cui vi erano enormi depositi; questo creò malumori e lamentele, perché i soldati del "Monte Cervino" avevano apprezzato il nuovo calibro, che rendeva il moschetto leggermente più preciso e, sopratutto, aumentava il potere d'arresto e la letalità dell'arma. Nel 1943 il regio esercito, anche grazie alle forniture alleate, convertì parte dei suoi moschetti '91/38 per accettare l'ottimo 7,7 mm britannico (che, con una complicazione tipica di quegli anni, era anche il calibro standard della Regia Areonautica sin dagli anni '20), fu un esperimento di breve durata (e in retrospettiva uno spreco di denari ed energie, comprensibile solo per l'attaccamento ideologico-sentimentale ad un'arma autarchica, da tutti deprecata ma con cui veniva identificato il fante italiano), armi più moderne erano già in corso di fornitura direttamente dagli alleati anglo-americani.