Storia della letteratura italiana/Cesare Beccaria: differenze tra le versioni

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[[File:DSC02897 - Milano - Piazza Beccaria - Monumento a Cesare Beccaria - Foto di Giovanni Dall'Orto - 29-1-2007.jpg|thumb|right|Giuseppe Grandi, monumento a Cesare Beccaria, 1871. Milano]]
 
Beccaria compie poi controvoglia un viaggio a Parigi, solo dietro l'insistenza dei fratelli Verri e dei filosofi francesi desiderosi di conoscerlo. È accolto per breve tempo nel circolo del barone d'Holbach. La sua giustificata gelosia per la moglie lontana e il suo carattere ombroso e scostante, tuttavia, lo fanno tornare appena possibile a Milano, lasciando solo il suo accompagnatore Alessandro Verri a proseguire il viaggio verso l'Inghilterra.<ref name="Pirrotta" />
 
Tornato a Milano per restarci, diventa professore di Scienze Camerali (economia politica) e comincia a progettare una grande opera sulla convivenza umana, mai completata. Entrato nell'amministrazione austriaca nel 1771, è nominato membro del Supremo Consiglio dell'Economia, carica che ricoprirà per oltre vent'anni, contribuendo alle riforme asburgiche sotto Maria Teresa e Giuseppe II. Per questo riceve critiche dagli amici (tra cui Pietro Verri), che gli rimproverano di essere diventato un burocrate<ref>C. e M. Sambugar, D. Ermini, G. Salà, ''op, cit.''.</ref>.
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La natura umana si svolge in una dimensione edonistico-pulsionistica, ovvero sia i singoli, sia la moltitudine, agiscono seguendo i loro sensi. L'uomo però è una macchina intelligente capace di razionalizzare le pulsioni, in modo da consentire la vita in società; infatti certamente ogni uomo pretende di essere autonomo e insindacabile nelle sue decisioni, ma si rende conto della convenienza della vita sociale. Ma la conflittualità rimane e quindi bisogna impedire che il cittadino venga sedotto dall'idea di infrangere la legge al fine di perseguire il proprio utile a tutti i costi, pertanto il legislatore, da «abile architetto», deve predisporre sanzioni e premi in funzione preventiva; è necessario tenere sotto controllo i «fluidi», inibendo le pulsioni antisociali. Tuttavia Beccaria sostiene che la sanzione deve essere sì idonea a garantire la difesa sociale, ma al contempo mitigata e rispettosa della persona umana.
 
La pena di morte, «una guerra della nazione contro un cittadino», è inaccettabile perché il bene della vita è indisponibile, quindi sottratto alla volontà del singolo e dello Stato. Essa non svolge un'adeguata azione intimidatoria poiché lo stesso criminale teme meno la morte di un ergastolo perpetuo o di una miserabile schiavitù, si tratta di una sofferenza definitiva contro una sofferenza reiterata. Anche se la pena assumesse un aspetto deterrente, essa apparirebbe uno strumento troppo dispendioso in quanto dovrebbe essere irrogata spesso per esercitare la dovuta impressione sugli uomini. Suggerisce invece di sostituirla con i lavori forzati, in modo che il reo, ridotto a «bestia di servigio», fornirà esempio duraturo ed incisivo dell'efficacia della legge, risarcendo la società dai danni provocati; e, così facendo, nel contempo si salvaguarda il valore della vita.
 
La tortura, «l'infame crociuolo della verità», viene confutata da Beccaria per vari motivi: viola la presunzione di innocenza, dato che un uomo non può considerarsi reo fino alla sentenza del giudice; consiste in un'afflizione e pertanto è inaccettabile; non è operativa in quanto induce a false confessioni; è da rifiutarsi anche per motivi di umanità, poiché l'innocente è posto in condizioni peggiori del colpevole; non porta all'emenda del soggetto, né lo purifica agli occhi della collettività. Ammette la tortura solo nel caso di testimone reticente, cioè a chi durante il processo si ostini a non rispondere alle domande; in questo caso la tortura trova una sua giustificazione.
 
Per ottenere un'approssimativa proporzionalità pena-delitto, bisogna tener conto del danno subito dalla collettività, del vantaggio che comporta la commissione di tale reato e della tendenza dei cittadini a commettere tale reato. Non dev'essere quindi una violenza gratuita, ma dev'essere invece essenzialmente pubblica, pronta, necessaria, la minima delle possibili nelle date circostanze, proporzionata ai delitti, dettata dalle leggi. La pena è oltretutto una ''extrema ratio'', infatti si dovrebbe evitare di ricorrere ad essa quando si hanno efficaci strumenti di controllo sociale. Per questo è importante attuare degli espedienti di “prevenzione indiretta”, come ad esempio: un sistema ordinato della magistratura, la diffusione dell'istruzione nella società, il diritto premiale, una riforma economico-sociale che migliori le condizioni di vita delle classi sociali disagiate.
 
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