Storia della letteratura italiana/Giacomo Leopardi: differenze tra le versioni

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== La vita ==
[[File:Leopardi, Giacomo (1798-1837) - ritr. A Ferrazzi, Recanati, casa Leopardi.jpg|300px|right|thumb|Il più celebre ritratto di Leopardi, ad opera di A. Ferrazzi, 1820 circa]]
 
=== Infanzia e adolescenza ===
Il conte Giacomo Leopardi nacque il 29 giugno 1798 a [[w:Recanati|Recanati]] (allora parte dello [[w:Stato della Chiesa|Stato pontificio]]), primogenito del conte Monaldo e di Adelaide Antici. La famiglia Leopardi, nonostante potesse esseresi allorapotesse annoverataannoverare tra le più cospicue della nobiltà terriera locale, versava in cattive condizioni patrimoniali, cheprecarie. imponevanoPer l'osservanzamantenere dialmeno unail rigidadecoro economiaesteriore perche conservare almenoimponeva il decoroloro esteriorerango, deli rangoLeopardi nobiliareerano quindi costretti a osservare una rigida economia. Il padre era un uomo di vastacolto, ma la sua era una cultura accademica e stantìa; cultura,professava nonché diinoltre idee filoclericali e aveva orientamenti politici reazionari e ostili alle idee diffuse dalla Rivoluzionerivoluzione Francesefrancese e dalle campagne napoleoniche;. laLa madre era una donna didalla morale austera e dal carattere autoritario e arcigno. Giacomo crebbe dunque in un ambiente bigotto e conservatore, dove la vita familiare si svolgeva senza confidenze né affetto,. cheQuesto in un primo periodo influenzò le sue idee e i suoi orientamenti.
 
La prima istruzione di Giacomo fu compiuta ada opera di precettori ecclesiastici. Tuttavia, daida qualiessi tuttavianon intornoebbe aipiù diecinulla annida d'etàimparare nonquando ebbeaveva già piùintorno nullaai dadieci imparareanni d'età. Eccezionalmente portato per lo studio, continuò la propria formazione in modo autonomo chiudendosi nella biblioteca paterna per "sette anni di studio matto e disperatissimo", che contribuirono al deterioramento della sua salute già fragile. In breve tempo imparò il latino, il greco e l'ebraico; realizzò lavori filologici che stupirono i dotti suoi contemporanei; compose opere erudite, quali la ''Storia dell'astronomia'' (1813) e il ''Saggio sopra gli errori popolari degli antichi'' (1815); tradusse classici latini e greci come le ''Odi'' di Orazio, la ''Batracomiomachia'' pseudo-omerica, il Iprimo libro dell<nowiki>' </nowiki>''Odissea'', il IIsecondo dell<nowiki>' </nowiki>''Eneide'' e, infine, scrisse un'ingente quantità dimoltissimi componimenti poetici (odi, sonetti, canzonette, tragedie). Da questa produzione, sia pure sbalorditiva per un adolescente, emerge comunque una cultura superata, imbevuta di modelli [[L'Arcadia (superiori)|arcadico]]-illuministici e di un'erudizione arida e accademica. Gli orientamenti politici leopardiani, poi, sono ancora ricalcati su quelli del padre, come dimostra l'orazione ''Agli Italiani per la liberazione del Piceno'' (1815).
Il conte Giacomo Leopardi nacque il 29 giugno 1798 a [[w:Recanati|Recanati]] (allora parte dello [[w:Stato della Chiesa|Stato pontificio]]), primogenito del conte Monaldo e di Adelaide Antici.
La famiglia Leopardi, nonostante potesse essere allora annoverata tra le più cospicue della nobiltà terriera locale, versava in cattive condizioni patrimoniali, che imponevano l'osservanza di una rigida economia per conservare almeno il decoro esteriore del rango nobiliare. Il padre era uomo di vasta ma accademica e stantìa cultura, nonché di idee filoclericali e orientamenti politici reazionari e ostili alle idee diffuse dalla Rivoluzione Francese e dalle campagne napoleoniche; la madre era donna di morale austera e carattere autoritario e arcigno. Giacomo crebbe dunque in un ambiente bigotto e conservatore, dove la vita familiare si svolgeva senza confidenze né affetto, che in un primo periodo influenzò le sue idee e i suoi orientamenti.
La prima istruzione di Giacomo fu compiuta ad opera di precettori ecclesiastici, dai quali tuttavia intorno ai dieci anni d'età non ebbe già più nulla da imparare. Eccezionalmente portato per lo studio, continuò la propria formazione in modo autonomo chiudendosi nella biblioteca paterna per "sette anni di studio matto e disperatissimo", che contribuirono al deterioramento della sua salute già fragile. In breve tempo imparò il latino, il greco e l'ebraico; realizzò lavori filologici che stupirono i dotti suoi contemporanei; compose opere erudite, quali la ''Storia dell'astronomia'' (1813) e il ''Saggio sopra gli errori popolari degli antichi'' (1815); tradusse classici latini e greci come le ''Odi'' di Orazio, la ''Batracomiomachia'' pseudo-omerica, il I libro dell' ''Odissea'', il II dell' ''Eneide'' e, infine, scrisse un'ingente quantità di componimenti poetici (odi, sonetti, canzonette, tragedie).
Da questa produzione, sia pure sbalorditiva per un adolescente, emerge comunque una cultura superata, imbevuta di modelli [[L'Arcadia (superiori)|arcadico]]-illuministici e di un'erudizione arida e accademica. Gli orientamenti politici leopardiani, poi, sono ancora ricalcati su quelli del padre, come dimostra l'orazione ''Agli Italiani per la liberazione del Piceno'' (1815).
 
=== "Dall'erudizione al bello" e dal "bello" al "vero" ===
Tra il 1815 e il 1816 la cultura di Leopardi subì una conversione, come egli stesso la definì, "dall'erudizione al bello". Abbandonò infatti gli aridi scrupoli filologici per passare alla lettura appassionata di poeti come Omero, Virgilio e Dante tra gli antichi, Rousseau, Alfieri (in particolare la ''Vita''), Goethe (il ''Werther'') e Foscolo (l<nowiki>' </nowiki>''Ortis'') tra i moderni. Tramite la lettura della de Staël scoprì la cultura romantica (nei confronti della quale nutriva comunque forti riserve). Il giovane Leopardi trovò inoltre la confidenza affettuosa che in famiglia mancava nell'amicizia con l'intellettuale di orientamento classicistico [[w:Pietro Giordani|Pietro Giordani]], documentata da un folto carteggio. Nell'estate del 1817 inizia poi a raccogliere gli appunti che costituiranno lo ''Zibaldone di pensieri''.
 
L'atmosfera chiusa di Recanati e del palazzo paterno gli riusciva sempre meno sopportabile, al punto da indurlo a tentare la fuga da casa nell'estate del 1819 (tentativo che venne scoperto e sventato). Lo stato d'animo che ne conseguì, anche dovuto a un'infermitàuna malattia agli occhi che non gli permetteva di leggere, lo gettò in uno stato di "nera, orrenda e barbara malinconia". Gli apparve allora chiara la nullità di tutte le cose, che sarà il nucleo del suo sistema marcatamente pessimistico. È questa crisi a segnare il passaggio definito da lui stesso dal "bello" al "vero", dalla poesia immaginativa alla filosofia e a una poesia intrisa di meditazione. Il 1819 fu anche un anno di intensa sperimentazione: molti filoni furono tentati e altrettanti abbandonati, ma con l<nowiki>' </nowiki>''Infinito'' s'si inaugura la stagione più originale della poesia leopardiana. Diventano più fitte anche le note dello ''Zibaldone'', il suo diario filosofico e letterario. Negli anni successivi (1820-21) scrisse altri idilli e canzoni, la prima delle quali fu ''All'Italia'' (1818).
Tra il 1815 e il 1816 la cultura di Leopardi subì una conversione, come egli stesso la definì, "dall'erudizione al bello". Abbandonò infatti gli aridi scrupoli filologici per passare alla lettura appassionata di poeti come Omero, Virgilio e Dante tra gli antichi, Rousseau, Alfieri (in particolare la ''Vita''), Goethe (il ''Werther'') e Foscolo (l' ''Ortis'') tra i moderni. Tramite la lettura della de Staël scoprì la cultura romantica (nei confronti della quale nutriva comunque forti riserve). Il giovane Leopardi trovò inoltre la confidenza affettuosa che in famiglia mancava nell'amicizia con l'intellettuale di orientamento classicistico [[w:Pietro Giordani|Pietro Giordani]], documentata da un folto carteggio.
L'atmosfera chiusa di Recanati e del palazzo paterno gli riusciva sempre meno sopportabile, al punto da indurlo a tentare la fuga da casa nell'estate del 1819 (tentativo che venne scoperto e sventato). Lo stato d'animo che ne conseguì, anche dovuto a un'infermità agli occhi che non gli permetteva di leggere, lo gettò in uno stato di "nera, orrenda e barbara malinconia". Gli apparve allora chiara la nullità di tutte le cose, nucleo del suo sistema marcatamente pessimistico. È questa crisi a segnare il passaggio definito da lui stesso dal "bello" al "vero", dalla poesia immaginativa alla filosofia e a una poesia intrisa di meditazione. Il 1819 fu anche un anno di intensa sperimentazione: molti filoni furono tentati e altrettanti abbandonati, ma con l' ''Infinito'' s'inaugura la stagione più originale della poesia leopardiana. Diventano più fitte anche le note dello ''Zibaldone'', il suo diario filosofico e letterario. Negli anni successivi (1820-21) scrisse altri idilli e canzoni, la prima delle quali fu ''All'Italia'' (1818).
 
=== Fuori da Recanati ===
Nel 1822 Leopardi ebbepoté finalmente la possibilità di uscire dal paese natìo (una "tomba de' vivi"). e Si recò a Roma, ospite dello zio Carlo Antici,. ma benBen presto però rimase pesantemente deluso dagli ambienti letterari romani, che gli parvero vuoti e meschini. L'anno dopo rientrò a Recanati, dove si diede alla composizione delle ''Operette morali'', espressione del suo pensiero pessimistico. L'aridità di questo periodo non gli consentiva di comporre versi, perciò si dedicò alla prosa, all'investigazione dell' "acerbo vero".
 
Nel 1825 gli si presentò l'occasione di vivere del proprio lavoro intellettuale cessando di dipendere dalla famiglia: l'editore milanese Stella gli offrì un assegno fisso per una serie di collaborazioni (un'edizione di Cicerone, un commento ala Petrarca, un'antologia della poesia e una della prosa). Soggiornò così a Milano e a Bologna, per passare a Firenze nel 1827, dove conobbe Gian Pietro Viesseux e con il gruppo di intellettuali che faceva capo alla rivista ''Antologia'', periodico di cultura per certi aspetti erede de ''Il Conciliatore''. L'inverno tra il 1827 e il 1828 fu trascorso a Pisa: qui una relativa tregua dai suoi mali favorì una ripresa della sua facoltà di sentire e di immaginare; nella primavera del 1828 vide la lucecompose ''A Silvia'', cheil apreprimo ladei serie deicosiddetti "grandi idilli".
Nel 1822 Leopardi ebbe finalmente la possibilità di uscire dal paese natìo (una "tomba de'vivi"). Si recò a Roma, ospite dello zio Carlo Antici, ma ben presto rimase pesantemente deluso dagli ambienti letterari romani, che gli parvero vuoti e meschini. L'anno dopo rientrò a Recanati, dove si diede alla composizione delle ''Operette morali'', espressione del suo pensiero pessimistico. L'aridità di questo periodo non gli consentiva di comporre versi, perciò si dedicò alla prosa, all'investigazione dell' "acerbo vero".
Nel 1825 gli si presentò l'occasione di vivere del proprio lavoro intellettuale cessando di dipendere dalla famiglia: l'editore milanese Stella gli offrì un assegno fisso per una serie di collaborazioni (un'edizione di Cicerone, un commento al Petrarca, un'antologia della poesia e una della prosa). Soggiornò così a Milano e a Bologna, per passare a Firenze nel 1827, dove conobbe Gian Pietro Viesseux e con il gruppo di intellettuali che faceva capo alla rivista ''Antologia'', periodico di cultura per certi aspetti erede de ''Il Conciliatore''. L'inverno tra il 1827 e il 1828 fu trascorso a Pisa: qui una relativa tregua dai suoi mali favorì una ripresa della sua facoltà di sentire e di immaginare; nella primavera del 1828 vide la luce ''A Silvia'', che apre la serie dei "grandi idilli".
 
=== Ultimo soggiorno a Recanati; Firenze, Napoli ===
[[File:Tomba leopardi napoli.jpg|250px|left|thumb|Tomba di Leopardi a Napoli, Parco Virgiliano.]]
Costretto dalle precarie condizioni economiche e dalladi salute, nell'autunno del 1828 Leopardi dovette tornare in famiglia, a Recanati nella casa di famiglia. Vi rimase per "sedici mesi di notte orribile", confinato nel palazzo paterno, senza rapporti con il mondo esterno. Nell'aprile del 1830 accettò un assegno mensile per un anno, da parte degli amici fiorentini. Poté così lasciare Recanati, perdove non tornarvitornò mai più.
 
Cominciò una nuova fase della sua esperienza intellettuale, condotta al di fuori del suo io e fatta di più intensi rapporti sociali. Partecipò anche al dibattito politico, dasostenendo posizioni violentemente pessimistiche, controopposte lall'ottimismo progressisticoe al progressismo dei liberali. Sperimentò anche la passione amorosa per Fanny Targioni Tozzetti; la delusione che ne scaturì ispirò un nuovo ciclo di canti, il "ciclo di Aspasia". Risale a questo periodo l'amicizia col giovane napoletano Antonio Ranieri, col quale si stabilì a Napoli nel 1833. Qui Leopardi, dallecon le sue posizioni atee e materialiste, entrò in conflitto con l'ambiente culturale della città, dominato da tendenze idealistiche e spiritualistiche. Tale polemica prese corpo in massimo grado nell'ultimo grande canto, ''La ginestra''. A Napoli Giacomo Leopardi si spense, dopo averavere per anni atteso e invocato la fine per anni, il 14 giugno 1837.
Costretto dalle precarie condizioni economiche e dalla salute, nell'autunno del 1828 Leopardi dovette tornare in famiglia, a Recanati. Vi rimase per "sedici mesi di notte orribile", confinato nel palazzo paterno, senza rapporti con il mondo esterno. Nell'aprile del 1830 accettò un assegno mensile per un anno, da parte degli amici fiorentini. Poté così lasciare Recanati, per non tornarvi più.
Cominciò una nuova fase della sua esperienza intellettuale, condotta al di fuori del suo io e fatta di più intensi rapporti sociali. Partecipò anche al dibattito politico, da posizioni violentemente pessimistiche contro l'ottimismo progressistico dei liberali. Sperimentò anche la passione amorosa per Fanny Targioni Tozzetti; la delusione che ne scaturì ispirò un nuovo ciclo di canti, il "ciclo di Aspasia". Risale a questo periodo l'amicizia col giovane napoletano Antonio Ranieri, col quale si stabilì a Napoli nel 1833. Qui Leopardi, dalle sue posizioni atee e materialiste, entrò in conflitto con l'ambiente culturale dominato da tendenze idealistiche e spiritualistiche. Tale polemica prese corpo in massimo grado nell'ultimo grande canto, ''La ginestra''. A Napoli Giacomo Leopardi si spense, dopo aver atteso e invocato la fine per anni, il 14 giugno 1837.
[[File:Tomba leopardi napoli.jpg|250px|left|thumb|Tomba di Leopardi a Napoli, Parco Virgiliano.]]
== Il pensiero ==
 
== Il pensiero ==
{{vedi anche|Giacomo Leopardi/pensiero filosofico}}
 
=== Prima fase: la natura benigna, le "illusioni" e il pessimismo storico ===
L'opera leopardiana si fonda su un sistema di idee continuamente meditate e riprese, lo sviluppo del quale può essere rintracciato nelle pagine dello ''Zibaldone''. Al centro della riflessione di Leopardi si pone subito un motivo pessimistico: l'quello dell<nowiki>'</nowiki>''infelicità dell'uomo''. Le cause di questa infelicità sono codificate in alcune pagine di fondamentale importanza del luglio 1820. La felicità, in linea con le idee settecentesche e sensistiche, s'si identifica con il piacere sensibile e materiale. Tuttavia, all'uomo non basta ''un'' piacere, poiché è alla perenne ricerca ''del'' piacere (cioè un piacere ''infinito'' per estensione e durata). Siccome nessuno dei piaceri particolari di cui può godere lo soddisfa pienamente, nasce nell'uomo un senso di insoddisfazione perpetua, un'incolmabile vacuità dell'anima. Proprio da questa tensione verso un piacere infinito, mai appagata, nasce per Leopardi l'infelicità dell'uomo, connessa con il sentimento della nullità di tutte le cose. È importante sottolineare, come fa Leopardi stesso, che ciò '''non''' va inteso in senso religioso o metafisico, come tensione verso il trascendente divino al di là delle cose contingenti, ma in senso assolutamente '''materiale'''. L'uomo, dunque, è infelice per la sua stessa costituzione. Ma la natura, in questa prima fase ancora concepita come madre benigna e attenta al bene delle sue creature, ha voluto offrire un rimedio all'uomo attraverso la facoltà immaginativa e le illusioni. Così gli uomini primitivi, i Greci e poi i Romani, che erano più vicini alla natura (come i fanciulli) e quindi capaci di illudersi e immaginare, erano felici perché ignoravano la loro reale infelicità. Il progresso della civiltà, prodotto della ragione, ha allontanato gli uomini da quella condizione privilegiata, ha scoperto loro il crudo "vero" e li ha resi infelici.
 
C'è poi da ricordare che la prima fase del pensiero leopardiano è tutta costruita sull'antitesi tra natura e ragione, tra antichi e moderni. Gli antichi, nutriti di illusioni, capaci di gesta magnanime ed eroiche e più forti fisicamente, avevano una vita più attiva e intensa, ciòcosa che contribuiva a far dimenticare il nulla dell'esistenza. Proprio il progresso della civiltà ha spento le illusioni e con esse ogni magnanimo slancio verso azioni eroiche, generando viltà, meschinità, grettezza, calcolo egoistico e corruzione dei costumi. L'infelicità presente è dunque colpa dell'uomo stesso, che è uscito dal solco tracciato dalla natura benigna. Leopardi vede la società sua contemporanea (gravata dal clima della Restaurazione) dominata dall'inerzia, dal tedio e dalla corruzione; ciò vale soprattutto per l'Italia, decaduta dalla grandezza passata. Da qui, la tematica civile e patriottica delle prime canzoni. L'atteggiamento che ne deriva è ''titanico'': il poeta, sentendosi l'unico e solo depositario superstite della virtù antica, si erge solitario contro il fato maligno che ha precipitato l'Italia nella decadenza, sferzando la sua "codarda età".
 
L'opera leopardiana si fonda su un sistema di idee continuamente meditate e riprese, lo sviluppo del quale può essere rintracciato nelle pagine dello ''Zibaldone''.
Al centro della riflessione di Leopardi si pone subito un motivo pessimistico: l' ''infelicità dell'uomo''. Le cause di questa infelicità sono codificate in alcune pagine di fondamentale importanza del luglio 1820. La felicità, in linea con le idee settecentesche e sensistiche, s'identifica con il piacere sensibile e materiale. Tuttavia, all'uomo non basta ''un'' piacere, poiché è alla perenne ricerca ''del'' piacere (cioè un piacere ''infinito'' per estensione e durata). Siccome nessuno dei piaceri particolari di cui può godere lo soddisfa pienamente, nasce nell'uomo un senso di insoddisfazione perpetua, un'incolmabile vacuità dell'anima. Proprio da questa tensione verso un piacere infinito, mai appagata, nasce per Leopardi l'infelicità dell'uomo, connessa con il sentimento della nullità di tutte le cose. È importante sottolineare, come fa Leopardi stesso, che ciò '''non''' va inteso in senso religioso o metafisico, come tensione verso il trascendente divino al di là delle cose contingenti, ma in senso assolutamente '''materiale'''. L'uomo, dunque, è infelice per la sua stessa costituzione. Ma la natura, in questa prima fase ancora concepita come madre benigna e attenta al bene delle sue creature, ha voluto offrire un rimedio all'uomo attraverso la facoltà immaginativa e le illusioni. Così gli uomini primitivi, i Greci e poi i Romani, che erano più vicini alla natura (come i fanciulli) e quindi capaci di illudersi e immaginare, erano felici perché ignoravano la loro reale infelicità. Il progresso della civiltà, prodotto della ragione, ha allontanato gli uomini da quella condizione privilegiata, ha scoperto loro il crudo "vero" e li ha resi infelici.
C'è poi da ricordare che la prima fase del pensiero leopardiano è tutta costruita sull'antitesi tra natura e ragione, tra antichi e moderni. Gli antichi, nutriti di illusioni, capaci di gesta magnanime ed eroiche e più forti fisicamente, avevano una vita più attiva e intensa, ciò che contribuiva a far dimenticare il nulla dell'esistenza. Proprio il progresso della civiltà ha spento le illusioni e con esse ogni magnanimo slancio verso azioni eroiche, generando viltà, meschinità, grettezza, calcolo egoistico e corruzione dei costumi. L'infelicità presente è dunque colpa dell'uomo stesso, che è uscito dal solco tracciato dalla natura benigna. Leopardi vede la società sua contemporanea (gravata dal clima della Restaurazione) dominata dall'inerzia, dal tedio e dalla corruzione; ciò vale soprattutto per l'Italia, decaduta dalla grandezza passata. Da qui, la tematica civile e patriottica delle prime canzoni. L'atteggiamento che ne deriva è ''titanico'': il poeta, sentendosi l'unico e solo depositario superstite della virtù antica, si erge solitario contro il fato maligno che ha precipitato l'Italia nella decadenza, sferzando la sua "codarda età".
Questo momento del pensiero leopardiano è stato indicato con la formula ''pessimismo storico'', in quanto la condizione negativa presente è ritenuta l'effetto di un processo storico, di un allontanamento progressivo dalla pienezza e dalla vitalità dell'antichità. Anche la felicità degli antichi, va ricordato, era pur sempre una felicità relativa, frutto di una generosa illusione. La vera condizione dell'uomo è l'infelicità. Tale formula ha quindi solo valore orientativo, in quanto tale pessimismo si colloca comunque in un quadro ''cosmico''.
 
=== Seconda fase: la natura malvagia e il pessimismo cosmico ===
La concezione della natura come madre benigna si mostrò fallace agli occhi di Leopardi, che si rese conto di come la natura badi effettivamente più alla conservazione della specie che al bene dei singoli individui. Per tale fine, può anzi sacrificare il bene del singolo e indurre sofferenza. Il male non è più un semplice accidente, ma fa parte del piano della natura. Sempre la natura, poi, ha infuso nell'uomo la tensione verso un piacere irrealizzabile senza dargli i mezzi per raggiungerlo. In una formulazione intermedia, Leopardi cerca di sciogliere la contraddizione proponendo il dualismo ''natura benigna''-''fato maligno''. Presto, però, giunge alla soluzione rovesciando la propria concezione della natura (ciò è particolarmente evidente nel ''Dialogo della Natura e di un Islandese'', "operetta morale" del maggio 1824). La natura non è più una madre amorevole e provvidente, bensì un '''meccanismo cieco, crudele, incurante della sorte delle sue creature'''; la sofferenza degli esseri e la loro distruzione è legge essenziale, dato che la morte è necessaria al proseguimento della vita. Il finalismo (quello della natura che opera per il bene delle proprie creature) cede il posto a un ''materialismo meccanicistico'' (tutta la realtà è materia regolata da leggi meccaniche). L'uomo è infelice non per colpa sua, ma unicamente per colpa della natura crudele. Ma se filosoficamente la natura è un meccanismo inconsapevole, una somma di leggi oggettive, miticamente e poeticamente diviene una sorta di divinità malvagia che opera deliberatamente per il male delle proprie creature. Alla natura vengono attribuite le caratteristiche che erano state del fato: la malvagità crudele e persecutoria. Così muta anche il senso dell'infelicità umana:. primaPrima, secondo la concezione sensistica, essa era concepita come ''assenza'' di piacere psicologico ed esistenziale; ora l'infelicità dipende dai mali ''esterni'', che colpiscono chiunque: malattie, calamità naturali, vecchiaia, morte.
 
Se, poi, la natura è causa dell'infelicità stessa, tutti gli uomini di ogni tempo e luogo sono necessariamente infelici, anche gli antichi. Al pessimismo storico della prima fase subentra così un ''pessimismo cosmico'': l'infelicità è svincolata da ogni condizione storica e relativa dell'uomo, ma è essa stessa una condizione ''assoluta'', dato di natura immutabile ed eterno. Tale concezione informerà tutta l'opera leopardiana posteriore al 1824. (ciononostanteCiononostante, il poeta rimarrà convinto che gli antichi fossero comunque relativamente meno infelici dei moderni, perché la vita attiva a cui erano costretti li portava a dimenticare meglio i loro mali;. Bisogna infatti sottolineare che la distinzione tra le due fasi è così schematizzata solo a fini scolastici).
La concezione della natura come madre benigna si mostrò fallace agli occhi di Leopardi, che si rese conto di come la natura badi effettivamente più alla conservazione della specie che al bene dei singoli individui. Per tale fine, può anzi sacrificare il bene del singolo e indurre sofferenza. Il male non è più un semplice accidente, ma fa parte del piano della natura. Sempre la natura, poi, ha infuso nell'uomo la tensione verso un piacere irrealizzabile senza dargli i mezzi per raggiungerlo. In una formulazione intermedia, Leopardi cerca di sciogliere la contraddizione proponendo il dualismo ''natura benigna''-''fato maligno''. Presto, però, giunge alla soluzione rovesciando la propria concezione della natura (ciò è particolarmente evidente nel ''Dialogo della Natura e di un Islandese'', "operetta morale" del maggio 1824). La natura non è più una madre amorevole e provvidente, bensì un '''meccanismo cieco, crudele, incurante della sorte delle sue creature'''; la sofferenza degli esseri e la loro distruzione è legge essenziale, dato che la morte è necessaria al proseguimento della vita. Il finalismo (quello della natura che opera per il bene delle proprie creature) cede il posto a un ''materialismo meccanicistico'' (tutta la realtà è materia regolata da leggi meccaniche). L'uomo è infelice non per colpa sua, ma unicamente per colpa della natura crudele. Ma se filosoficamente la natura è un meccanismo inconsapevole, una somma di leggi oggettive, miticamente e poeticamente diviene una sorta di divinità malvagia che opera deliberatamente per il male delle proprie creature. Alla natura vengono attribuite le caratteristiche che erano state del fato: la malvagità crudele e persecutoria. Così muta anche il senso dell'infelicità umana: prima, secondo la concezione sensistica, essa era concepita come ''assenza'' di piacere psicologico ed esistenziale; ora l'infelicità dipende dai mali ''esterni'', che colpiscono chiunque: malattie, calamità naturali, vecchiaia, morte.
 
Se, poi, la natura è causa dell'infelicità stessa, tutti gli uomini di ogni tempo e luogo sono necessariamente infelici, anche gli antichi. Al pessimismo storico della prima fase subentra così un ''pessimismo cosmico'': l'infelicità è svincolata da ogni condizione storica e relativa dell'uomo, ma è essa stessa una condizione ''assoluta'', dato di natura immutabile ed eterno. Tale concezione informerà tutta l'opera leopardiana posteriore al 1824 (ciononostante, il poeta rimarrà convinto che gli antichi fossero comunque relativamente meno infelici dei moderni, perché la vita attiva a cui erano costretti li portava a dimenticare meglio i loro mali; la distinzione tra le due fasi è così schematizzata solo a fini scolastici).
Da tutto ciò deriva, all'inizio, l'abbandono della poesia civile e dell'attitudine titanica, perché se l'infelicità è connaturata a ogni uomo di ogni epoca cessa ogni utilità della lotta e resta solo la lucida e disperata contemplazione della realtà. È in questa fase che subentra in Leopardi un atteggiamento distaccato e ironico, contemplativo e rassegnato. Il suo ideale non è più l'audace e magnanimo eroe antico, bensì il ''saggio'' antico, in particolare quello [[Stoicismo (superiori)|stoico]], capace di ''atarassia''. Questo atteggiamento caratterizza le ''Operette Moralimorali''. La rassegnazione dinanzi alla realtà non si confà tuttavia all'indole di Leopardi, che tornerà successivamente all'atteggiamento titanico contro la natura.
La rassegnazione dinanzi alla realtà non si confà tuttavia all'indole di Leopardi, che tornerà successivamente all'atteggiamento titanico contro la natura.
 
== La poetica ==
[[File:Zibaldone di pensieri VII.djvu|250px|right|thumb|Frontespizio del settimo volume dello ''Zibaldone''.]]
 
=== Il "vago e indefinito" ===
La "teoria del piacere" del luglio 1820 costituisce da una parte il nucleo germinale della filosofia pessimistica di Leopardi, dall'altra è il punto di partenza della sua poetica. Se nella realtà il piacere infinito è irraggiungibile, l'uomo può comunque figurarsi piaceri infiniti attraverso l'immaginazione. La realtà immaginata costituisce la compensazione, l'alternativa a una realtà di infelicità e noia. Ciò che stimola l'immaginazione a costruirsi una realtà parallela, in cui l'uomo può illusoriamente appagare il suo bisogno d'infinito, è tutto ciò che è "vago e indefinito", lontano, ignoto. Nelle pagine dello ''Zibaldone'' c'è una rassegna minuziosa in chiave sensistica di tutti gli aspetti della realtà sensibile che, per il loro carattere indefinito, possiedono questa suggestività. VieneSi costruendosicostruisce così una ''teoria della visione'': è piacevole, per le idee vaghe e indefinite che suscita, la vista impedita da un ostacolo, una siepe, un albero, una torre, una finestra (si ravvisa qui il germe dell'ispirazione che porterà all<nowiki>' </nowiki>''Infinito''), "perché allora in luogo della vista, lavora l'immaginazione e il fantastico sottentra al reale". Contemporaneamente prende forma anche una ''teoria del suono'', in cui Leopardi elenca tutta una serie di suoni suggestivi perché vaghi: un canto che vada poco a poco allontanandosi, un canto che giunga all'esterno dall'interno di una stanza, il muggito degli armenti echeggiante per le valli, lo stormire del vento tra le fronde ecc.
 
La "teoria del piacere" del luglio 1820 costituisce da una parte il nucleo germinale della filosofia pessimistica di Leopardi, dall'altra è il punto di partenza della sua poetica. Se nella realtà il piacere infinito è irraggiungibile, l'uomo può figurarsi piaceri infiniti attraverso l'immaginazione. La realtà immaginata costituisce la compensazione, l'alternativa a una realtà di infelicità e noia. Ciò che stimola l'immaginazione a costruirsi una realtà parallela, in cui l'uomo può illusoriamente appagare il suo bisogno d'infinito, è tutto ciò che è "vago e indefinito", lontano, ignoto. Nelle pagine dello ''Zibaldone'' è una rassegna minuziosa in chiave sensistica di tutti gli aspetti della realtà sensibile che, per il loro carattere indefinito, possiedono questa suggestività. Viene costruendosi così una ''teoria della visione'': è piacevole, per le idee vaghe e indefinite che suscita, la vista impedita da un ostacolo, una siepe, un albero, una torre, una finestra (si ravvisa qui il germe dell'ispirazione che porterà all' ''Infinito''), "perché allora in luogo della vista, lavora l'immaginazione e il fantastico sottentra al reale". Contemporaneamente prende forma anche una ''teoria del suono'', in cui Leopardi elenca tutta una serie di suoni suggestivi perché vaghi: un canto che vada poco a poco allontanandosi, un canto che giunga all'esterno dall'interno di una stanza, il muggito degli armenti echeggiante per le valli, lo stormire del vento tra le fronde ecc.
[[File:Zibaldone di pensieri VII.djvu|250px|right|thumb|Frontespizio del settimo volume dello ''Zibaldone''.]]
=== Il bello poetico ===
A questo punto avviene la svolta fondamentale: l'aggancio della teoria filosofica dell'indefinito alla teoria poetica. Al termine della disamina sui suoni suggestivi, Leopardi annota: "E tutte queste immagini in poesia sono sempre bellissime, e tanto più quanto più negligentemente son messe"; otto giorni più tardi, il 24 ottobre 1821: "Quello che ho detto altrove sugli effetti della luce, del suono, e d'altre tali sensazioni circa l'idea dell'infinito, si deve intendere non solo di tali sensazioni nel naturale, ma nelle loro imitazioni ancora, fatte dalla pittura, dalla musica, dalla poesia. Il bello delle quali arti, in grandissima parte [...] consiste nella scelta di tali o somiglianti sensazioni indefinite da imitare". Il bello poetico consiste dunque nel "vago e indefinito", e si manifesta fondamentalmente in immagini del tipo di quelle esaminate nella teoria della visione e del suono. Anche certe parole sono "vaghe e indefinite" per le idee stesse che suscitano: ad esempio "lontano", "antico", "notte", "ultimo", "eterno". E queste immagini ci affascinano perché solitamente evocano sensazioni che ci hanno impressionati nella fanciullezza. La "rimembranza" è parte fondamentale del sentimento poetico. Poetica dell'indefinito e poetica della "rimembranza" diventano tutt'uno: la poesia è un'operazione di recupero, recupero delle immagini della fanciullezza attraverso la memoria.
 
A questo punto avviene la svolta fondamentale: l'aggancio della teoria filosofica dell'indefinito alla teoria poetica. Al termine della disamina sui suoni suggestivi, Leopardi annota: "E tutte queste immagini in poesia sono sempre bellissime, e tanto più quanto più negligentemente son messe"; otto giorni più tardi, il 24 ottobre 1821: "Quello che ho detto altrove sugli effetti della luce, del suono, e d'altre tali sensazioni circa l'idea dell'infinito, si deve intendere non solo di tali sensazioni nel naturale, ma nelle loro imitazioni ancora, fatte dalla pittura, dalla musica, dalla poesia. Il bello delle quali arti, in grandissima parte [...] consiste nella scelta di tali o somiglianti sensazioni indefinite da imitare". Il bello poetico consiste dunque nel "vago e indefinito", e si manifesta fondamentalmente in immagini del tipo di quelle esaminate nella teoria della visione e del suono. Anche certe parole sono "vaghe e indefinite" per le idee stesse che suscitano: ad esempio "lontano", "antico", "notte", "ultimo", "eterno".
E queste immagini ci affascinano perché solitamente evocano sensazioni che ci hanno impressionati nella fanciullezza. La "rimembranza" è parte fondamentale del sentimento poetico. Poetica dell'indefinito e poetica della "rimembranza" diventano tutt'uno: la poesia è un'operazione di recupero, recupero delle immagini della fanciullezza attraverso la memoria.
 
=== Antichi e moderni, poesia d'immaginazione e poesia sentimentale ===
Leopardi osserva che maestri della poesia vaga e indefinita erano gli antichi;, essi,proprio perché più distantivicini dallaalla natura, erano immaginosi come bambini. Iled carattereerano "fanciullesco"quindi èdei rivelato,maestri appunto,della dalpoesia ricorrerevaga spontaneo,e indefinita. Il fatto che nella loro poesia ricorranno, dicon spontaneità, immagini vaghe e indefinite, è visto da Leopardi come una prova di questo carattere "fanciullesco". In questo senso, passi cari al poeta sono la similitudine con cui Omero descrive un notturno lunare e un episodio dell<nowiki>'</nowiki>''Eneide'', in cui il canto di Circe giunge ai Troiani da lontano, nel buio, sul mare. Nei moderni, invece, è perito questo "fanciullesco antico". Leopardi, attraverso Madame de Staël, riprende la distinzione proposta da Schillerschilleriana tra ''poesia d'immaginazione'' e ''poesia sentimentale''. I moderni, ormai lontani dalla natura per colpa della ragione, sono disincantati e infelici, incapaci di produrre poesia d'immaginazione. A essi resta la poesia sentimentale, nutrita di idee filosofiche, che nasce dalla consapevolezza del vero e della miseria umana.
 
Leopardi osserva che maestri della poesia vaga e indefinita erano gli antichi; essi, più distanti dalla natura, erano immaginosi come bambini. Il carattere "fanciullesco" è rivelato, appunto, dal ricorrere spontaneo, nella loro poesia, di immagini vaghe e indefinite. In questo senso, passi cari al poeta sono la similitudine con cui Omero descrive un notturno lunare e un episodio dell'''Eneide'', in cui il canto di Circe giunge ai Troiani da lontano, nel buio, sul mare. Nei moderni, invece, è perito questo "fanciullesco antico". Leopardi, attraverso Madame de Staël, riprende la distinzione proposta da Schiller tra ''poesia d'immaginazione'' e ''poesia sentimentale''. I moderni, ormai lontani dalla natura per colpa della ragione, sono disincantati e infelici, incapaci di produrre poesia d'immaginazione. A essi resta la poesia sentimentale, nutrita di idee filosofiche, che nasce dalla consapevolezza del vero e della miseria umana.
Tutti gli elementi, visivi e sonori, che comunicano il senso del "vago e indefinito" confluiscono regolarmente nelle liriche leopardiane fino al 1830, anno nel quale subentra una nuova poetica. Pur appartenendo all'epoca della poesia sentimentale ed essendone conscio, dunque, Leopardi non esclude il carattere immaginoso dai suoi versi, così come (almeno fino al 1830) non rinuncerà alle illusioni, ma, pur conoscendone la vanità, continuerà a vagheggiarle e a nutrirne la sua poesia.
 
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=== Classicismo romantico ===
A partire dal 1816, la nuova poetica romantica venivasi in conflittoscontrava con la tradizione classicistica della cultura italiana. Nella polemica tra classicisti e romantici, Leopardi prese posizione, in virtù della propria formazione, contro i romantici. Lo fece in due scritti: un ''Lettera ai compilatori della "Biblioteca italiana"'' in risposta al famoso articolo della de Staël e un ''Discorso di un Italiano intorno alla poesia romantica'', che però non vennero pubblicati.
 
Le sue posizioni sono però molto originali rispetto a quelle classicistiche. Dato che la sua poesia è espressione di una spontaneità originaria propria degli uomini primitivi e dei fanciulli, consente con i romantici italiani nella loro critica contro il classicismo accademico, il principio d'imitazione, l'abuso di riferimenti alla mitologia classica e in generale la pedanteria delle regole imposte dai generi letterari. Tuttavia, la colpa dei romantici è per Leopardi un'artificiosità retorica di uguale intensità rispetto a quella classicista, ma tendente alla direzione opposta, cioè nella ricerca forzata dello strano, dell'orrido, del macabro. Inoltre, rimprovera loro anche il maggior rilievo della logica rispetto alla fantasia, l'aderenza al "vero" che annichilisce ogni immaginazione. Per lui, come si è detto, sono gli antichi a costituire gli artefici della poesia immaginosa per eccellenza. Leopardi dunque ripropone i classici come modelli, ma in senso assolutamente opposto al classicismo accademico; si può anzi dire che lo faccia con spirito schiettamente ''romantico''. Nell'esaltazione di ciò che è spontaneo e non studiato, contaminato dalla ragione, egli appare più romantico degli stessi romantici italiani (e più vicino allo spirito che allora animava la cultura europea). Si può perciò parlare di un ''classicismo romantico'', per quel che riguarda il suo gusto letterario e la sua poetica. L'espressione, come si nota, non è un ossimoro: già l'esperienza [[Ugo Foscolo (superiori)|foscoliana]] insegna come il vagheggiamento classico possa essere impregnato di spirito romantico.
A partire dal 1816, la nuova poetica romantica veniva in conflitto con la tradizione classicistica della cultura italiana. Nella polemica tra classicisti e romantici, Leopardi prese posizione, in virtù della propria formazione, contro i romantici. Lo fece in due scritti: un ''Lettera ai compilatori della "Biblioteca italiana"'' in risposta al famoso articolo della de Staël e un ''Discorso di un Italiano intorno alla poesia romantica'', che però non vennero pubblicati.
Le sue posizioni sono però molto originali rispetto a quelle classicistiche. Dato che la sua poesia è espressione di una spontaneità originaria propria degli uomini primitivi e dei fanciulli, consente con i romantici italiani nella loro critica contro il classicismo accademico, il principio d'imitazione, l'abuso di riferimenti alla mitologia classica e in generale la pedanteria delle regole imposte dai generi letterari. Tuttavia, la colpa dei romantici è per Leopardi un'artificiosità retorica di uguale intensità rispetto a quella classicista, ma tendente alla direzione opposta, cioè nella ricerca forzata dello strano, dell'orrido, del macabro. Inoltre, rimprovera loro anche il maggior rilievo della logica rispetto alla fantasia, l'aderenza al "vero" che annichilisce ogni immaginazione. Per lui, come si è detto, sono gli antichi a costituire gli artefici della poesia immaginosa per eccellenza. Leopardi dunque ripropone i classici come modelli, ma in senso assolutamente opposto al classicismo accademico; si può anzi dire che lo faccia con spirito schiettamente ''romantico''. Nell'esaltazione di ciò che è spontaneo e non studiato, contaminato dalla ragione, egli appare più romantico degli stessi romantici italiani (e più vicino allo spirito che allora animava la cultura europea). Si può perciò parlare di un ''classicismo romantico'', per quel che riguarda il suo gusto letterario e la sua poetica. L'espressione, come si nota, non è un ossimoro: già l'esperienza [[Ugo Foscolo (superiori)|foscoliana]] insegna come il vagheggiamento classico possa essere impregnato di spirito romantico.
 
Leopardi dunque ripropone i classici come modelli, ma in senso assolutamente opposto al classicismo accademico; si può anzi dire che lo faccia con spirito schiettamente ''romantico''. Nell'esaltazione di ciò che è spontaneo e non studiato, contaminato dalla ragione, egli appare più romantico degli stessi romantici italiani (e più vicino allo spirito che allora animava la cultura europea). Si può perciò parlare di un ''classicismo romantico'', per quel che riguarda il suo gusto letterario e la sua poetica. L'espressione, come si nota, non è un ossimoro: già l'esperienza [[Ugo Foscolo (superiori)|foscoliana]] insegna come il vagheggiamento classico possa essere impregnato di spirito romantico.
=== La lirica, il romanticismo italiano e quello europeo ===
 
=== La lirica, il romanticismoRomanticismo italiano e quello europeo ===
Tra le varie forme poetiche, Leopardi predilige la ''lirica'', intesa come espressione immediata dell'io, della soggettività, dei sentimenti, come ''canto'' (da cui il titolo della raccolta dei suoi versi, i ''Canti'', inedito nella tradizione poetica italiana). Ciò costituisce un punto di contrasto con la scuola romantica lombarda, tendente a una letteratura oggettiva e realistica, moralizzante e intesa all'utilità sociale (e che quindi preferiva le forme narrative e drammatiche: si vedano le odi e i cori [[Alessandro Manzoni (superiori)|manzoniani]] a riguardo). Leopardi appare dunque più vicino allo spirito d'oltralpe. Egli ha convinzioni filosofiche illuministiche, sensistiche e materialistiche, laddove il Romanticismo europeo ha come presupposto una ''Weltanschauung'' idealistica e spiritualistica. Viceversa, sono tratti romantici della personalità leopardiana la tensione verso l'infinito, l'esaltazione della soggettività, il titanismo, l'importanza tributata ai sentimenti, il conflitto illusione-realtà, l'amore per il "vago e indefinito", il culto del primitivo e della fanciullezza come momenti privilegiati della vita umana, il senso del dolore cosmico (chiamato dai romantici tedeschi ''Weltschmerz'', letteralmente "dolore del mondo").
 
== Opere ==
 
Le opere fondamentali e più studiate di Leopardi sono la raccolta dei suoi componimenti poetici, i ''Canti'' e la raccolta di prose satiriche intitolata ''Operette morali''.
{{vedi anche|Giacomo Leopardi/opere}}
Le opere fondamentali e più studiate di Leopardi sono la raccolta dei suoi componimenti poetici, i ''Canti'' e la raccolta di prose satiriche intitolata ''Operette morali''.
{{vedi anche|Canti (superiori)|Operette Morali (superiori)|Lettere e scritti autobiografici leopardiani (superiori)}}
 
=== Lettere e scritti autobiografici ===
{{vedi anche|Canti (superiori)|Operette Morali (superiori)|Lettere e scritti autobiografici leopardiani (superiori)}}
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=== I ''Canti'' ===
{{vedi anche|Canti (superiori)}}
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=== Le ''Operette morali'' ===
{{vedi anche|Operette Morali (superiori)}}
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==Risorse esterne==
*[http://www.classicitaliani.it/bonghiG/bonghi_biografia_Leopardi.html Giuseppe Bonghi - Biografia di Giacomo Leopardi]
[[Categoria: Letteratura italiana per le superiori 2]]