La dimensione artistica e cosmologica della Mishneh Torah/Introduzione: differenze tra le versioni

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Questa è una struttura magnifica. Mostra d'essere un modo per importare idee filosofiche nella ''Mishneh Torah'' senza per nulla disturbare l'esposizione chiara della legge. Ma non è sufficiente meritarsi i più alti encomi dell'Arte. La vera qualità artistica va aldilà del crittografare le idee in modelli formali. Il suo significato è qualcosa che non può essere dichiarato, ma solo accennato. È il prodotto di una mente fissa su Dio e che cerca di comunicare l'amore di Dio. Come un codice di legge è completato mediante l'azione, così un'opera d'arte è completata nell'immaginazione. La ''Mishneh Torah'' ottiene più della riconciliazione sincretica della Torah con la filosofia e con la scienza di un'epoca particolare. Il legame artistico della sua forma e suo contenuto le dà il potere di trascendere il tempo e lo spazio della sua creazione, effettuando non solo un ordinamento della halakhah, ma un riordinamento delle sensibilità dei lettori, impiantando in loro il germe della sua ispirazione.<ref>Si veda il commento di Moshe Halbertal sulla ''Guida'': "La distinzione tra esoterismo politico ed esoterismo essenziale produce comprensioni differenti del testo biblico. Esoterismo politico-sociale interpreta la parabole scritturali come allegoria, i cui contenuti nascosti possono essere espressi in un linguaggio concettuale diretto. L'esoterismo essenziale vede la parabola scritturale come simbolo piuttosto che allegoria. Il simbolo non nasconde contenuti che potrebbero altrimenti essere espressi direttamente mediante concetti, ma ci punta e dirige verso ciò che non può essere espresso direttamente. In base a tale concetto, la struttura esoterica del linguaggio non è il risultato di una strategia adottata dalla filosofia nel suo rapporto con la società, ma fa parte dell'essenza del reame filosofico" ([https://books.google.co.uk/books/about/Concealment_and_Revelation.html?id=7clWq8duzOwC&hl=en Moshe Halbertal, ''Concealment and Revelation: Esotericism in Jewish Thought and its Philosophical Implications''], trad. Jackie Feldman, PUP, 2007, p. 57). Vedi anche Yair Lorberbaum, "Maimonides' Conception of Parables" {{he}}, ''Tarbiz'', 71, 2002, pp. 87-132.</ref>
 
==Aggadah nella ''Mishneh Torah''==
Ma greci ed arabi non sono i soli ad aver influenzato la forma della ''Mishneh Torah''. Nella sua introduzione, Maimonide afferma famosamente: "Ho intitolato quest'opera ''Mishneh Torah'' affinché una persona che prima legge la Legge Scritta e poi questa compilazione, conoscerà da essa l'intera Legge Orale, senza aver bisogno di consultare altri libri oltre ad essi."<ref>''Introduzione'' e ''Libro della Conoscenza'', trad. Hyamson, 4''b''.</ref>
 
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Per quanto riguarda la consapevolezza teleologica, questa non è solo una faccenda di allusioni sporadiche all'aggadah; la ''Mishneh Torah'' ha una portata teleologica interpolata alla sua forma.
 
Un rapido esame rivela che la ''Mishneh Torah'' ha una configurazione narrativa, un inizio, un centro ed una fine.<ref>"Un tutto è ciò che ha un inizio, una parte centrale ed una fine" (Aristotele, ''[[w:Poetica (Aristotele)|Poetica]]'', 1450''b'', 26).</ref> Inizia col comandamento di conoscere l'esistenza di Dio, finisce con tale conoscenza che diventa universale nell'età del messia, e al centro presenta, in un circolo in espansione, i comandamenti designati ad infondere la conoscenza di Dio in tutti gli aspetti dell'esistenza individuale e sociale. Le fasi di questo processo possono essere viste come corrispondessero in un modo molto generale alla narrazione della Torah. Per esempio, l'idea di raccogliere insieme materiale dottrinale in un primo libro introduttivo ad un codice di legge, si dice essere stato preso dall'[[w:Hadíth|Hadíth]],<ref>Si veda Boaz Cohen, "Classification of the Law in the ''Mishneh Torah''", ''Jewish Quarterly Review'', 25, 1935, pp. 519-540.</ref> ma non potrebbe forse essere che la ''Mishneh Torah'' inizi con ''ma`aseh bereshit'' perché così inizia la Bibbia, eccetto che Maimonide traspone ''ma`aseh bereshit'' nella chiave della filosofia?<ref>Warren Zev Harvey afferma questa opinione nel suo "Aggadah in Maimonides' ''Mishneh Torah''", ''Dine Israel'', 24, 2007, pp. 197-207. Da notare il commento di Maimonide nella ''Guida'' I, Introduzione (pp. 8-9) sulla ragione per cui la Torah inizia con ''ma`aseh bereshit'': "Ma non vedi il seguente fatto? Dio, che Egli sia esaltato, desiderava che venissimo perfezionati e lo stato delle nostre società migliorato dalle Sue leggi in merito alle azioni. Ora ciò può avvenire solo dopo l'adozione di credenze intellettuali, la prima delle quali è la Sua comprensione, che Egli sia glorificato, secondo la nostra capacità. Questo a sua volta non può avvenire eccetto che mediante la scienza divina e questa scienza divina non può divenire reale eccetto che dopo uno studio della scienza naturale... Pertanto Dio, che Egli sia esaltato, causò che il Suo libro si aprisse con il «Resoconto del Principio» che, come abbiamo reso chiaro, è scienza naturale."</ref> Vengono menzionate le stazioni principali della storia ebraica: Abramo scopre Dio e lascia Aran;<ref>"Leggi dell'Idolatria", 1:3.</ref> Mosè salva il suo popolo dalla degradazione e corruzione egiziane;<ref>"Leggi dell'Idolatria", 1:3.</ref> alla fine il messia redime e rinnova.<ref>"Leggi dei Re e Loro Guerre", capp. 11-12.</ref> I comandamenti nei prime tre libri della ''Mishneh Torah'' sono intesi ad instillare le idee fondamentali del monoteismo, che sono associate ai patriarchi, le cui vite sono il tema principale di Genesi. Il Tempio ed il suo rituale occupano la parte centrale della ''Mishneh Torah'' proprio come il Tabernacolo occupa la parte centrale della Torah, estendendosi dal capitolo 25 di Esodo, attraverso il Levitico, fino al capitolo 10 di Numeri. Inoltre, il concetto chiave del libro mediano della Torah, il Levitico, è santità, e la santità nei suoi aspetti più riconoscibili — la consacrazione di un certo spazio, come appena citato, ma anche il controllo del desiderio corporeo — è anche la nota chiave della porzione mediana della ''Mishneh Torah'', cominciando con il ''Libro delle Donne'', espressa chiaramente nel ''Libro della Santità'', e continuando fino al ''Libro dei Sacrifici'' (sebbene vedremo in seguito che la santità è il concetto globale di tutti i primi dieci libri della ''Mishneh Torah'' presi come un'unità). L'ultima parte della Torah è essenzialmente dedicata alle istituzioni politiche, e con la preparazione ad entrare a [[w:Canaan|Canaan]] e la formazione della prima Confederazione ebraica; l'ultima parte della ''Mishneh Torah'' si occupa delle istituzioni di diritto civile e anticipa il ripristino di tale Confederazione, da accompagnarsi al riconoscimento di un unico Dio in tutto il mondo. Ma non è che la struttura della ''Mishneh Torah'' sia basata sulla Torah, solo che le trame sono simili, giustificandone quindi il titolo, "una duplice Torah".<ref>Twersky, ''Introduction to the Code'', pp. 155 e segg.</ref>
 
La funzione dei comandamenti in questa dimensione, quando passiamo dalle origini del popolo ebraico al messia, è come un vaso per conservare la conoscenza di Dio nell'interim, e infine portarla dappertutto. Ma la ''Mishneh Torah'' fa più di descrivere l'arco della storia e destino ebraico (e universale); un intento teleologico penetra profondamente nelle sue strutture, collegando la ricerca personale a quella nazionale. La conoscenza di Dio alla fine dell'opera non è la stessa dell'inizio. Proprio come in chiusura di un brano di musica, un riferimento al motif d'ouverture può segnare la distanza emotiva percorsa, così anche il riferimento all'idea della conoscenza di Dio con cui ha iniziato, posto alla fine della ''Mishneh Torah'', è la misura di quanto siamo andati avanti nel percorso. Tra le altre cose, è stato aggiunto il filo storico. Dobbiamo chiederci come sia stata fatta la transizione tra l'eterna asserzione dell'esistenza di Dio con cui inizia la ''Mishneh Torah'' e del compimento del tempo con cui finisce o, per dirla diversamente, come trovare dove l'asse ontologico e quello teleologico della struttura della ''Mishneh Torah'' si incntrano. La risposta, verrà implicato,sta nella teoria maimonidea della profezia. A sua volta ciò solleva un'ulteriore domanda: la ''Mishne Torah'' ha delle pretese profetiche?<ref>David Gillis, ''Reading Maimonides' Mishneh Torah, cit.'', pp. 10-12.</ref>
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Il saggio di Soloveitchik è prova ulteriore che la ''Mishneh Torah'' possiede un suo fascino che spinge coloro che la esaminano attentamente a chiamarla "arte". Qui siamo quindi in armonia col suo giudizio che la ''Mishneh Torah'' sia "una forma organica che si dispiega dall'interno, secondo leggi che scaturiscono dalla sua propria essenza", e che è abbastanza profonda e complessa "da far ritrovare in essa il riflesso di chi la legge". Tuttavia, nel suo resoconto c'è una disgiunzione tra l'arte della ''Mishneh Torah'' e il suo fine ultimo, e un'implicazione nel verdetto di Soloveitchik che sia stata scritta "troppo bene", che il suo autore non abbia riconosciuto la propria forza artistica. Tale descrizione sorge dal presupposto che promulgare un codice standard fosse lo scopo principale di Maimonide. (L'accuratezza storica o meno dell'asserzione che la sua qualità letteraria fosse ciò che impedì alla ''Mishneh Torah'' di raggiungere tale scopo non è qui il problema.) C'è di sicuro un accenno al fatto che Maimonide potesse aver avuto anche altri scopi, ma oltre a sottolineare, con commozione, l'"ambiguità creativa" dell'opera, Soloveitchik non definisce tali scopi.<ref name="Haym"/>
 
In merito all'abilità di Maimonide di introdurre tale ambiguità nella ''Mishneh Torah'' senza disturbare la sua serenità superficiale, Soloveitchik scrive: "La sua felice impresa è ovvia; come sia riuscito a realizzarla mi sfugge tuttora." Nella lettura qui offerta, le ambiguità sono i segni superficiali delle sottostanti strutture generali mediante le quali possiamo iniziare a comprendere i fini transhalakhici di Maimonide. Possiamo affermare che la ''Mishneh Torah'' deve la sua superficie compatta, che resiste a manipolazioni e continuità e le proprie risonanze apparentemente infinite, al suo essere fermamente tesa sulla struttura della fisica e metafisica maimonidee. Non c'è bisogno di far ricorso ad una nozione paradossale di abilità artistica sovrabbondante. Maimonide ha perfettamente combinato mezzi e fini. Ha usato la sua forza artistica del tutto consapevolmente per presentare non solo l'[[w:Halakhah|Halakhah]], ma la Torah nella sua interezza, di cui fa parte la soggettività esternata dalle ambiguità di Soloveitchik. La perfezione artistica della ''Mishneh Torah'' non sopraffà il suo soggetto, ma ne fa parte.<ref name="Haym"/>
 
Quando Maimonide arrivò a riconoscere che la sua omissione delle fonti rabbiniche nella ''Mishneh Torah'' stava impedendone la relativa accettazione, la soluzione che propose fu un volume abbinato — non voleva affollare il testo con note.<ref>"Letter to R. Pinhas the judge", ''Letters, cit.'', cur. Shailat {{he}}, pp. 444-445.</ref> Questo, insieme al suo rifiuto di tradurre la ''Mishneh Torah'' in arabo, che verrà discusso più avanti, pare indicare che, anche al prezzo di una minore popolarità, Maimonide non era pronto a compromettere l'autocontenimento poetico dell'opera, o appesantirne la rifinitura accurata su cui, secondo Saloveitchik, un commentario derivativo, in opposizione ad uno interpretativo, non poteva aver effetto. Maimonide doveva avere le sue ragioni.
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Pertanto la bellezza della ''Mishneh Torah'' è una bellezza da scoprire, che richiede una risposta dinamica da parte del lettore corrispondente al dinamismo del suo atto di esistenza organizzata.<ref>Eco riconosce che "niente potrebbe essere più lontano da certe teorie moderne di intuizione estetica" (''Arte e bellezza'', p. 83).</ref> È essa stessa una descrizione del superamento degli ostacoli sul percorso della conoscenza, ed un modello di tale processo. Venendone coinvolti ad un livello letterario (opposto al livello osservante religioso, che non deve essere dimenticato), che possiamo solo fare con un'esplorazione attiva della sua ''integritas'' e ''consonantia'', possiamo conquistarle mediante l'apprezzamento della sua ''claritas''.<ref name="DGills"/>
 
Naturalmente deve esserci una qualche ambivalenza nell'applicare la definizione tomistica alla ''Mishneh Torah''. Da una parte, ha radici appropriatamente platoniche, aristoteliche e neoplatoniche; dall'altra, è anche radicata nella dottrina di Tommaso sulla [[w:Trinità (cristianesimo)|Trinità]].<ref>Si veda Eco, ''Arte e bellezza'', p. 101; Gallagher, ''Hybridity of Aquinas's Aesthetic Theory''.</ref> Uno potrebbe far riferimento alla massima di Maimonide stesso, "ascolta la verità da chiunque la proponga"<ref>"Otto capitoli", Prefazione (''Ethical Writings'', ed. Weiss & Butterworth, p. 60).</ref> o semplicemente osservare che gli approcci dei due pensatori sono ideologicamente differenti ma funzionalmente simili. Alla fine, comunque, l'ontologia e la teologia differenti di Maimonide potrebbero veramente dettare un'estetica differente. Questo nostro studio è esegetico piuttosto che comparativo, che invoca la teoria estetica e letteraria classica e medievale solo per aiutarci a delucidare la ''Mishneh Torah''. Non esamina il posto dell'estetica maimonidea come tale nella storia delle idee, sebbene si speri che fornirà materiali per tale ricerca più vasta.<ref>Sull'estetica maimonidea in contesto storico si veda Bland, "Medieval Jewish Aesthetics: Maimonides, Body, and Scripture in Profiat Duran", (''Journal of the History of Ideas'', 54/4, 1993, pp. 533-559) and "Beauty, Maimonides, and Cultural Relativism in Medieval Jewish Thought", (''Journal of Medieval and Early Modern Studies'', 26/1, 1996, pp. 85-112). Bland mette Maimonide nel campo naturista dell'Aquinate, in contrasto al campo simbolista agostiniano (p. 537), ma evidenzia che egli non ascrisse un valore trascendentale alla bellezza, mentre Tommaso lo fece. Ma si veda anche Lobel, "Being and the Good". La veduta di Bland sembra comunque essere più convincente in questo caso; forse Lobel dà troppo peso all'osservazione della ''Guida'' I.59: "Pertanto tutti i filosofi dicono: Siamo abbagliati dalla Sua bellezza." Ciò che dicono tutti i filosofi è necessariamente quello che anche Maimonide direbbe? Bland vede Maimonide come critico dei filosofi qui, piuttosto che in accordo con loro — cfr. ''Artless Jew'', p. 101. Si noti "Leggi del Pentimento", 8:2, in cui la frase rabbinica ''ziv hashekhinah'', "lo splendore della presenza divina" ([[w:Talmud babilonese|TB]] ''Ber.'' 17''a''), è interpretata non come significante un attributo di Dio, ma come una maggiore conoscenza di Dio da parte dell'intelletto acquisito dopo la morte e la liberazione dai legami di esistenza corporea. Si veda anche Eco, ''Art and Beauty, cit.'', p. 26.</ref>
 
==Il Poeta nella Repubblica di Maimonide==
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Negli scritti di Maimonide spesso ricorre un apparente sostegno di questa conclusione. Qui di seguito, per esempio, descrive coloro che leggono la Scrittura come farebbero con altre opere letterarie:
{{q|O voi che vi applicate in speculazioni teoriche usando le prime nozioni che vi vengono in mente e che per giunta credete di capire un libro che è la guida dei primi ed ultimi uomini scorrendolo come se fosse un 'opera di storia o di poesia — quando in certe ore di svago smettete di bere e di copulare.|''Guida'' I.2 (p. 24)}}
 
Associare storia e poesia al bere e al sesso è quanto di più caustico Maimonide riesca ad immaginare.<ref>Sulla poca stima di Maimonide per i rapporti sessuali, si veda ''Guida'' III.8 (p. 432).</ref> È anche vero che disapprovasse della poesia liturgica in sinagoga, in parte perché trasgrediva la proibizione contro la moltiplicazione delle lodi e degli attributi di Dio.<ref>''Guida'' I.59 (p. 141).</ref> Nell'"Introduzione a ''Perek ḥelek''", poco prima dell'enunciazione dei suoi famosi tredici principi dottrinali, e a proposito dell'esclusione da parte di Rabbi Akiva di coloro che leggono "libri estranei" dal Mondo a venire,<ref>"Avere una porzione/posto nel ''Mondo a Venire''", cioè la vita eterna, funziona nell'[[w:rabbinsimo|ebraismo rabbinico]] piuttosto come "essere salvati" nei testi cristiani. Cfr. [[w:Norman Solomon|Norman Solomon]], ''Torah from Heaven: The Reconstruction of Faith'', Littman Library, 2012, p. 19, nota 2.</ref> Maimonide annovera i libri di poesia tra quelli che "non contengono né saggezza né utilità materiale e sono soltanto una perdita di tempo".<ref>''Commentario alla Mishnah'', Ordine ''Nezikin'', 140-141.</ref>
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Sembra che Bland reprima irragionevolmente il simbolismo di Maimonide per mantenere nell'estetica maimonidea l'arte letteraria e l'arte visiva sullo stesso piano. Se non c'è valore simbolico nella seconda, non ci sarà nessun valore simbolico neanche nella prima. In verità, tuttavia, la dicotomia tra vista e suono, che Bland considera come un'imposizione retrospettiva di una sensibilità ebraica medievale che ha dato libero sfogo ad entrambe, pare essere stata parte importante della visione di Maimonide, e parte di una tendenza, per ragioni sia teologiche che pratiche, che investe una ricchezza spirituale nella parola acustica, portatile, digitale piuttosto che in una cattedrale o moschea analogica, fissa e visiva. Consolazione ne sia che, proprio come [[w:Abraham Joshua Heschel|Abraham Heschel]] chiamava gli Shabbath "le nostre grandi cattedrali",<ref>[[w:Abraham Joshua Heschel|Abraham Heschel]], ''The Shabbath: Its Meaning for Modern Man'', Farrar, Straus and Giroux, 1951, p. 8 (trad. it.: ''Il Sabato: Il suo significato per l’uomo moderno'', Garzanti, 1999).</ref> così nella ''Mishneh Torah'' Maimonide ha prodotto dal suo ''medium'' digitale un analogico talmente capiente e bello da stare alla pari con qualsiasi monumento medievale.
 
Nel complesso allora possiamo paragonare la posizione pubblica di Maimonide rispetto alla poesia, con quella di Platone.<ref>Si veda P.A. Murray & T.S. Dorsch, ''Classical Literary Criticism'', 2000, pp. XXIII-XXIX. Questo paragone naturalmente si basa su una semplificazione poiché, come asserisce Murray, "La posizione di Platone verso la poesia non è né semplice né consistente" (''ibid.'', p. XXIX).</ref> Bandisce la poesia prona a corrompere la morale o che antropomorfizza la divinità, ma la poesia che edifica ed è corretta teologicamente è la benvenuta alla giusta occasione e al posto giusto.<ref>Faur tuttavia vede Maimonide in opposizione alla forma poetica come anche al contenuto non edificante. Cfr. José Faur, "Maimonides on Imagination: Towards a Theory of Jewish Aesthetics", in Mayer I. Gruber (cur.), ''The Solomon Goldman Lectures'', VI, 1993, p. 97.</ref> La poesia come tale, sebbene fosse tra le sue competenze e talento, non fu il suo vero ''medium'' ma, come Platone, il Rambam assunse una posizione critica verso la [[w:mitopoiesi|mitopoiesi]] e l'arte letteraria, avendo propensione per entrambe.<ref>Cfr. Aaron Hughes, "''The Torah speaks in the language of humans'': On Some uses of Platos' Theory of Myth in Medieval Jewish Philosophy", in Robert M. Berchman & John F. Finamore (curr.), ''History of Platonism: Plato Redivivus'', 2005, pp. 237-252.</ref> La sua risposta al tributo letterario di Joseph ben Judah dimostra una predilezione per la poesia sufficiente a persuaderlo che chi possedeva sensibilità poetica aveva abbastanza talento da poter lavorarci insieme (e infatti lo prese come suo studente). Non sembra irragionevole cercare una pari sensibilità nella sua ''[[w:magnum opus|magnum opus]]'', per una sintesi estetica e filosofica delle differenti correnti di pensiero che riunisce, specialmente tenendo in mente la sua adozione della visione della poesia come una forma di logica. Con questa conclusione impressionistica ''ad interim'', possiamo ora iniziare ad esplorare le motivazioni più profonde della ''Mishneh Torah'' come opera d'arte.
 
==Necessità e invenzione letteraria==
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In ogni modo, abbiamo visto che c'è una base su cui Maimonide potrebbe trasporre la perfezione etica nella perfezione estetica, poiché le perfezioni della Torah, della personalità etica, e di un'opera d'arte incorporano tutte la stessa idea della medietà, e tutte e tre sono modi di imitaqzione.
 
===Estetica neoplatonica e microcosmo letterario===
[[File:Proclus neoplatonist.jpg|thumb|300px|I Commentari di [[w:Proclo|Proclo]] (ed. 1792)]]
Da Aristotele passiamo ora ai neoplatonici, e all'idea specifica della forma microcosmica. Sebbene le somiglianze tra la teoria letteraria neoplatonica e la messa in pratica di Maimonide siano appariscenti, i canali di influenza, se ce ne sono, sono meno facili da rintracciare di quelli aristotelici. Quelle parti delle ''Enneadi'' in cui Plotino discute le sue idee della bellezza sensibile ed intelligibile furono disponibili ai filosofi islamici nella ''Teologia di Aristotele'',<ref>Si veda Dominic O'Meara, ''Plotinus: An Introductions to the Enneads'', OUP, 1993, pp. 88-99.</ref> una delle versioni arabe delle ''Enneadi'' che circolava nel periodo medievale, e trovò espressione nelle loro proprie teorie estetiche.<ref>Si veda Deborah L. Black, "Aesthetics in Islamic Philosophy", in Edward Craig (cur.), ''The Routledge Encyclopedia of Philosophy Online'', Londra, 1998.</ref> e Maimonide abbia avuto una familiarità di prima mano con la ''Teologia di Aristotele'' non è certo,<ref>Per un'analisi del grado di conoscenza delle ''Enneadi'' da parte di Maimonide, si veda l'[[La dimensione artistica e cosmologica della Mishneh Torah/Appendice2#Il Mondo secondo Alfarabi e Avicenna|Appendice 2: "Il Mondo secondo Alfarabi e Avicenna"]]</ref> ma in ogni caso la questione qui non è sulla bellezza come tale, ma piuttosto sull'idea specifica della letteratura come microcosmo. Ciò si ritrova nei tardi neoplatonici, e nel loro caso il collegamento con Maimonide è ancora più flebile.<ref name="Proclo">Steven Harvey, "The Greek Library of the Medieval Jewish Philosophers", in Cristina D'Ancona (cur.), ''The Libraries of the Neoplatonists'', Leiden, 2007, pp. 493-506, copre solo le opere di Platone e Aristotele. Sulla disponibilità in arabo delle opere di [[w:Proclo|Proclo]], si veda Bayard Dodge, ''The Fihrist of al-Nadim: A Tenth Century Survey of Muslim Culture'', II, trad. Bayard Dodge, 1970, p. 608; C. D'Ancona, "Greek into Arabic", in Peter Adamson & Richard C. Taylor (curr.), ''The Cambridge Companion to Arabic Philosophy'', 2005; Gerhard Endress, ''Proclus Arabus: Zwanzig Abschnitte aus der Institutio Theologica in arabischer Übersetzung'', 1973, pp. 14-30; Fritz Zimmermann, "Proclus Arabus Rides Again", ''Arabic Sciences and Philosophy'', 4/1, 1994, pp. 9-51. Non si riscontrano voci su Proclo, o altri autori neoplatonici, nell'indice di Nehemya Allony, ''The Jewish Library in the Midlle Ages: Book Lists from the Cairo Genizah'', cur. Miriam Frenkel & Haggai Ben-Shammai con la partecip. di Moshe Sokolov, Gerusalemme, 2006.</ref> Al momento lasciamo che rimanga una questione aperta se ci siano o meno connessioni dirette o indirette, o se le somiglianze siano dovute a grandi pensatori che trovano soluzioni simili a simili problemi.<ref>Un pari approccio è stato fatto per confrontare [[w:Giamblico|Giamblico]] con Ibn Gabirol — cfr. C.K. Mathis II, "Parallel Structures in the Metaphysics of Iamblichus and Ibn Gabirol", in Lenn E. Goodman (cur.), ''Neoplatonism and Jewish Thought'', 1992, pp. 61-76.</ref> In ogni modo, il confronto è istruttivo.
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Nel suo duplice impegno alla ricerca razionale filosofica e alla verità della Scrittura, Maimonide si trovava nella stessa difficoltà dei neoplatonici rispetto a Platone e ai poeti, e la sua soluzione fu simile alla loro. Dove il significato superficiale del testo biblico si trovava in conflitto con la verità scientifica, o sembrava banale o incomprensibile, il testo doveva essere interpretato in un qualche modo non letterale, anche con la possibilità di allegoria.<ref>Si veda W.Z. Harvey, "On Maimonides' Allegorical Readings of Scripture", in Jon Whitman (cur.), ''Interpretation and Allegory: Antiquity to the Modern Period'', 2000, pp. 181-188. Harvey reputa Averroè come possibile influenza sull'approccio di Maimonide all'allegoria nella ''Guida'', ma nota che potrebbero aver usato fonti comuni.</ref>
 
Maimonide non permette di fare interpretazioni allegoriche indiscriminatamente; alcuni testi permettono "l'analisi intenzionale o teologica del particolare letterario" più di altre. Più il testo permette tale analisi, cioè più i suoi dettagli si originano da un unico concetto guida e non sono arbitrari, e più grande ne è il valore. Dopo aver stabilito due archetipi di parabole, quella della tentatrice e quella del sogno di Giacobbe e la scala, Maimonide prosegue nella ''Guida'' ad attribuire un'importanza profonda, anzi cosmica, ad ogni elemento del sogno di Giacobbe,<ref>Questo viene esaminato nel [[La dimensione artistica e cosmologica della Mishneh Torah/Ritorno#La scala dei comandamenti e la scala della profezia|Capitolo 4, "La scala dei comandamenti"]].</ref> mentre la tentatrice significa semplicemente l'instabilità della materia in termini generali.<ref>Cfr. ''Guida'' III.8 (p. 431). Non per denigrare le parabole del secondo tipo (della tentatrice, per intendersi). Nell'ambito della parabola tutti gli elementi hanno senso e contribuiscono all'atmosfera della storia, solo che non si riferiscono separatamente a qualcosa all'esterno della storia. Come nota Mordechai Z. Cohen, un libro come il [[w:Cantico dei Cantici|Cantico dei Cantici]] ottiene un impatto emotivo dal trattamento di Maimonide come un tutto significativo piuttosto che come un' assemblaggio di parti allegoriche. Si veda M.Z. Cohen, ''Three Approaches to Biblical Metaphor: From Abraham Ibn Ezra and Maimonides to David Kimhi'', Leiden, 2003, pp. 186-188.</ref>
 
Si diceva sopra che la forma della ''Mishneh Torah'' può essere interpretata a livelli di idee ed ispirazione. Si ci aggiungiamo il significato superficiale, otteniamo un'esegesi a tre livelli corrispondente ai livelli di mito demonico, eiconico ed enteastico di Proclo. Abbiamo visto che il mito enteastico è caratterizzato da inclusività. La ''Mishneh Torah'' certamente soddisfa tale condizione, in più modi. La sua inclusività è sia reale, in quanto include l'intera Torah, che governa l'intera vita umana dalla più alta aspirazione intellettuale alla più bassa funzione corporale, sia simbolica, nella sua forma microcosmica. Il fine del mito enteastico, di risvegliare nello spirito del lettore un desiderio di comprendere l'intera realtà, richiama molto la persona che ammira la creazione e brama la conoscenza di Dio in "Leggi dei Fondamenti della Torah", 2:2. ''La Mishneh Torah'' stessa, vista nel suo complesso, mira a stimolare, catturare, intensificare ed incanalare quel desiderio, che è realizzato dal profeta "che contempla l'intera saggezza di Dio come viene dimostrata dalle Sue creature, dalla prima forma sino al centro stesso della terra."<ref>"Leggi dei Fondamenti della Torah", 7:1.</ref>
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Non ci si propone qui di tentare di capire come la teoria letteraria possa considerare la ''Mishneh Torah'', ma la giustapposizione potrebbe essere utile per chiarire alcuni punti:
# Per Maimonide, l’''imitatio Dei'' non è una metafora, ma una ricerca urgente. La somiglianza umana a Dio sta nel possesso di un intelletto, ma ciò è solo un potenziale. Le azioni umane sono, o dovrebbero essere, uno sforzo per realizzare tale potenziale, ma anche se realizzato, la somiglianza è veramente solo per analogia, poiché anche l'intelletto umano più sviluppato, quello di Mosè, fu ben inferiore all'intelletto divino. Applicata alla scrittura, l’''imitatio Dei'' è un'aspirazione, una risposta alla distanza percepita tra uomo e Dio, non un riflesso di onniscienza autoriale.
# La nozione di intertestualità, una delle idee chiave della teoria,<ref>Si veda Graham Allen, ''Intertextuality, cit.''</ref> è superflua per quanto riguarda la ''Mishneh Torah''. Chiaramente esiste solo in relazione ai testi precedenti. Invero, dal punto di vista della teoria, potrebbe essere considerato un testo rovesciato. In contrasto con opere moderne di letteratura, in cui l'originalità è la qualità più pregiata, e una che viene riesaminata dalla teoria letteraria, la ''Mishneh Torah'' appartiene ad un genere in cui l'originalità è più da deplorare. Persegue accuratezza e autenticità rispetto alle fonti del diritto e delle tradizioni — in una lettura superficiale, raramente vi si trova qualcosa che sia il contributo proprio di Maimonide. Anche il suo stile è consciamente derivativo. L'uso dell'ebraico mishnaico associato ad allusioni e riferimenti biblici e talmudici la rende un tipo di esempio centrale del passato letterario ebraico. La consapevolezza di questa dimensione intensifica molto il piacere e l'interesse del lettore esperto, e può a volte essere cruciale per comprendere il suo significato. Quasi lo stesso vale per il suo patrimonio filosofico. Naturalmente questo ragionamento è un po' ingannevole poiché, almeno per alcuni esponenti della teoria, intertesualità non è sinonimo delle fonbti ed influenze manifeste in un 'opera. Ciononostante, si può sempre dire che la ''Mishneh Torah'' palesa intensamente la sua intertestualità; il compito della critica è di scoprirne l'originalità.
# Maimonide è così autoriale, così intenzionale, così tanto presente nella sua opera, perfino cercando di controllare i termini per cui deve essere apprezzata, da non voler essere assolutamente spiazzato dall'intimazione che l'autore è morto.<ref>Si consideri il verdetto di [[w:Harold Bloom|Harold Bloom]] riguardo ad [[w:Ralph Waldo Emerson|Emerson]] in questo rispetto: "Decostruire Emerson naturalmente è impossibile, poiché nessun discorso è mai stato così apertamente consapevole del proprio status come la retoricità" (Bloom, ''[[w:Wallace Stevens|Wallace Stevens]]: The Poems of Our Climate'', Ithaca, 1977, p. 12, citato in Christopher Norris, ''Deconstruction: Theory and Practice'', 1991, p. 120). Si vedano anche i commenti sull'intenzione, in J.L. Kraemer. "How (Not) to Read the ''Guide''", ''Jerusalem Studies in Arabic and Islam'', 32, 2006, pp. 387-389.</ref> Probabilmente siamo ancora molto lontani dall'esaurire l'intenzionalità della sua opera e, a livello di idee, la domanda "Cosa intendeva significare?", che sia sul contenuto o sulla forma o entrambi insieme, rimane valida. Lo scopo di questo studio è di rivelare certi meccanismi simbolici e metaforici presenti nella ''Mishneh Torah''. Prima che vengano rivelati, la loro importanza, intenzionale o meno, non può essere discussa. La ''Mishneh Torah'' deve essere costruita prima che possa essere decostruita.<ref name="Gill1">David Gillis, ''Reading Maimonides' Mishneh Torah, cit.'', p. 50.</ref>
 
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Molta dell'abilità linguistica di Maimonide è persa nella traduzione, ma per dare un assaggio della sua potenza espressiva, riportiamo qui di seguito un passo di una ''halakhah'' a cui faremo riferimento diverse volte nel corso di questo studio, che descrive l'arduo percorso per diventare un profeta:
{{q|Quando uno, abbondantemente dotato di queste qualità e sano fisicamente, entra nel ''[[w:pardes|pardes]]'' e si sofferma costantemente su questi temi grandi ed astrusi, possedendo la mente giusta per comprenderli ed afferrarli; santificandosi, ritirandosi dalle vie del corso ordinario degli uomini che camminano nelle oscurità dei tempi, formandosi zelantemente in modo da non avere nessun pensiero delle vanità dell'epoca ed i suoi intrighi, ma mantenendo la propria mente diretta verso l'alto come fosse sottostante al Trono Celeste, così da intendere le forme pure e sante e contemplare l'intera saggezza di Dio manifesta nelle Sue creature, dalla prima forma fino al centro stesso della terra, apprendendone perciò la Sua grandezza — su tale uomo la Spirito Santo discenderà prontamente.|"Leggi dei Fondamenti della Torah", 7:1}}
 
In [[w:ebraico|ebraico]] questo passo ha una cadenza poetica. È un'unica lunga frase che drammatizza il suo significato, incorporando la dura e lunga lotta per acquisire una perfezione morale ed intellettuale, seguita dalla subitanea discesa del dono profetico. Nell'originale, il ritmo, peso, suono ed associazione sono tutti portati a supportare il significato. Dobbiamo percepire l'ascesa alla profezia ed esserne informati.
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Nel 1191 o 1192, Maimonide scrisse una lettera a Joseph ibn Jaber, uno dei suoi devoti a Baghdad,<ref>''Letters'', ed. Shailat {{he}}, p. 402.</ref> in risposta ad una lettera (non più esistente) in cui Ibn Jaber apparentemente esprimeva dispiacere per la sua carenza di sapere e la sua poca conoscenza dell'ebraico, e richiedeva che la ''Mishneh Torah'' fose tradotta in arabo. Inoltre Ibn Jaber chiedeva chiarimenti su certi giudizi che aveva sentito in giro circa delle sentenze di Maimonide sulla ''Halakhah'', e sembra citasse i suoi tentativi di difendere l'onore del Rambam contro attacchi personali contro di lui a Baghdad, che era la sede del [[w:gaon|gaonato]], e un posto dove la ''Mishneh Torah'' veniva considerata da alcuni come la creatura precoce di un arrivista.
 
La risposta epistolare di Maimonide è cortese ed amichevole, piena di incoraggiamenti. Rassicura Ibn Jaber che ciò che conta non è quello che sa, ma i suoi sforzi per sapere, e fornisce dettagliate risposte alle domande poste, cercando di dissuadere Ibn Jaber dall'essere provocato dagli oppositori e prendere le sue difese. Su un punto però Maimonide è irremovibile: non approverà mai la traduzione della ''Mishneh Torah'' in arabo. Incoraggiando Ibn Jaber a persistenere nello studio dell'ebraico, scrive quanto segue: "Se vuoi studiare la mia opera dovrai imparare l'ebraico un po' per volta... Non intendo comunque produrre un 'edizione araba come tu suggerisci; l'opera perderebbe il suo colore specifico. Come potrei farlo, quando invece desidererei tanto tradurre i miei scritti arabi nella lingua sacra!"<ref>Traduzione stralciata da Isadore Twersky, ''A Maimonides Reader'', 1972, p. 479. Shailat (''Letters, cit.'', p. 409, nota 23) indica che la maggior parte di questo stralcio non c'è nel manoscritto esistente della lettera, ma solo nelle versioni in ebraico. Per questa ragione non mette in dubbio la sua autenticità. Per un'analisi dei manoscritti da parte di Shailat, cfr. ''Letters, cit.'', p. 402-403.</ref>
 
Questa è una strana risposta. Se il motivo per adottare l'ebraico come lingua della ''Mishneh Torah'' era di tipo utilitario per assicurare che potessero leggerlo coloro che non parlavano arabo, cosa c'era di male con l'idea di tradurlo in arabo in modo che potesse essere letto ancor più diffusamente, nel mondo di lingua araba? Di certo ciò avrebbe ulteriormente promosso l'ambizione di Maimonide che la sua opera potesse diventare il codice standard?
 
Inoltre, perchè era preoccupato della perdita di "sfumature linguistiche" solo nella traduzione da un verso e non dall'altro, così da affermare che gli fosse desiderabile "tradurre i miei scritti arabi nella lingua sacra"? Cosa c'era di speciale nella ''Mishneh Torah'', e nella lingua ebraica in generale? Quando la comunità di Lunel gli richiese che la ''Guida'' fosse tradotta dall'arabo all'ebraico, Maimonide rispose affermativamente, e sostenne lo sforzo traduttivo di Samuel ibn Tibbon.<ref>''Letters'', ed. Shailat, p. 555.</ref> Perché assecondò i rabbini provenzali mentre rifiutò il povero e fedele Ibn Jaber di Baghdad e gli intimò di andare a studiare?
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Inoltre, mentre l'introduzione in arabo è rispettosa verso la circostante cultura araba, considerando ebraico ed arabo come sofferenti una pari incuria e per pari ragioni, l'introduzione in ebraico ignora il contesto arabo.
 
Drory nota che l'introduzione araba usa citazioni da [[w:Libro dei Proverbi|Proverbi]], a cui Sa`adyah fa riferimento come libro sapienziale, "il genere letterario meno nazionale della Bibbia". Le citazioni non iniettano contenuto ebraico nel riquadro filosofico della discussione. "Al contrario, connettere idee filosofiche ai versetti biblici e quindi interpretarli in uno spirito filosofico non tradizionale era una dipartita dalle convenzioni di interpretazione rabbinica della Bibbia come veniva riflessa dal Midrash."<ref name="Drory2"/>
 
Non si può evitare di rimaner colpiti dall'esattezza con cui alcune di queste distinzioni si applichino alla ''Mishneh Torah'' e alla ''Guida dei perplessi''. L'argomento è differente, naturalmente: la materia di Maimonide è la legge, non la lingua ebraica. Ma, ''mutatis mutandis'', le differenze di orientamento ed ambiente tra questi due libri sono alquanto simili alle differenze descritte da Drory. La posizione di Maimonide nell'introduzione alla ''Mishneh Torah'' è molto simile a quella del leader che viene in soccorso in un periodo di crisi nazionale, un periodo quando la dispersione e l'instabilità provocate dalle guerre possono compromettere la trasmissione della legge. In questo rispetto, si presenta come indossasse il manto di [[w:Giuda il Principe|Rabbi Giuda il Principe]], che si permise di trascrivere la Legge Orale (che si riteneva non dovesse mai esser messa per iscritto) a causa di analoghi pericoli.<ref>Aulla storicità delle caratterizzazioni maimonidee di Rabbi Giuda il Principe, i suoi tempi e la Mishnah stessa, e cosa motivò tali caratterizzazioni, si vedano la discussione e i riferimenti in [[w:Moshe Halbertal|Moshe Halbertal]], "What Is ''Mishneh Torah''? On Codificatio and Ambivalence", in Jay Harris (cur.), ''Maimonides After 800 Years: Essays on Maimonides and His Influence'', 2007, pp. 81-111. Menahem Ben-Sasson tratta l'enfasi sulla tempestività della ''Mishneh Torah'' uno stratagemma di marketing — cfr. il suo "Maimonides` ''Mishneh Torah'': Towards Canon Formation in the Life of an Author" {{he}}, in Robert Brody ''et al.'' (curr.), ''Uncovering the Canon'' [Hakanon hasamui min ha`ayin] , 2010, pp. 145-147. Per l'interpretazione che Maimonide rappresenta Rabbi Giuda come profeta, con chiari implicazioni per il proprio status, si veda Kreisel, ''Maimonides` Political Thought'', p. 27. La possibilità che la ''Mishneh Torah'' debbe essere considerata come profezia viene discussa più avanti, al [[La dimensione artistica e cosmologica della Mishneh Torah/Da teoria a storia#Mishneh Torah come profezia|Capitolo 5: "''Mishneh Torah'' come prefezia"]].</ref> Invocando un'autorità confinante con quella del profeta, che può sospendere la legge in casi di emergenza, Maimonide, come Rabbi Giuda, ruppe con la tradizione per poterla salvare. C'è inoltre l'ulteriore punto che rivestendo il proprio libro nel linguaggio di Rabbi Giuda il Principe fu un modo per assumere il ruolo di quest'ultimo.
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La distinzione tra la natura filosofica del discorso in arabo e la sua natura non filosofica in ebraico chiaramente si applica, almeno di primo acchito, alla ''Guida'' e alla ''Mishneh Torah''.
 
Nella ''Mishneh Torah'', legge divina significa [[w:Torah|Torah]]; persino le [[w:Noachismo|sette leggi noachiche]] che si applicano ai non ebrei derivano la propria autorità dalla Torah. Nella ''Guida'', Maimonide descrive le caratteristiche della legge divina come una classe di legge,<ref>''Guida'' II.40 (p. 384).</ref> lasciando aperta la possibilità di altre leggi divine oltre alla Torah (anche se la Torah capiti d'essere l'unica della sua classe).<ref>''Guida'' II.39 (pp. 378-381). Pines nota una "lieggera discrepanza" tra ''Guida'' II.39 e ''Guida'' II.40 sul fatto se ci sia più di una legge divina o se la Torah sia unica ("Translator's Introduction: The Philosophic Sources of the ''Guide of the Perplexed''", in ''The Guide of the Perplexed'' I, 1963, p. xc). Ciò che forse è più importante in questo contesto è che ''Guida'' II.39 fornisce le basi filosofiche per l'unicità della Torah — che ci può essere solo una cosa perfetta nell'ambito di una specie — invece di basi storiche, o basi dell'elezione del popolo ebraico. Inoltre, attribuisce la perfezione della Torah alla perfezione di Mosè come profeta. Ciò è in contrasto con la fine si "Leggi dell'Idolatria", I:3, dove il ricevimento della Torah ha un contesto storico, in cui l'elezione del popolo ebraico è citato come un fattore, e dove Mosè è più strumento che agente.</ref> Questo è un contrasto simile a quello tra l'ebraico come lingua di Dio nell'introduzione ebraica di ''Sefer ha`egron'', e l'ebraico come lingua con caratteristiche simili a quelle di altre lingue, nell'introduzione araba.<ref>Per essere assolutamente chiari, il parallelo è valido nonostante l'opinione di Maimonide sull'ebraico fosse molto differente da quella che Sa`adyah espresse nell'introduzione ebraica di ''Sefer ha`egron''. Maimonide non avrebbe tollerato l'idea di Dio che usi una qualsiasi lingua (cfr. ''Guida'' I.65). Ma i testi di Maimonide e di Sa`adyah vengono confrontati per la lora metacaratteristiche, e non per il loro contenuto, per il modo in cui i due scrittori scrivono in ebraico, e non per quello che scrivono dell'ebraico. ai fini della presente discussione quindi, il fatto che l'argomento di ''Sefer ha`egron'' sia la lingua ebraica è causale.</ref>
 
Drory riassume l'esercizio biculturale di Sa`adyah come segue:
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Lo studio di Drory si concentra sul decimo secolo. Tracciare, attraverso due secoli, i collegamenti culturali che possano confermare la legittimità di sovrimporre il "sistema letterario ebraico" di Drory sulla ''Mishneh Torah'' e sulla ''Guida'' farebbe parte di una ricerca separata. L'idea è quindi in un certo modo un'ipotesi speculativa, ma un'ipotesi che sembra essere sostenuta dalla succitata testimonianza ''prima facie'', sia circostanziale (la lettera a Ibn Jaber) sia interna (i diversi orientamenti della ''Mishneh Torah'' e della ''Guida''), che si dimostra avere una potenza esplicativa considerevole, per esempio nel risolvere l'apparente contraddizione tra la trattazione dei sacrifici nella ''Guida'' quale necessità storica temporanea e nella ''Mishneh Torah'' quale istituzione eterna temporaneamente sospesa, materia che verrà considerata nel [[La dimensione artistica e cosmologica della Mishneh Torah/Emanazione|Capitolo 3]].
 
L'ipotesi quindi è che la scelta dell'ebraico da parte di Maimonide, invece dell'arabo, nella ''Mishneh Torah fu determinato da considerazioni tanto culturali quanto utilitarie, sorte dalle convenzioni che governavano l'uso dell'ebraico e dell'arabo per gli scrittori ebrei. Nella sua opera in ebraico, Maimonide porta la legge, come fa Sa`adyah per la lingua ebraica nella sua introduzione in ebraico, oltre la realtà quotidiana in una dimensione metafisica. Un'imitazione diretta dello ''Sefer ha`egron'', consapevole o meno, non può essere esclusa.<ref>Altri paralleli che vengono in mente sono il poema ebraico di Ibn Gabirol ''Keter malkhut'' ed il trattato arabo ''Fons Vitae'', le poesie ebraiche di [[w:Yehuda Ha-Levi|Yehuda Ha-Levi]] e il ''Kuzari'' in arabo.</ref> Nel sistema di Drory, la ''Mishneh Torah'' occupa una posizione atemporale, simbolico-poetica. Il punto non è di negare la qualità artistica della ''Guida'', ma di rinforzare l'idea che la differenza chiave tra questa e la ''Mishneh Torah'' non è una di argomento o di possibile pubblico, ma di genere letterario.
 
Per il lettore che comprendeva le convenzioni, il fatto che la ''Mishneh Torah'' fosse in ebraico avrebbe suscitato certe aspettative. Rimane da dimostrare che tali aspettative vennero realizzate ma, più volte le idee discusse esplicitamente nella ''Guida'' verrano trovate espresse nella ''Mishneh Torah'' simbolicamente, cioè poeticamente, tramite la sua forma (il concetto di macrocosmo e microcosmo rappresentandone un caso di primo piano: è discusso per esteso nella ''Guida'',<ref>''Guida'' I.72.</ref> ma non ce n'è menzione esplicita nella ''Mishneh Torah'').
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L'affermazione ultima fatta sopra sulla ''Mishneh Torah'' come opera d'arte è che è destinata ad essere un libro trasformativo: l'esperienza di leggerlo deve portare il lettore più vicino alla conoscenza di Dio. Tali affermazioni sono già state fatte per la ''Guida''.<ref>Si vedano i commenti sulla ''Guida'' di J.L. Kraemer, "Naruralism and Universalism in Maimonides` Political and Religious Thought, ''cit.''", 2001, p. 66: "L'attenzione del lettore deve essere attratta verso il termine ''tanbih'' ("eccitazione", "stimolo"). È un termine chiave in tutta la ''Guida'', ed indica che il trattato è, inter alia, un'opera protreptica — uno stimolo a perseguire conoscenza filosofica. La legge non contiene conoscenza dell'essere nella sua forma vera. Essa ''eccita'' e ''dirige l’attenzione'' come propedeutico alla conoscenza filosofica."</ref> Tale effetto trasformativo opera in modi differenti nei due libri. Come opera di prosa dioscorsiva, la ''Guida'' smantella progressivamente le false nozioni di Dio e permette la formazione di una vera conoscenza, cosicché il lettore diventa differente alla fine da quello che era all'inizio. C'è anche un elemento progressivo nella lettura della ''M ishneh Torah'', ma il suo effetto ispiratore in verità deriva della percezione sinottica del suo complesso e della interconnessione intricata delle sue parti. Dove la ''Guida'' funziona dialetticamente, la ''Mishneh Torah'' funziona poeticamente. In un senso, Maimonide tradusse la ''Mishne Torah'' in arabo, ma la traduzione implicò ben più di una sostituzione linguistica, ed il risultato fu la ''Guida''.<ref>Da notare che il particolare della halakhah è fornito nella ''Guida'', per così dire, dal collegamento con la ''Mishneh Torah'' mediante rimandi, quando la ''Guida'' tratta dei comandamenti (''Guida'' III.36-49).</ref> Ciò significa che, nel considerare tali questioni, si deve tener conto di un altissimo grado di raffinatezza letteraria. La caratteristica fondamentale di distinzione, quale ''cromosoma'' che determina il genere basilare, è la lingua/linguaggio.
 
===Modelli islamici===
[[File:Arapska diglosija 001.png|thumb|Un esempio di [[w:diglossia|diglossia]] in arabo <ref>Arabo e suoi dialetti. L'immagine mostra le rispettive trascrizioni della frase "Non voglio".</ref>]]
Sulla questione specifica dei modelli islamici riguardo al metodo letterario di Maimonide, due studi, uno di Tzvi Langermann,<ref>Tzvi Y. Langermann, "Fusul Musa; or, On Maimonides` Method of Composition", ''Maimonidean Studies'', 5, 2008, pp. 325-344.</ref> e l'altro di Oliver Leaman,<ref>Oliver Leaman, "Maimonides and the Development of Jewish Thought in an Islamic Structure", in Georges Tamer (cur.), ''The Trias of Maimonides'', 2005, pp. 187-197.</ref> puntano in direzioni opposte: il primo frammenta mentre il secondo cerca di integrare, o piuttosto, il primo guarda alle origini ed il secondo ai fini.
 
Langermann paragona la ''Mishneh Torah'' e la ''Guida'' (in verità l'articolo è principalmente sulla ''Guida'') alla compilazione di aforismi medici scritta da Maimonide ed intitolata ''Fusul musa (Pirkei mosheh)'', e intima che furono composte in modi simili, cioè del tipo di ''fusul'', o brevi capitoli, ognuno ch riassumeva una materia, e composte nell'arco di un lungo periodo di tempo. In questo, sostiene Langermann, egli stava seguendo un modello arabo, particolarmente [[w:al-Farabi|Alfarabi]]. L'introduzione a ''Fusul musa'', in cui Maimonide fornisce un resoconto di come venne composta l'opera, è secondo Langermann indicativa del suo metodo di composizione in generale. ''Fusul musa'' è una raccolta di parafrasi, epitomi e citazioni da [[w:Galeno|Galeno]]; parimenti, la ''Mishneh Torah'' parafrasa, riassume e riproduce materiale da fonti legali ebraiche. E sebbene Langermann non la citi, la descrizione che Maimonide dà di ''Fusul musa'' come un ''aide mémoire'' si adatta al resoconto che dà della ''Mishneh Torah'' nella lettera al suo allievo preferito, il suddetto Joseph ben Judah.
 
Il modello ''fusul'' sembra evidenziare un subordinamento alle fonti su cui si basano i ''fusul''. Leaman cerca di sottolineare il potenziale di originalità nella forma islamica del riassunto:
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In secondo luogo, Maimonide doveva avere una ragione molto buona per deviare dalla sequenza delle leggi presenti nella Mishnah, dopo che aveva illustrato la sequenza mishnaica con tale profondità, avendo considerato tale sequenza in una qualche misura di autorevolezza.<ref>Ci sono testimonianze di altri ordinamenti della Mishnah oltre allo standard '''''Z'''e'''M'''a'''N''' '''N'''a'''K'''a'''T''''', segnatamente di un ordinamento che mette l'Ordine ''Nezikin'' come ultimo dei sei ordini (e naturalmente questo materiale è messo per ultimo nella ''Mishneh Torah''). Cfr. Epstein, ''Introduction to Mishnaic Text, cit.'', pp. 980-981. Esistevano anche diversi ordinamenti dei trattati nell'ambito degli ordini. Appare chiaro, tuttavia, dalla sua introduzione al ''Commentario alla Mishnah'' che Maimonide aveva ora davanti l'ordinamento standard. La sua spiegazione della sequenza degli ordini e dei trattati li presenta in quasi esattamente lo stesso ordine in cui li abbiamo. L'unica eccezione è che nell'Ordine ''Nashim'' egli inverte l'ordine standard dei trattati ''Sotah'' e ''Gittin'', mettendo prima il ''Gittin''. Questa era una nota variante (cfr. Epstein, ''op. cit.'', p. 986), spiegabile secondo la teoria numerica dell'ordine dei trattati dal fatto che ''Sotah'' e ''Gittin'' hanno entrambi nove capitoli. È possibile, però, che Maimonide vedesse nelle varianti registrate un tipo di autorizzazione a deviare dell'ordinamento standard quando venne a comporre la ''Mishneh Torah''.</ref>
 
Queste considerazioni rinforzano l'ipotesi che sia rilevante cercare un principio organizzativo che spieghi la struttura della ''Mishneh Torah''. Questioni come il perché la ''Mishneh Torah'' non inizi come la Mishnah con la recitazione dello [[w:Shema|Shema]] che, con la sua dichiarazione dell'esistenza e unità di Dio, avrebbe fornito un'occasione eccellente per il tipo di disquisizione sui principi fondamentali presenti in "Leggi dei Fondamenti della Torah", e perché l'agricoltura venga considerata solo a metà percorso, richiedono risposte che derivano da un concetto generale che giustifichi un riorientamento radicale del materiale mishnaico.
 
Il rimescolamento dell'Ordine ''Nezikin'' è un'altra faccenda. Ben lungi dall'abbandonare il fondamento logico della sua ''Introduzione alla Mishnah'', ci si accorge che Maimonide lo applica ancor più esaurientemente. Gli ultimi quattro libri della ''Mishneh Torah'' procedono da caos totale ad ordine perfetto. Questo è un esempio di un fatto che si ripeterà diverse volte in questo nostro studio: il rinforzo nella ''Mishneh Torah'' di una tendenza che Maimonide ha identificato nella sua fonte rabbinica.