Guida maimonidea/Critica del linguaggio: differenze tra le versioni

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Rifiutando la volontà divina ha conseguenze non solo sulla creazione ma anche su tutti i concetti fondamentali della fede nel Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Prima di tutto, la negazione della volontà divina mina il concetto tradizionale della profezia. La rivelazione apparentemente sembrerebbe essere un atto di volontà divina. Dio si rivela in un momento particolare con la forza della Sua volontà, esercitando la Sua autorità sull'uomo mediante un comando supremo. L'Ebraismo può sopravvivere senza il concetto di creazione, ma la propria essenza è la rivelazione, e la nozione aristotelica della divinità sembrerebbe quindi minacciare l'essenza dell'Ebraismo. Tuttavia non è solo la rivelazione che è in pericolo nello scontro tra saggezza e volontà. Nozioni fondamentali di religione biblica e tradizione ebraica — provvidenza, ricompensa e punizione, e miracoli, tra le altre cose — dipendono dal fatto che Dio abbia una personalità inclusiva di volontà, motivata e attiva, che reagisce e cambia continuamente. La divinità aristotelica, in contrasto, è interamente egocentrica, inalterabile nella sua perfezione, che muove l'Universo grazie alla sua esistenza. Non c'è quindi da meravigliarsi che la questione di preesistenza o creazione sia divenuta il problema ultimo della fede ebraica nel suo incontro con la filosofia greco-araba. Coloro che interiorizzarono la nozione filosofica della preesistenza si confrontarono con una dura decisione esistenziale rispetto alla propria identità religiosa ebraica.<ref name="Ivry"/>
 
Maimonide analizzò tre possibilità rispetto alla creazione. La prima, quella di Aristotele, negava che ci fosse stato un qualche evento di creazione ''ex nihilo''. Il mondo come lo conosciamo è esistito da sempre; l'universo è eterno. La seconda posizione, quella tradizionale della Torah di Mosè, afferma che Dio creò il mondo ''ex nihilo'' e che il mondo rappresenta qualcosa di nuovo. La terza posizione, attribuita a Platone, asserisce che prima della creazione del mondo esistesse una materia primordiale grezza, che Dio formò nel mondo. Riguardo al concetto del divino, è chiaro che eista una profonda tensione tra la visione di Aristotele e quella della Torah; cioè, tra un mondo eterno preesistente e un mondo creato dal nulla. L'idea platonica della creazione, tuttavia, non nega l'atto volitivo di Dio nell'imporre forma alla materia primordiale. Un ebreo devoto non avrebbe difficoltà ad assorbire tale posizione, che potrebbe persino incorporare il significato semplice del testo biblico. La problematica seria vien posta dalla posizione aristotelica, e questa riceve quindi la maggior attenzione nei capitoli della ''Guida'' che si occupano della creazione. Ed è in questi capitoli che la tensione tra la lettura coservatrice della ''Guida'' e quella radicale diventa palese.<ref name="Ivry"/>
 
La '''lettura conservatrice''' si basa aulle parelle espressi di Maimonide nei capitoli in cui considera la creazione e che si estendono dalla Parte I, Capitolo 71, alla Parte II, Capitolo 31. Lì egli difende l'idea della creazione come una possibilità ragionevole, rifiutando la prova di Aristotele riguardo ad un mondo preesistente. Secondo Maimonide, la ragione è limitata nella sua abilità di risolvere questa questione metafisica; néé la creazione né la preesistenza possono essere provate o confutate. Le limitazioni sorgono dal fatto che una considerazione delle origini del mondo richiede l'analisi di materie come esistono ora e il tentativo di proiettare i risultati di tale analisi nel lontano passato. Tale sorta di esperimento tuttavia può produrre solo congetture. Si presupponga, suggrisce Maimonide, che un bambino divenga orfano di madre mentre ancora infante e fosse cresciuto da un gruppo di uomini su un 'isola sperduta, non vedendo mai una donna, una gravidanza o una nascita. Se gli venisse detto che l'uomo nasce dall'utero di una donna, dove il feto è racchiuso in un contenitore di liquidi incapace di respirare o evacuare le proprie feci, il bambino rifiuterebbe l'idea ritenendola assurda e sosterrebbe con certezza che l'essere umano non potrebbe sopravvivere in quel tipo di situazione per nove mesi. Il difetto nel proiettare dal presente al passato si riscontra nella premessa, spesso semplicemente errata, che le cose restino le stesse. Questo argomento fondamentale proposto da Maimonide assomiglia, sebbene in direzione opposta, all'obiezione sull'induzione sostenuta da [[w:David Hume|David Hume]] centinaia di anni dopo. La nostra conoscenza del mondo si origina dalla nostra esperienza diretta dello stato attuale delle cose. Hume mette in dubbio la nostra capacità di trarre conclusioni dal presente al futuro, una situazione della quale non abbiamo esperienza. Perché possiamo assumere, per esempio, che dato che il sole è sorto stamattina lo farà anche domattina? Lo crediamo perche in tutto il corso della nostra vita abbiamo verificato l'apparizione quotidiana del sole. Ma c'è un problema in questo tipo di induzione, poiché il futuro stesso non è qualcosa che abbiamo verificato. Le nostre inferenze su ciò potrebbero metterci nella situazione dll'animale che è stato ingrassato per la macellazione: la bella vita che ha goduto lo porta ad aspettarsi che tale vita continui felicemente fino a tarda età. Maimonide cita limitazioni analoghe circa la nostra abilità di trarre conclusioni dalle nostre esperienze attuali per il passato.<ref name="Ivry"/><ref name="Creazione"/>
 
Inoltre, Maimonide credeva che, sebbene né la creazione né la preesistenza potessero essere provate, la creazione era nonostante tutto la più ragionevole delle due posizioni. L'astronomia medievale non poteve offrire una spiegazione plausibile del moto stellare e planetario. Se il mondo proseguiva causalmente solo dalla saggezza divina, ci si doveva aspettare che i pianeti e le stelle si muovessero in percorsi circolari regolari. Tuttavia, l'osservazione dimostra che si muovono a velocità differenti ed in direzioni differenti e sono distribuiti in tutti i cieli in gruppi alquanto arbitrari. Per spiegare queste osservazioni, l'astronomia medievale postulava svariati modi di epicicli, ma il quadro che ne risultava era complesso, confuso e sgraziato. Implicava l'esistenza nell'Universo di un elemento di libera scelta e libero arbitrio responsabile di tutto questo disordine. Di conseguenza, il mondo non consegue di necessità dal fatto che Dio esista, e la dipartita da una struttura ordinata riflette un esercizio di volontà e di intenzione deliberata. Se Maimonide avesse conosciuto le scoperte di [[w:Niccolò Copernico|Copernico]] e di [[w:Giovanni Keplero|Keplero]] e della [[w:Isaac Newton|fisica newtoniana]], quasi sicuramente non avrebbe fatto quel ragionamento. L'astronomia moderna ha ovviato la complessità dei cicli e degli epicicli e offerto una struttura elegante del moto celeste che avrebbe entusiasmato i proponenti della saggezza (contro quelli della volontà). Maimonide, in ogni caso, credeva che l'idea di innovazione e creazione ''ex nihilo'', sebbene non necessaria, fosse più ragionevole dell'alternativa.<ref name="Creazione"/>
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La creazione del mondo non è soggetta a prova, e ne consegue che la prova dell'esistenza di Dio non può essere basata sull'idea della creazione. Similmente, un impegno razionale non può essere preso a servizio della fede, neanche per difendere ciò che è considerata la premessa fondamentale dell'esistenza religiosa: "Riassumendo: Ti dirò che la materia è come la mette [[w:Temistio|Temistio]]: ciò che esiste non si conforma alle varie opinioni, ma piuttosto le opinioni corrette si conformano a ciò che esiste" (I:71, p. 179). Inoltre, anche se presumiamo che il mondo sia stato creato nel tempo, non avremmo ragione per questo motivo di negare la realtà dell'ordine causale. Dio creò il mondo mediante un atto di volontà, ma vi ha infuso un ordine causale che opera indipendentemente, come un orologiaio crea un orologio con un meccanismo interno che lo fa operare continuativamente.<ref name="Muta">Michael Schwarz, “Who Were Maimonides' Mutakallimun? Some Remarks on Guide I.73 (part 1)”, ''Maimonidean Studies'' 2, 1991, pp. 159-209; ''id.'', “Who Were Maimonides' Mutakallimun? Some Remarks on Guide I.73 (part 2)”, ''Maimonidean Studies'' 3, 1992-93, pp. 143-172.</ref>
 
Maimonide credeva di aver rivelato gli errori fondamentali del pensiero Kalam, ma non si fermò lì; egli considerò invalida tutta la prospettiva religiosa di quella corrente, con la suaòòò enfasi sulla volontà divina assoluta. Secondo Maimonide, la creazione del mondo nel tempo non è in conflitto con l'esistenza di un ordine causale stabile, che è la meravigliosa espressione della rivelazione di Dio nel mondo. Il principio della creazione permette un intervento intenzionale da parte di Dio, come rivelazione o provvidenza, ma non domina il quadro complessivo del mondo o il concetto del divino. La lettura conservatrice della ''Guida'' rende possibile accettare la creazione senza rigettare la natura e la scienza.<ref name="Muta"/>
 
I vari commenti da parte del primo traduttore ed interprete della ''Guida'', Samuel Ibn Tibbon, suggeriscono che egli rifiutasse la lettura conservatrice sebbene sia quella implicita di una lettura semplice del livello palese del trattato. Invece della lettura conservatrice, Ibn Tibbon adottò quella '''filosofica''', secondo la quale il segreto della ''Guida'' è radicato nell'idea della preesistenza eterna del mondo e la creazione nel tempo è una credenza necessaria piuttosto che una credenza vera. La necessità del credere nella creazione scaturisce dal fatto che l'autorità della legge e l'ordine sociale verrebbero compromessi senza un'accettazione diffusa degli atti della volontà divina, manifesti nella rivelazione e nella provvidenza. Maimonide si adoperò con vigore, e a ragione, di nascondere la sua posizione filosofica, piena di pericolose conseguenze politiche, ed i numerosi capitoli che dedicò a confutare la posizione aristotelica sono intesi a mascherare la sua vera posizione. Una lettura attenta ed ragguagliata dei capitoli specifici sulla preesistenza, come anche gli altri, dimostrano che Maimonide affermava l'interpretazione che il mondo era eterno e preesistente.<ref name="Tibbon">Zvi Diesendruk, "Samuel and Moses ibn Tibbon on Maimonides` Theory of Providence", ''HUCA'' 11, 1936, pp. 341-366; Aviezer Ravitzky, "R. Shmuel ibn Tibbon and the Secret of ''The Guide of the Perplexed''", ''Maimonidean Studies'', 2006, pp. 86-101.</ref>
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Di tutti gli argomenti filosofici esposti nella ''Guida'', questo sembra essere il più debole. Prima di tutto, il male causato dall'assenza del bene può a volte causare grande dolore e sofferenza insopportabile. Il dolore stesso può difficilmente essere descritto come assenza, poiché è reale, esistente e rovente. Oltre a ciò, l'argomento sembra essere un gioco logico casistico che contribuisce ben poco ad una comprensione della questione. Cosa ci si guadagna a chiamare qualcosa l'assenza di un'altra? C'è sicuramente qualcosa d'altro in gioco dietro al fragile argomento dell'assenza, un argomento più profondo e significativo: i danneggiamenti e i mali che risultano dalla nostra natura materiale sono condizioni necessarie. Chiedere perché nel mondo esistano morte, malattia, o vecchiaia difficile è fare domande insensate fintanto che siamo interessati ad essere quello che siamo, cioè creature materiali. Lamentarsi di questi mali necessariamente comporta un'aspettativa di essere qualcosa di diverso da ciò che siamo. Per sua natura stessa, la materia è limitata e finita, e sperare che sia perfetta ed eterna è come sperare di squadrare il cerchio. Distruzione e menomazione sono partte dell'essenza di qualcosa di materiale, e la materia subisce incidenti e non sarà mai perfetta. E così, in quelle relativamente rare occasioni quando dei bambini nascono con difetti, la situazione e legata necessariamente al nostro essere creature in possesso di corpi. Che Dio non crei materiale durevole o perfetto non significa che il Suo potere sia limitato, perché Dio non fa quello che è logicamente impossibile: È incapace di creare un numero "due" che moltiplicandolo per se stesso dia come risultato "cinque".Questo approccio alla prima categoria del male è segnato da un'accettazione profonda di limiti e da un riconoscimento della nostra finitezza. La consapevolezza del male è, tra le altre cose, una conseguenza dell'aspettativa che confronta la limitazione di ciò che è possibile. Se la morte è necessaria, non la viviamo come se fosse un male; è parte dell'essere ciò che siamo. Il riconoscere che qualcosa è inevitabile sminuisce la forza del patimento.<ref name="Male"/>
 
Ma l'affermazione della realtà non può comportare soltanto l'inevitabilità delle sue carenze. La realtà, così com'è, ci deve permettere la possibilità di un'esistenza buona e gratificante. E qui bisogna esaminare le due rimanenti tipologie di male: il male causato da altri e quello volontario, autoimposto. I mali che gli uomini si fanno a vicenda, come le guerre ed i crimini, risultano, secondo Maimonide, dalla lotta per le risorse limitate. Ciò nondimeno, un esame della natura del mondo dimostra che più una risorsa è basilare e necessaria, e più è abbondante. Aria, acqua e cibo di base esistono quasi senza limitazioni. La lotta per le risorse inizia quando le persone interiorizzano fine innaturali, come la ricerca della richchezza, dell'onore, e del piacere. Non ci sono diamanti e lingotti d'oro sufficienti per tutti, né c'è potere e potenza per tutti. La gente interiorizza mete inopportune e poi si lamenta che il mondo non riesca a sodisfare adeguatamente i propri desideri. E ciò incide non solo sui rapporti interpersonali ma anche sulla vita dell'individuo. Se la persona fosse soddisfatta di realizzare i propri bisogni basilari, non verrebbe a passare la sua vita correndo rischi, avendo preoccupazioni, frustrazioni gelosie ed amarezze. Similmente, dato che Maimonide credeva che la maggior parte delle malattie derivasse da una consumazione impropria di cibo, l'uomo in controllo dei propri desideri avrebbe meno esposizione alle malattie e al declino psicofisico.<ref name="Male"/>
 
Il fine dell'essere umano è di sviluppare gli elementi intellettivi della propria vita e perseguire la conoscenza e la verità. La conoscenza, a differenza di potere, richhezza e onore, è una risorsa inesauribile. Che una persona abbia conoscenza non ne diminuisce la disponibilità ad altri. Altri beni immaginabili comportano un gioco a somma zero, in cui il guadagno di una persona è la perdita di un'altra, ed una società che persegue tali beni si creerà dei conflitti come risultato. Ma una società che interiorizza la conoscenza come suo più alto fine, eviterà tali conflitti. Possiederà tutte le risorse materiali di cui necessita per esistere, perché il mondo ne fornisce in quantità sufficiente, e il suo più alto fine, la conoscenza, non è limitata o soggetta a concorrenza. E ciò che è vero per la società è vero anche per l'individuo. Interiorizzando il giusto fine, egli si libererà dai tormenti fisici e spirituali associati alla vita dedita a soddisfare desideri. Questa impostazione del problema del male è profondamente adatta al mondo come è. Il mondo è un reame ideoneo all'essere umano purché l'essere umano adotti il giusto scopo di vita. Ma se fa del male a se stesso o agli altri, è ridicolo reputare ciò come una tragica imperfezione del mondo o la base di una protesta contro Dio.<ref name="Male"/>
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Pertanto, secondo l'opinione di Aristotele, il concetto di provvdienza acquisisce un significato nuovo ed originale. Non connota il coinvolgimento intenzionale di Dio nella vita di una persona o nella storia di una specie o di una nazione. Si riferisce piuttosto alla formazione delle condizioni naturali in cui permanenza e stabilità sono possibili ed assicurate. Gli uomini e le bestie presi individualmente beneficiano di una provvidenza limitata, in quanto vengono loro dati i mezzi di autoconservazione nei rispettivi periodi di vita. All'uomo sono dati gli strumenti di pensiero e movimento che gli permettono di sopravvivere; in tal senso, la sua vita è provvidenziale. La provvidenza quindi non è l'intervento intenzionale di Dio dall'esterno; è la saggezza inerente all'ordine causale naturale, che rende possibili l'esistenza e la permanenza.<ref name="Provvide"/>
 
Maimonide accetta la posizione aristotelica — cioè, che la provvidenza riguarda le specie ma non gli individui — relativamente alle bestie ma la rifiuta relativamente all'uomo. Secondo lui, la provvidenza coinvolge un certo gruppo di esseri umani individuali e non solo l'umanità nel suo complesso. Contesta la conclusione che la natura trascuri le differenze tra le varie creature: "Similmente egli [Aristotele] non differenzia tra un bue che defeca su una miriade di formiche cosicché muoiono, o un edificio le cui fondamenta cedono e fanno morire sepolti nelle macerie tutti i fedeli che pregavano lì dentro. E non c'è differenza, secondo lui, tra un gatto che acchiappa un topo e lo divora o un ragno che divora una mosca, da una parte, ed un leone affamato che si imbatte in un profeta e lo divora, dall'altra" (III:17, p. 466). Maimonide si rifiuta di accettare l'assurdità morale della posizione di Aristotele, che assegna lo stesso ordinamento al topo e al profeta, alla formica e al fedele, senza rispettare nessuna differenza tra loro. Secondo la visione aristotelica, la stessa causalità naturale ha provocato la morte delle formiche sulle quali ha defecato il bue e dei fedeli sui quali è crollato l'edificio. Questa causalità naturale inoltre procede dall'esistenza stessa di Dio, ed è inconcepibile che possa cambiare a causa della condizione religiosa o morale di una data persona particolare. Maimonide rifiuta questa impostazione della provvidenza e l'associa all'idea di un mondo preesistente eterno.<ref name="Provvide"/>
 
'''La terza e la quarta posizione''' sono attribuite agli Ash`ariti e Mu`taziliti, i due movimenti associati al Kalam. Queste interpretazioni, nonostante le loro differenze, riflettono entrambe e fortemente l'idea della creazione nel tempo e l'esercizio della volontà divina. Secondo gli Ash`ariti, la portata dell provvidenza è molto più vasta di quanto non pensasse Aristotele, raggiungendo ogni singolo essere, umano e non. Niente al mondo accade di per se stesso, indipendentemente dalla volontà divina. "Non cade foglia che Dio non voglia" è un detto che esprime chiaramente questa posizione, basata sull'esercizio deliberato della volontà divina. La sovranità assoluta della volontà divina comprende anche le azioni umane eseguite in conformità al decreto divino, cosicché gli Ash`ariti rigettano la possibilità del [[w:libero arbitrio|libero arbitrio]]. I differenti destini degli esseri umani esprimono inoltre la volontà di Dio ed il Suo dominio, come anche le sofferenze e la felicità degli esseri umani le cui azioni sono preordinate. La risposta a qualsiasi domanda sui diversi destini delle persone può soltanto essere "Dio lo vuole".<ref name="Halbert2">Moshe Halbertal, ''Maimonides, cit.'', 2014, pp. 335-353.</ref>
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Maimonide respinge l'impostazione ash`arita, poiché la negazione del libero arbitrio compromette l'essenza della Torah e dei comandamenti. Come si può pretendere che gli uomini osservino i comandamenti della Torah se non sono in grado di scegliere se osservarli o trasgredirli? Similmente, estendere la volontà divina ad ogni singolo evento sembra un'assurdità che porta, tra l'altro, a molte ingiustizie. Perché le persone devono essere punite per ciò di cui non sono responsabili?
 
La posizione mu`tazilita, la quarta presentata da Maimonide, offre una correzione del radicalismo ash`arita, sostenendo che Dio controlla, mediante atti di volontà, tutti i particolari dell'esistenza eccetto le azioni umane. Gli esseri umani esercitano libero arbitrio nelle loro azioni, che sono quindi soggette a ricompensa o punizione. La giustizia divina si applica non solo agli uomini ma anche alle bestie, e tutti saranno ricompensati nel mondo a venire come retribuzione dei tormenti che hanno sofferto in questo mondo terreno. Sebbene questa posizione non indebolisca il potere della Torah, Maimonide tuttavia la rifiuta perché estende la giustizia divina anche alle bestie e collega la volontà di Dio ad ogni azione che accade nel mondo.<ref name="Halbert2"/><ref name="Provvide"/>
 
'''La quinta posizione''' che Maimonide descrive è quella della Torah, la propria. Fintanto che parla di non-umani, dice Maimonide, Aristotele ha ragione di asserire che la provvidenza si applica solo alle specie nel loro complesso. Dio non governa gli eventi che capitano ad ogni singolo animale, e certamente Egli non usa la Sua volontà ogni volta che cade una foglia. Tutti questi eventi sono nell'ambito della regolarità causale generale. Anche la maggior parte degli esseri umani è relegata alla casualità naturale e non è governata dalla provvidenza. Ma Maimonide differisce da Aristotele quando sostiene che gli esseri umani perfezionati sono soggetti alla provvidenza come individui. Egli comprende la provvidenza come un privilegio che distingue gli esseri umani perfezionati da tutti gli altri, e l'essere umano perfezionato differisce da altri esseri nel grado di provvidenza a cui è soggetto. Più vicina è una persona alla perfezione, maggiore è il grado di provvidenza divina a cui è soggetto, poiché egli è legato più strettamente all'intelletto che emana su di lui.<ref name="Provvide"/>
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La posizione di Maimonide si scosta indubbiamente dall'interpretazione tradizionale della provvidenza, che afferma che Dio punisce il malvagio e ricompensa l'ordinario (cioè, coloro che non sono né malvagi né virtuosi). Secondo Maimonide, il malvagio e l'ordinario, costituendo la maggior parte dell'umanità, sono relegati all'imprevidibilità. Ma nonostante questa divergenza drammatica, il concetto che egli presenta ha una sua logica religiosa interna: la provvidenza non è un fatto scontato e non si applica a tutte le persone; è invece qualcosa che solo poche persone provano. In tutta l'esistenza, Dio si cura solo delle specie nel loro complesso, ma gli esseri umani perfezionati meritano una provvidenza individuale. Come operi questa provvidenza individuale è tuttavia oggetto di interpretazioni molto discordanti.<ref name="Provvide"/>
 
La lettura conservatrice della ''Guida'' offre una di queste interpretazioni. La struttura causale è ciò che controlla tutta l'esistenza ed il fato della maggior parte degli esseri umani, ma le persone perfezionate sono soggette all'attenzione speciale di Dio, ed Egli esercita la propria volontà per proteggerle dai pericoli e dalle sventure che colpiscono le altre creature. Secondo questa lettura, natura e saggezza sono conservate rispetto alla realtà nel suo complesso, ma quando necessario la volontà divina interferisce ed agisce nel mondo. Se è così, allora Maimonide rifiuta la posizione ash`arita, secondo cui la provvidenza intenzionale di Dio governa ogni individuo ed evento fino al punto di negare l'intero ordine causale. Ma rifiuta anche la posizione aristotelica, che vede l'ordine causale come principio esclusivo a governo di tutta l'esistenza, sia malvagia che perfezionata. Secondo la lettura conservatrice, l'interpretazione di Maimonide della provvidenza è in parallelo con le sue opinioni in merito alla creazione e alla profezia. Rispetto alla creazione, Maimonide conserva un elemento necessario fondamentale della creazione nel tempo — la creazione dell'esistenza ''ex nihilo'' — e accetta l'azione della volontà divina quando necessaria. Rispetto alla profezia, egli interpreta il fenomeno come naturale, ma lascia spazio ad un esercizio soprannaturale della volontà nel caso della profezia di Mosè. La stessa struttura può essere vista in connessione alla provvidenza. L'ordine causale si applica ovunque eccetto che nel caso di persone perfezionate, che sono protette dalla volontà di Dio. Di conseguenza, il principio della saggezza causale non è la sola spiegazione di ciò che accade nell'universo, ed è limitato in aree relative ai principi di religione — creazione, profezia e provvidenza.<ref name="Provvide"/><ref name="Davidson">Herbert Davidson, "Maimonides` Secret Position on Creation", ''Studies in Medieval Jewish History and Literature'', Harvard University Press, 1979, pp. 16-40; Sarah Klein-Brelavy, ''Maimonides` Interpretation of the Creation Story'', Kluwer Academic Publishers, 2001, ''loc. cit.''</ref>
 
I lettori filosofici della ''Guida'', da parte loro — cioè coloro che la comprendono a supporto della preesistenza eterna — assumono un'opinione alquanto diversa dell'idea che le persone perfezionate siano soggette alla divina provvidenza su base individuale. Secondo la loro lettura, che sembra avere una migliore logica testuale interna, gli individui perfezionati non sono protetti provvidenzialmente mediante l'intervento divino intenzionalmente riservato solo a loro. Piuttosto, la protezione della provvidenza viene loro concessa dalla realtà causale stessa, e può essere comprovata in termini di saggezza, non di volontà. La perfezione degli individui che fruiscono di provvidenza è in proporzione alla loro comprensione di Dio e del mondo, come sottolinea Maimonide, e tale comprensione concede loro due vantaggi che li distinguono da altre presone e dalle bestie. Tali vantaggi appartengono a loro senza nessun intervento di volontà divina.<ref name="Davidson"/><ref name="Halbert2"/>
 
Il primo vantaggio è quello di un posto nel mondo a venire; le loro anime non periscono e non vengono eliminate dal mondo. Come Aristotele, Maimonide credeva che la provvidenza implicasse la possibilità di eternità e stabilità inerenti all'ordine causale. La capacità di eternità è concessa a coloro che ottengono conoscenza e vengono legati all'intelletto attivo; di conseguenza, la provvidenza — concessa, secondo Aristotele, solo a coloro la cui eternità è assicurata — spetta agli individui perfezionati. Samuel Ibn Tibbon interpretò Maimonide in questo modo, pensando che supportasse la posizione che la divina provvidenza non coinvolgesse un intervento divino intenzionale nella vita dell'individuo. In una lettera sulla provvidenza che inviò a Maimonide (a cui Maimonide non rispose mai), Ibn Tibbon dava un'interpretazione filosofica al concetto di profezia come appariva nella ''Guida''. Secondo lui, le avversità colpiscono persone perfezionate nello stesso modo degli altri, e Dio non interviene per liberarle da povertà, malattie, o tribolazioni. Ma poiché aderiscono al giusto fine di comprendere gli intellegibili, cosa che assicura loro la vita eterna, tali persone non considerano questi eventi come tribolazioni.<ref name="IbnT">La lettera di Samuel è stata pubblicata in Z. Diesendruck, "Samuel and Moses Ibn Tibbon on Maimonides` Theory of Providence", ''Hebrew Union College Annual'' 11, 1936, pp. 352-366.</ref> Non considerano tali cose come una perdita di ricchezza, o come malattie, o ostacoli, poiché sono legati a ciò che conta veramente e che assicura loro la vita eterna. Di conseguenza, oltre alla vita eterna assicurata loro, queste persone vengono a contatto con la provvidenza durante la loro vita quotidiana, espressa non in forma di eventi che accadono ma come un profondo cambiamento di consapevolezza.<ref name="IbnT"/><ref name="Halbert2"/>
 
Il secondo vantaggio che la comprensione concede agli individui supervisionati dalla provvidenza, viene descritto da Moses Ibn Tibbon, figlio di Samuel. A differenza di suo padre, Moses sosteneva che quelli perfezionati nel pensiero erano protetti da tribolazioni in maniera pratica, ma non perché Dio controllasse intenzionalmente la realtà a loro beneficio, come afferma la lettura conservatrice.Piuttosto, la conoscenza del mondo che queste persone acquisivano permetteva loro di vivere vite meglio protette, e questo è il loro secondo vantaggio naturale: sanno come prevedere i rischi e valutare opportunamente le situazioni. Inoltre, il loro concentrarsi sulla meta più alta di conoscere Dio li libera da dolori fisici e mentali che affliggono la vita della persona dominata dai desideri. Pertanto gli individui perfezionati si distinguono perché sono protetti provvidenzialmente dalle afflizioni del mondo meglio delle altre persone, ma nell'interpretazione associata all'universo preesistente, tale distinzione non comporta una dipartita miracolosa dall'ordine causale. La protezione e la resistenza rispecchiano semplicemente il fatto che lo stesso ordine causale agisce per il bene.<ref name="IbnT"/>
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{{q|In conformità a queste opinioni, i Sabiani eressero statue per i pianeti, statue d'oro per il sole e d'argento per la luna, e distribuirono i minerali ed i climi tra i pianeti, dicendo che un particolare pianeta era la divinità di un particolare clima. E costruirono templi, ci eressero statue dentro e pensarono che le forze dei pianeti fluissero verso queste statue.|III:29, p. 516}}
 
Secondo Maimonide l'efficacia dei comandamenti si limita piuttosto ad influenzare la consapevolezza umana e l'ordine sociale, e non hanno effetti magici o causali sull'ordine naturale. Ciò succede specialmente riguardo alle leggi di purezza ed impurità. Un oggetto impuro non ha un potere inerentemente dannoso o negativo. Nessun comandamento proibisce di subire uno stato di impurità, come toccando un cadavere, un animale morto, o qualcuno con emissioni corporee impure. Quello che è proibito è entrare nel Santuario mentre ci si trova in uno stato di impurità, e tale proibizione ha un'importante motivazione pratica basata sulla limitazione dell'accesso al Santuario. Se si può entrare in un luogo in qualsiasi momento ed in qualunque condizione, il suo valore agli occhi della moltitudine viene diminuito. Onde precludere tale sorta di entrata non mediata, le persone in stato di impurità avevano il divieto di accesso al Tempio, e più comune era il tipo di impurità, più lunga era il processo di purificazione. Purezza ed impurità quindi non si riferiscono ad un qualche stato di cose positivo o negativo, né riflettono forze quasi demoniache che devono essere arginate o da cui uno deve purificarsi. L'incenso bruciato al Santuario, per esempio, è interamente pratico — mitiga l'odore spiacevole degli animali macellati e del sangue spruzzato nel Tempio. Senza un aroma piacevole, il Santuario sarebbe ritenuto semplicemente un mattatoio e le masse avrebbero meno riguardo per il luogo. Lo scopo di questo sistema ramificato, nonostante le molte interpretazioni magiche assegnatogli, è semplicemente quello di aumentare lo stupore che le persone hanno del Tempio e la solennità grandiosa che gli attribuiscono.<ref name="Comanda"/><ref name="Halbert4"/>
 
===Esercizi spirituali===
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Con l'esposizione delle ragioni dei comandamenti da parte di Maimonide, l'integrazione di Torah e filosofia raggiunge la sua completezza poiché la prospettiva filosofica rappresenta l'aspetto più importante dell'Ebraismo, la vita della Torah ed il suo significato. Come tutte le strutture politiche, alcuni comandamenti mirano a stabilire una societàà giusta e ben ordinata, necessaria per la prosperità umana. A tale scopo la Torah, tramite una varietà di pratiche rituali inculca le credenze necessarie, come ricompensa e punizione, pentimento e perdono, che sono cruciali per consolidare l'obbedienza alla Torah ed ai suoi comandamenti. Altri comandamenti mirano più in là del semplice ordine sociale, puntando alla formazione delle virtù morali che è fondamentale per il bene della città e cruciale per l'ottenimento di forme più elevate di vita utile, significativa, che dipenda dall'autocontrollo e dalla disciplina delle passioni. Come legge divina orientata oltre la perfezione del corpo e la società bene ordinata, la Torah dirige gli esseri umani verso la perfezione ultima mediante il complesso tentativo di sradicare l'idolatria e stabilire la verità dell'unità e trascendenza di Dio. Oltre al ruolo avuto dai comandamenti di stabilire una società sana, di perfezionare il carattere, e di instillare le credenze necessarie e le verità opportune, essi operano anche come elemento centrale del percorso spirituale dell'uomo. Tale percorso inizia con l'ascendenza della facoltà immaginativa, che riempie la sua consapevolezza di ansie ed aspirazioni relative alla vita mondana, ma si conclude con l'unione agli intellegibili ed una beata liberazione dalla paura della morte.<ref name="Filosofo"/>
 
==Note==
<references/>