Torah per sempre/La grande catena dell'Essere: filosofi e cabalisti: differenze tra le versioni

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Come si inseriscono le tre fasi nell'insegnamento ebraico convenzionale? Per i filosofi, l'autopurificazione (''seauto katharsia'') significava affrancarsi dal mondo materiale. Ciò portava ad una tendenza ascetica che divergeva dalla più mondana visione rabbinica; fu forse per questo che Israeli non si sposò mai?<ref>Lo storico mussulmano Ibn Juljul affermò che quando gli chiese se desiderasse un figlio, Israeli rispose: "No, ho cosa molto migliore nel ''Libro delle Febbri''", volendo significare che sarebbe stato meglio ricordato dai suoi libri. Altmann & Stern, ''Isaac Israeli'', pp. 188-189.</ref> L'"Illuminazione" non era un problema, anche se i filosofi la interpretavano un po' differentemente dai rabbini tradizionali. L'"Unione" era più difficile da accettare nell'ebraismo, poiché qualsiasi nozione di vera unione col divino era destinata a sollevare questioni di blasfemia; non era forse presuntuoso obliterare o anche solo minimizzare la distanza assoluta tra creatore e creato? Inoltre, l'unione implicava una negazione di individualità personale e ciò era difficile da riconciliare con la visione più tradizionale di vita dopo la morte quale perpetuazione dell'anima individuale. Israeli evitò entrambe le complicazioni descrivendo l'unione come fase in cui l'anima diventa intelletto puro, o spirito.<ref>Cfr. Plotino, ''Enneadi'' VI.7.35 e III.4.3. Altmann & Stern, ''Isaac Israeli'', p. XVIII.</ref>
 
Se alcuni filosofi ebrei o cabalisti prendano veramente in considerazione una ''unio mystica'' nel senso di una fusione totale col divino, rimane una controversia tra accademici. [[w:Gershom Scholem|Gershom Scholem]] negava enfaticamente che esistesse un tale concetto nell'ebraismo; il suo discepolo Moshe Idel invece lo afferma altrettanto enfaticamente. Idel, forse trascurando la connessione indiana, argomenta che il concetto di Plotino dell'unione mistica può essere fatto risalire a Numenio, ad Akiva e infine a Filone;<ref>Idel, ''Kabbalah: New Perspectives'', p. 39.</ref> suddivide la terminologia ebraica del ''[[w:Deveikuth|deveikuth]]''<ref>''[[w:Deveikuth|Deveikuth]]'' ("stringersi/tenersi uniti [a Dio]") è un termine usato sia da filosofi che da cabalisti per indicare il raggiungimento mistico ultimo di vicinanza al divino. Deriva dall'espressione biblica di [https://www.biblegateway.com/passage/?search=deuteronomio+11%3A22&version=CEI;LND;NR2006 Deuteronomio 11:22] e [https://www.biblegateway.com/passage/?search=Giosu%C3%A9+22%3A5&version=CEI;LND;NR2006 Giosuè 22:5].</ref> e i gruppi di letteratura che ne derivano in tre gruppi:
# Aristotelico, che si concentra sull'unione tra intelletto dell'individuo e quello della più bassa delle intelligenze superiori — l'"Intelletto Attivo". Questo lo si riscontra in Maimonide e in un certo modo nella cabala estatica.
# Neoplatonico, che si concentra sull'unione dell'anima umana con la sua "radice", l'anima universale, o anche la divinità stessa. Questo lo si ritrova in filosofi come Ibn Gabirol, da cui proseguì verso la cabala di Girona e infine al [[w:Chassidismo|chassidismo]].
# Dal corpus ermetico, Giamblico e Proclo, proviene la nozione teurgica di "far scendere" e "manipolare" il divino; elementi di ciò, sebbene in combinazione con altre terminologie, si riscontrano tra cabalisti di tendenza teurgica come Cordovero e, nuovamente, i chassidim.
 
== La Discesa e gli ''Involucri'' ==