Storia della letteratura italiana/Cesare Pavese: differenze tra le versioni

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{{Storia della letteratura italiana|sezione=8}}
{{torna a|Cesare Pavese}}
{{Citazione|Io non so ancora se sono un poeta o un sentimentale <ref>da ''Il mestiere di vivere'', pag. 65, 15 settembre 1936</ref>}}
Importante fu l''''opera''' di [[Cesare Pavese]] [[scrittore]] di [[romanzo|romanzi]], [[poesia|poesie]] e [[racconto|racconti]], ma anche quella di [[traduttore]] e [[critica letteraria|critico]] e degna di essere messa in risalto è la sua '''poetica'''.
[[File:Cesare Pavese 10.jpg|thumb|right|270px|Ritratto di Pavese]]
 
==Poetica eLa vita stile==
{{...}}
Nella prima parte dell'opera [[Il mestiere di vivere. Diario 1935-1950|Il mestiere di vivere]] dal titolo ''Secretum Professionale (ott.-dic. 1935 e febb. 1936)'' Pavese annota le sue riflessioni sul modo di fare poesia e in generale di fare arte costruendo quella che si può definire la sua [[poetica]] e precedentemente, nell'''Appendice critica'' anteposta a [[Lavorare stanca]] intitolata ''Il mestiere di poeta'', il giovane scrittore riconosce allo studio su [[Walt Whitman]] (soggetto della sua tesi di [[laurea]]) e alla traduzione de "Il nostro signor Wrenn" di [[Sinclair Lewis]], il merito di averlo reso libero dalla schiavitù dei [[Metrica|metri]] tradizionali.
 
== Poetica e stile ==
Sempre nel "Mestiere di vivere" continuano infittendosi (soprattutto nel periodo del [[1942]] e l'inizio del [[1945]]) e con maggiore sicurezza, le note su come devono essere strutturate le [[immagine|immagini]], sulla necessità di utilizzare la [[commozione]], sull'importanza del [[grammatica italiana|tempo presente e del passato]] per un valore costruttivo da dare all'opera, come condensare il [[racconto]] attraverso il tono, che cosa sia in realtà il tono ''"un ripensare avvenimenti più o meno illuminati"'' <ref>''op. cit.'', pag. 125</ref> oltre ad analizzare il tempo [[narrazione|narrativo]] e cercare il modo di renderlo più scorrevole accorciandolo e rallentandolo, come costruire un [[personaggio immaginario|personaggio]] e come farlo parlare, come passare dalla semplice [[proposizione (grammatica)|proposizione]] alla [[frase]], come ottenere un racconto ben equilibrato, l'importanza del punto di vista e ancora appunti sullo [[stile]], sulla [[linguaggio|lingua]] e sulla [[tecnica]].
Nella prima parte dell'opera ''Il mestiere di vivere'' dal titolo ''Secretum Professionale (ott.-dic. 1935 e febb. 1936)'' Pavese annota le sue riflessioni sul modo di fare poesia e in generale di fare arte costruendo quella che si può definire la sua poetica e precedentemente, nell'''Appendice critica'' anteposta a Lavorare stanca intitolata ''Il mestiere di poeta'', il giovane scrittore riconosce allo studio su Walt Whitman (soggetto della sua tesi di laurea) e alla traduzione de "Il nostro signor Wrenn" di Sinclair Lewis, il merito di averlo reso libero dalla schiavitù dei metri tradizionali.
===La tecnica===
Se a quei tempi la parola tecnica era, nel clima letterario [[Benedetto Croce|crociano]], parola disprezzata, essa viene spesso menzionata da Pavese per il quale, certamente grazie all'influenza dovuta alla sua [[cultura]] [[statunitense]], la tecnica è l'unico strumento in grado di decidere lo stile di un autore {{Citazione|La prova dell'essenziale composizione a freddo è lo stile, lucido, vitreo, anche se ogni tanto si colora di passionali scatti. Sono calcoli, ragionati, anche questi.<ref>''op. cit.'', pag. 58</ref>}}
 
Sempre nel "Mestiere di vivere" continuano infittendosi (soprattutto nel periodo del 1942 e l'inizio del 1945) e con maggiore sicurezza, le note su come devono essere strutturate le immagini, sulla necessità di utilizzare la commozione, sull'importanza del tempo presente e del passato per un valore costruttivo da dare all'opera, come condensare il racconto attraverso il tono, che cosa sia in realtà il tono ''"un ripensare avvenimenti più o meno illuminati"'' <ref>''op. cit.'', pag. 125</ref> oltre ad analizzare il tempo narrativo e cercare il modo di renderlo più scorrevole accorciandolo e rallentandolo, come costruire un personaggio e come farlo parlare, come passare dalla semplice proposizione alla frase, come ottenere un racconto ben equilibrato, l'importanza del punto di vista e ancora appunti sullo stile, sulla lingua e sulla tecnica.
Pavese parla spesso di [[arte]] intesa come "mestiere" e la tecnica gli serve come autodisciplina per sfuggire alle tentazioni del [[romanticismo]] con una scelta quindi che non intende solamente rispondere a canoni [[estetica|estetici]] ma soprattutto [[etica|etici]] e che l'aiutano ad evitare di lasciarsi andare ad un semplice piacere narrativo.
 
=== La tecnica ===
Pavese evita nelle sue opere tutte le forme romanzesche che si basano su costruzioni tradizionali come gli intrighi e i colpi di scena e costruisce storie che si basano su una [[Trama (narrativa)|trama]] narrativa quasi inesistente, tanto è vero che, come scrive [[Marziano Guglielminetti]] <ref>Marziano Guglielminetti-Giuseppe Zaccaria, ''Cesare Pavese'', [[Le Monnier]], [[Firenze]], 1982, pag. 73</ref> "''... è stato osservato che il termine "romanzo", riferito alla narrativa pavesiana, viene usato non senza qualche approssimazione e improprietà (lo stesso Pavese preferì del resto ricorrere alla formula di "romanzo breve")''".
Se a quei tempi la parola tecnica era, nel clima letterario [[../Benedetto Croce|crociano]], parola disprezzata, essa viene spesso menzionata da Pavese per il quale, certamente grazie all'influenza dovuta alla sua cultura statunitense, la tecnica è l'unico strumento in grado di decidere lo stile di un autore
 
{{quote|La prova dell'essenziale composizione a freddo è lo stile, lucido, vitreo, anche se ogni tanto si colora di passionali scatti. Sono calcoli, ragionati, anche questi.<ref>''op. cit.'', pag. 58</ref>}}
 
Pavese parla spesso di arte intesa come "mestiere" e la tecnica gli serve come autodisciplina per sfuggire alle tentazioni del romanticismo con una scelta quindi che non intende solamente rispondere a canoni estetici ma soprattutto etici e che l'aiutano ad evitare di lasciarsi andare ad un semplice piacere narrativo.
 
Pavese evita nelle sue opere tutte le forme romanzesche che si basano su costruzioni tradizionali come gli intrighi e i colpi di scena e costruisce storie che si basano su una trama narrativa quasi inesistente, tanto è vero che, come scrive Marziano Guglielminetti <ref>Marziano Guglielminetti-Giuseppe Zaccaria, ''Cesare Pavese'', Le Monnier, Firenze, 1982, pag. 73</ref> "''... è stato osservato che il termine "romanzo", riferito alla narrativa pavesiana, viene usato non senza qualche approssimazione e improprietà (lo stesso Pavese preferì del resto ricorrere alla formula di "romanzo breve")''".
 
Nell'esaminare le opere di Pavese si osserva inoltre che la sua narrativa si rifà alla legge statica della ripetizione in quanto egli circoscrive il suo ambito tematico intorno a motivi fondamentali che non si cura di ampliare ma che al contrario cerca di ripetere con insistenza volutamente monotona, perché, come egli scrive
 
{{quote|Raccontare è sentire nella diversità del reale una cadenza significativa, una cifra irrisolta del mistero, la seduzione di una verità sempre sul punto di rivelarsi e sempre sfuggente. La monotonia è un pegno di sincerità.<ref>in ''Raccontare è monotono'', ''Saggi letterari'', ''op. cit.'', pagg. 307-308</ref>}}
 
Lo scrittore vuole così dimostrare che, per rappresentare la realtà interiore finalmente trovata, non è necessario cercare cose nuove ma che il più grande sforzo è da rivolgersi a come, tecnicamente, questa realtà verrà rappresentata
 
{{quote|''Arte è tecnica'' e tutti sanno che un prodotto della tecnica è qualcosa di artificiale, di approssimativo, che tende senza posa a perfezioni, a fondarsi su scoperte più esatte e puntuali. ''Arte'' è insomma ''artificio''.<ref>Cesare Pavese, ''Saggi letterari'' in ''Opere'', Einaudi, 1968, pag. 48</ref>}}
 
=== Il simbolo ===
Come l'autore stesso scrive ne ''Il mestiere di vivere'' in data 10 dicembre 1939, si tratta di riuscire a rappresentare la realtà attraverso i simboli perché
 
{{quote|Il simbolo... è un legame fantastico che tende una trama sotto il discorso.<ref>da ''Il mestiere di vivere'', ''op. cit.'', pag. 165, 10 dicembre 1939</ref>}}
 
Nell'esaminare le [[opera|opere]] di Pavese si osserva inoltre che la sua narrativa si rifà alla legge [[statica]] della [[ripetizione]] in quanto egli circoscrive il suo ambito tematico intorno a motivi fondamentali che non si cura di ampliare ma che al contrario cerca di ripetere con insistenza volutamente monotona, perché, come egli scrive
{{Citazione|Raccontare è sentire nella diversità del reale una cadenza significativa, una cifra irrisolta del mistero, la seduzione di una verità sempre sul punto di rivelarsi e sempre sfuggente. La monotonia è un pegno di sincerità.<ref>in ''Raccontare è monotono'', ''Saggi letterari'', ''op. cit.'', pagg. 307-308</ref>}}
Lo scrittore vuole così dimostrare che, per rappresentare la [[realtà]] interiore finalmente trovata, non è necessario cercare cose nuove ma che il più grande sforzo è da rivolgersi a come, tecnicamente, questa realtà verrà rappresentata
{{Citazione|''Arte è tecnica'' e tutti sanno che un prodotto della tecnica è qualcosa di artificiale, di approssimativo, che tende senza posa a perfezioni, a fondarsi su scoperte più esatte e puntuali. ''Arte'' è insomma ''artificio''.<ref>Cesare Pavese, ''Saggi letterari'' in Opere, [[Giulio Einaudi Editore|Einaudi]], 1968, pag. 48</ref>}}
===Il simbolo===
Come l'autore stesso scrive ne ''Il mestiere di vivere'' in data 10 dicembre [[1939]], si tratta di riuscire a rappresentare la realtà attraverso i [[simbolo|simboli]] perché
{{Citazione|Il simbolo... è un legame fantastico che tende una trama sotto il discorso.<ref>da ''Il mestiere di vivere'', ''op. cit.'', pag. 165, 10 dicembre 1939</ref>}}
Pertanto ciò che interessa a Pavese veramente (e su questo argomento egli si sofferma più volte nel suo Mestiere di vivere) è quello di riuscire a rappresentare non tanto la realtà oggettiva delle cose ma quella che egli definisce la "''realtà simbolica''" <ref>Il riferimento si trova nello ''schema'' tracciato dallo stesso Pavese nel ''Mestiere di vivere'' il 26 novembre 1939</ref>, quella cioè che si nasconde al di sotto della esteriorità.
 
{{Citazione|Ci vuole la ricchezza d'esperienze del realismo e la profondità di sensi del simbolismo. Tutta l'arte è un problema di equilibrio fra due opposti.<ref>da ''Il mestiere di vivere'', ''op. cit.'', pag. 166, 14 dicembre 1939</ref>}}
{{quote|Ci vuole la ricchezza d'esperienze del realismo e la profondità di sensi del simbolismo. Tutta l'arte è un problema di equilibrio fra due opposti.<ref>da ''Il mestiere di vivere'', ''op. cit.'', pag. 166, 14 dicembre 1939</ref>}}
 
Occorre inoltre specificare che, come ha affermato il professor Guido D. Bonino, Pavese unisce il concetto di simbolo con quello di ''mito''. Quest'ultimo, stando alla filosofia pavesiana, si profila come l'obiettivo cui la poetica deve tendere, il mistero arcano, oscuro da svelare, il lato selvaggio, truculento da domare, riscoprendolo con un secondo apprendimento, quello della memoria. Infatti tutti noi apprendiamo il mito nel periodo dell'adolescenza, facendo le nostre esperienze, in quella fase paragonabile a un limbo tra innocenza e maturità, in cui ogni scoperta ha influssi simbolici, appunto, permanenti ed estremamente significativi. Ma la scoperta, lo scioglimento dell'enigma mitico rappresenta la fine dell'arte, un arresto incontrovertibile, in quanto - mediante questo processo - subentra la storia, la realtà, che domina il simbolo e lo chiarifica, estinguendolo, esaurendolo.
 
Sono più d'uno gli scrittori del Novecento che adottano, nella propria arte, il mito. Questa è una caratteristica tipica degli scrittori statunitensi, "importata" in Italia da intellettuali quali, appunto, Pavese, [[Elio Vittorini]], [[Beppe Fenoglio]]. In Pavese, inoltre, la giovinezza stessa è un mito, un'ossessione (termine molto caro, invece, a [[Pier Paolo Pasolini]]). Leggendo Pavese ci imbattiamo in un desiderio, in un costante rimpianto dell'adolescenza (fatto che lo rende accostabile, in un certo senso, a [[Giovanni Pascoli]]). Ma mentre per altri questo "ritorno" è cosa possibile o, comunque, non messa in discussione ma semplicemente attesa e ammirata, Pavese respinge questa possibilità, reputandola impossibile.
 
È questo il tema centrale del capolavoro pavesiano, ''La luna e i falò''. Il protagonista, Anguilla, si è allontanato dal paese natale, per far fortuna in America. Tornato, si trova di fronte a un senso di spaesamento, tenta di reintegrarsi ma non ci riesce. Tutti i legami che aveva con le proprie origini e con la propria adolescenza si sono scissi, eccetto quello con l'amico Nuto. In conclusione, il senso del ritorno (che riecheggia, in quanto Pavese era un grande appassionato di mitologia classica, il ''nostos'' dell'Ulisse omerico) è fallito, le illusioni di recuperare il tempo perduto si dimostrano tali.
 
È questo il tema centrale del capolavoro pavesiano, ''[[La luna e i falò]]''. Il protagonista, Anguilla, si è allontanato dal paese natale, per far fortuna in America. Tornato, si trova di fronte a un senso di spaesamento, tenta di reintegrarsi ma non ci riesce. Tutti i legami che aveva con le proprie origini e con la propria adolescenza si sono scissi, eccetto quello con l'amico Nuto. In conclusione, il senso del ritorno (che riecheggia, in quanto Pavese era un grande appassionato di mitologia classica, il ''nostos'' dell'Ulisse omerico) è fallito, le illusioni di recuperare il tempo perduto si dimostrano tali.
E la storia (la guerra civile) ha sconfitto il mito, perché alla conclusione del romanzo, prendendo d'esempio il simbolo-chiave del romanzo, cioè il ''falò'', i significati simbolici cedono spazio a quelli reali: i falò, interpretati come uso tradizionale contadino per "risvegliare" la terra, diventano roghi di morte e distruzione, riecheggianti le devastazioni della guerra civile.
 
Il 17 novembre [[1949]], Pavese aveva stilato sul suo ''diario'' una classificazione delle opere fino a quel momento fatte basandosi su di un [[criterio]] [[storico]]-contenutistico
 
{{Citazione|Hai concluso il ciclo storico del suo tempo: ''Carcere'' (antifascismo confinario), ''Compagno'' (antifascismo clandestino), ''Casa in collina'' (resistenza), ''Luna e i falò'' (post-resistenza). Fatti laterali: guerra '15-'18, guerra di Spagna, guerra di Libia. La saga è completa. Due giovani (''Carcere'' e ''Compagno'') due quarantenni (''Casa in collina'' e ''Luna e falò''). Due popolani (''Compagno'' e ''Luna e falò'') due intellettuali (''Carcere'' e ''Casa in collina'').<ref>da ''Il mestiere di vivere'', pag. 375</ref>}}
{{quote|Hai concluso il ciclo storico del suo tempo: ''Carcere'' (antifascismo confinario), ''Compagno'' (antifascismo clandestino), ''Casa in collina'' (resistenza), ''Luna e i falò'' (post-resistenza). Fatti laterali: guerra '15-'18, guerra di Spagna, guerra di Libia. La saga è completa. Due giovani (''Carcere'' e ''Compagno'') due quarantenni (''Casa in collina'' e ''Luna e falò''). Due popolani (''Compagno'' e ''Luna e falò'') due intellettuali (''Carcere'' e ''Casa in collina'').<ref>da ''Il mestiere di vivere'', pag. 375</ref>}}
 
e il 26 novembre dello stesso anno, evidentemente non soddisfatto dell'abbozzo precedente, dopo alcune righe di riflessione sui ricordi e sull'estasi del ricordo compila uno schema diverso dal quale lascia intendere che la costruzione narrativa si basa su precisi elementi che però da soli non rappresentano la realtà, ma, come scrive Marziano Guglielminetti,<ref>''op. cit.'', pag. 77</ref> "''Dal gioco di rapporti che tra loro si stabilisce deve scaturire una realtà ulteriore, oscura e ancestrale, alla quale i singoli elementi esteriori, immediatamente percepibili, rinviano in forma simbolica. In questa trama di corrispondenze, che strutturano in profondità il tessuto narrativo, consiste la particolare qualità del linguaggio metaforico di Pavese''".
 
{| borderclass=1"wikitable" align=center
|+ '''Quadro sinottico dello svolgimento dell'opera pavesiana.''' <ref>da ''Il mestiere di vivere'', ''op. cit.'', pag. 377, 26 novembre 1949</ref>
|''[[Lavorare stanca]]''|| [[1930]] [[1933]] [[1936]] [[1938]] [[1940]]|| [[parola]] [[sensazione|sensazioni]]||
|-
|''[[Il carcere]]'' - ''[[Paesi tuoi]]'' - ''[[La bella estate]]'' - ''[[La spiaggia (romanzo)|La spiaggia]]''||[[1938]], [[1939]], [[1940]], [[1941]]|| [[Naturalismo (letteratura)|naturalismo]]
|-
|''[[Feria d'agosto]]'' ||[[1941]], [[1942]], [[1943]], [[1944]]||[[poesia]] in [[prosa]] e consapevolezza dei [[mito|miti]]
|-
|''[[Verrà la morte e avrà i tuoi occhi|La terra e la morte]]'', ''[[Verrà la morte e avrà i tuoi occhi]]''||[[1945]], [[1947]]
|-
|''[[Dialoghi con Leucò]]''||[[1945]]
|-
|''[[Il compagno]]'' || [[1946]] || gli estremi: naturalismo e [[simbolo]] staccati
|-
|''[[La casa in collina]]'' - ''[[Il diavolo sulle colline]]'' - ''[[Tra donne sole]]'' - ''[[La luna e i falò]]'' || [[1947]] - [[1948]] - [[1949]] - 1949 ||[[realtà]] [[simbolismo|simbolica]]
|}
 
=== Lo stile ===
Nell'opera di Pavese lo [[stile]] si fonde con le situazioni attraverso la disposizione delle [[parola|parole]] che seguono lo stesso [[ritmo]] delle [[emozione|emozioni]] vissute nella realtà interiore. Il ritmo diventa pertanto il [[protagonista]] delle sue opere dove i [[personaggio immaginario|personaggi]] e gli episodi non sono altro che un pretesto per raccontare. Un raccontare che rifugge dalle costruzioni complesse e che si basa su una [[sintassi]] essenziale fatta di [[cadenza|cadenze]] prese dal [[linguaggio]] [[dialetto|dialettale]], da [[cesura|cesure]] del [[periodo (grammatica)|periodo]] e dall'uso della [[paratassi]]. La scrittura di Pavese può dunque sembrare povera, ma è una povertà apparente perché essa corrisponde a un programma teorico ben delineato che si basa su un severo esercizio di stile e non è una scrittura naturalistica come scrive lo stesso autore nel suo diario l'11 settembre del [[1941]]
 
{{Citazione|... il narrare non è fatto di realismo psicologico, né naturalistico, ma di un disegno autonomo di eventi, creati secondo uno stile che è la realtà di chi racconta, unico personaggio insostituibile.<ref>''op. cit.'', pag. 229</ref>}}
{{quote|... il narrare non è fatto di realismo psicologico, né naturalistico, ma di un disegno autonomo di eventi, creati secondo uno stile che è la realtà di chi racconta, unico personaggio insostituibile.<ref>''op. cit.'', pag. 229</ref>}}
 
== La poesia ==
=== La poesia-racconto di ''Lavorare stanca'' ===
{{quote|Poesia è ''ora'', lo sforzo di afferrare la superstizione - il selvaggio - il nefando - e dargli un nome, cioè conoscerlo, farlo innocuo. Ecco perché l'arte vera è tragica - è uno sforzo. La poesia partecipa di ogni cosa proibita dalla coscienza - ebbrezza, amore - passione, peccato - ma tutto riscatta con la sua esigenza contemplativa, cioè conoscitiva.<ref>Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, Einaudi, Torino, 2000, pag., 291, 2 settembre 1944.</ref>}}
 
Lo sperimentalismo tecnico e metrico di Pavese viene applicato alla raccolta di ''Lavorare stanca'', isolando la stessa dalla tipologia della produzione poetica contemporanea. La sua vuole essere una ''poesia-racconto'', priva di immagini retoriche e basata sui fatti essenziali, il più possibile basata sulla chiarezza, sulla semplicità e sull'oggettività in contrapposizione alla poesia astratta degli ermetici.
 
Ad offrirgli l'esempio di un linguaggio improntato alla semplicità è Gozzano che, nel nominare le cose e gli avvenimenti con il grigiore della quotidianità, usa un tipo di verso che è discorsivo e prosastico.
 
La presenza gozzaniana si avverte subito nella prima poesia della raccolta, ''I mari del Sud'', del 1931, dove viene ripetuta, con il racconto del cugino reduce dai mari del Sud, la situazione che si crea nella poesia ''L'Analfabeta'' di Gozzano che, arruolato nell'armata sarda, ha visitato le steppe di Crimea.
==La poesia==
{{vedi anche|Lavorare stanca}}
===La poesia-racconto di ''Lavorare stanca''===
{{Citazione|Poesia è ''ora'', lo sforzo di afferrare la superstizione - il selvaggio - il nefando - e dargli un nome, cioè conoscerlo, farlo innocuo. Ecco perché l'arte vera è tragica - è uno sforzo. La poesia partecipa di ogni cosa proibita dalla coscienza - ebbrezza, amore - passione, peccato - ma tutto riscatta con la sua esigenza contemplativa, cioè conoscitiva.<ref>Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, Einaudi, Torino, 2000, pag., 291, 2 settembre 1944.</ref>}}Lo sperimentalismo tecnico e [[metrica|metrico]] di Pavese viene applicato alla raccolta di ''[[Lavorare stanca]]'', isolando la stessa dalla tipologia della produzione poetica contemporanea. La sua vuole essere una ''poesia-racconto'', priva di immagini [[retorica|retoriche]] e basata sui fatti essenziali, il più possibile basata sulla chiarezza, sulla semplicità e sull'oggettività in contrapposizione alla poesia astratta degli [[ermetismo (letteratura)|ermetici]].
 
Il verso di questa prima poesia, in endecasillabi, è ampio e fluente e risente ancora di qualche misura tradizionale anche se già prevalgono le lasse di dodici e tredici sillabe e l'irrompere del dialetto è motivo nuovo e lontano dal linguaggio di Gozzano dal quale Pavese sembra volersi liberare.
Ad offrirgli l'esempio di un linguaggio improntato alla semplicità è [[Guido Gozzano|Gozzano]] che, nel nominare le cose e gli avvenimenti con il grigiore della quotidianità, usa un tipo di [[verso]] che è discorsivo e [[prosa]]stico.<br />
La presenza gozzaniana si avverte subito nella prima poesia della raccolta, ''I mari del Sud'', del [[1931]], dove viene ripetuta, con il racconto del cugino reduce dai mari del Sud, la situazione che si crea nella poesia ''L'Analfabeta'' di Gozzano che, arruolato nell'[[armata]] [[Sardegna|sarda]], ha visitato le [[steppa|steppe]] di [[Penisola di Crimea|Crimea]].
 
=== La lirica di ''Verrà la morte e avrà i tuoi occhi'' ===
Il verso di questa prima poesia, in [[endecasillabo|endecasillabi]], è ampio e fluente e risente ancora di qualche misura tradizionale anche se già prevalgono le [[lassa|lasse]] di dodici e tredici [[sillaba|sillabe]] e l'irrompere del [[dialetto]] è motivo nuovo e lontano dal linguaggio di Gozzano dal quale Pavese sembra volersi liberare.
Ben diverse le poesie delle due ultime raccolte di Pavese, ''La terra e la morte '' (i versi che furono composti a Roma nel 1945 e pubblicati nel 1947 sulla rivista ''Le Tre Venezie'') e ''Verrà la morte e avrà i tuoi occhi'' (pubblicati postumi insieme ai versi della precedente raccolta dall'editore Giulio Einaudi nel 1951) dove il discorso diventa più fluido e il discorso lirico si basa su immagini che non hanno più, come in ''Lavorare stanca'', un diretto rapporto con un fatto o un oggetto specifico ma sono da essi scollegati. L'ultima poesia di Pavese si rifà pertanto alla tradizione lirica [[../Francesco Petrarca|petrarchesca]] e [[../Giacomo Leopardi|leopardiana]] anche se i motivi ripresi, come il legame amore-morte, si presentano attraverso una nuova prospettiva che è quella del mito.
 
Con le poesie di queste due ultime raccolte avviene pertanto il passaggio da una poesia intesa come racconto ad una poesia intesa come canto che adotta il verso breve e si esprime in forme e ritmi melodici.
===La lirica di ''Verrà la morte e avrà i tuoi occhi''===
{{vedi anche|Verrà la morte e avrà i tuoi occhi}}
Ben diverse le poesie delle due ultime raccolte di Pavese, '' [[Verrà la morte e avrà i tuoi occhi|La terra e la morte]] '' (i versi che furono composti a [[Roma]] nel [[1945]] e pubblicati nel [[1947]] sulla rivista ''Le Tre Venezie'') e ''[[Verrà la morte e avrà i tuoi occhi]]'' (pubblicati postumi insieme ai versi della precedente raccolta dall'[[editore]] [[Giulio Einaudi]] nel [[1951]]) dove il discorso diventa più fluido e il discorso [[poesia lirica|lirico]] si basa su immagini che non hanno più, come in ''Lavorare stanca'', un diretto rapporto con un fatto o un oggetto specifico ma sono da essi scollegati. L'ultima poesia di Pavese si rifà pertanto alla tradizione lirica [[Francesco Petrarca|petrarchesca]] e [[Giacomo Leopardi|leopardiana]] anche se i motivi ripresi, come il legame [[amore]]-[[morte]], si presentano attraverso una nuova prospettiva che è quella del [[mito]].
 
== La narrativa ==
Con le poesie di queste due ultime raccolte avviene pertanto il passaggio da una [[poesia]] intesa come [[racconto]] ad una poesia intesa come [[Canto (metrica)|canto]] che adotta il [[verso]] breve e si esprime in [[forma|forme]] e [[ritmo|ritmi]] [[melodia|melodici]].
{{quote|Non è soltanto una similitudine il parallelo tra una vita di abbandono voluttuoso e il fare poesie isolate, piccole, una ogni tanto, senza responsabilità di insieme. Ciò abitua a vivere a scatti, senza sviluppo e senza principi. La lezione è questa: costruire in arte e costruire nella vita, essere tragicamente.<ref>''op. cit.'', pag. 34</ref>}}
 
Gli anni 1935-1936, quelli del confino a Brancaleone Calabro, se da una parte significano l'abbandono dei sogni giovanili, dall'altra segnano "l'inizio di un ripensamento estetico e morale che schiuderà la via alla prosa"<ref>Lorenzo Mondo, ''Cesare Pavese'', Mursia, 1970, pag. 40.</ref>.
==La narrativa==
{{Citazione|Non è soltanto una similitudine il parallelo tra una vita di abbandono voluttuoso e il fare poesie isolate, piccole, una ogni tanto, senza responsabilità di insieme. Ciò abitua a vivere a scatti, senza sviluppo e senza principi. La lezione è questa: costruire in arte e costruire nella vita, essere tragicamente.<ref>''op. cit.'', pag. 34</ref>}}
 
La prima testimonianza di Pavese narratore si trova nei racconti scritti tra il 1936 e il 1938 che verranno pubblicati postumi nel 1953 con il titolo ''Notte di festa'' e nel romanzo ''Il carcere'' (1939), mentre le poesie vanno lentamente diminuendo.
Gli anni [[1935]]-[[1936]], quelli del [[confino]] a [[Brancaleone (Italia)|Brancaleone Calabro]], se da una parte significano l'abbandono dei [[sogno|sogni]] giovanili, dall'altra segnano "l'inizio di un ripensamento estetico e morale che schiuderà la via alla [[prosa]]"<ref>Lorenzo Mondo, ''Cesare Pavese'', [[Mursia]], 1970, pag. 40.</ref>.
 
== Note ==
La prima testimonianza di Pavese narratore si trova nei [[racconto|racconti]] scritti tra il [[1936]] e il [[1938]] che verranno pubblicati postumi nel [[1953]] con il titolo ''Notte di festa'' e nel [[romanzo]] ''[[Il carcere]]'' ([[1939]]), mentre le poesie vanno lentamente diminuendo.
{{references|2}}
 
== Altri progetti ==
==Note==
{{interprogetto|w=Cesare Pavese}}
<references/>
==Voci correlate==
*[[Cesare Pavese]]
==Collegamenti esterni==
*{{cita web|http://www.letteratura.it/cesarepavese/|Approfondimento 1}}
*{{cita web|http://www.homolaicus.com/letteratura/pavese.htm|Approfondimento 2}}
{{Cesare Pavese}}
{{portale|letteratura}}
 
[[Categoria:OpereStoria didella Cesareletteratura italiana|Pavese| , Cesare]]
{{avanzamento|50%|9 aprile 2016}}
[[Categoria:Bibliografie per autore|Pavese, Cesare]]