Storia della letteratura italiana/Cesare Pavese: differenze tra le versioni

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{{Quote|Poesia è ''ora'', lo sforzo di afferrare la superstizione - il selvaggio - il nefando - e dargli un nome, cioè conoscerlo, farlo innocuo. Ecco perché l'arte vera è tragica - è uno sforzo. La poesia partecipa di ogni cosa proibita dalla coscienza - ebbrezza, amore - passione, peccato - ma tutto riscatta con la sua esigenza contemplativa, cioè conoscitiva.<ref>Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, Einaudi, Torino, 2000, pag., 291, 2 settembre 1944.</ref>}}Lo sperimentalismo tecnico e [[metrica|metrico]] di Pavese viene applicato alla raccolta di "[[Lavorare stanca]]", isolando la stessa dalla tipologia della produzione poetica contemporanea. La sua vuole essere una ''poesia-racconto'', priva di immagini [[retorica|retoriche]] e basata sui fatti essenziali, il più possibile basata sulla chiarezza, sulla semplicità e sull'oggettività in contrapposizione alla poesia astratta degli [[ermetismo (letteratura)|ermetici]].
 
Ad offrirgli l'esempio di un linguaggio improntato alla semplicità è [[Guido Gozzano|Gozzano]] che, nel nominare le cose e gli avvenimenti con il grigiore della quotidianità, usa un tipo di [[verso]] che è discorsivo e [[prosa|prosastico]]stico.<br/>
La presenza gozzaniana si avverte subito nella prima poesia della raccolta, ''I mari del Sud'', del [[1931]], dove viene ripetuta, con il racconto del cugino reduce dai mari del Sud, la situazione che si crea nella poesia ''L'Analfabeta'' di Gozzano che, arruolato nell'[[armata]] [[Sardegna|sarda]], ha visitato le [[steppa|steppe]] di [[Penisola di Crimea|Crimea]].
 
Il verso di questa prima poesia, in [[endecasillabo|endecasillabi]], è ampio e fluente e risente ancora di qualche misura tradizionale anche se già prevalgono le [[lassa|lasse]] di dodici e tredici [[sillaba|sillabe]] e l'irrompere del [[dialetto]] è motivo nuovo e lontano dal linguaggio di Gozzano dal quale Pavese sembra volersi liberare.